Caffe’ letterario/ Memorie di un personaggio
A cura di Antonino Leotta
La poesia non ha spazi riservati. O recinti circoscritti. E’ come l’alito del vento che penetra ovunque. Lasciandosi percepire. Userei la stessa immagine per la musica. Per la parola scritta in tutta la vastità dei suoi contenuti. Per la ricchezza e la bellezza delle raffigurazioni in ogni arte. E anche per la rivisitazione delle vicende storiche. Certamente è la sensibilità di noi comuni mortali a fare posto nella nostra considerazione a queste realtà che elevano lo spirito.
Mi è capitato diverse volte, in questi ultimi tempi, di partecipare a un “caffè letterario” organizzato in una abitazione privata. Tra amici e conoscenti che hanno programmato un turno tra le mura domestiche. E’ il padrone di casa che propone un approfondimento e la partecipazione diventa appassionata e vivace. In questa originale tournée ho avuto modo di apprezzare ancora una volta i capolavori del CARAVAGGIO. Ho seguito vita e opere di Claude MONET, di Vincent VAN GOGH, di Pablo PICASSO. Ma anche i tumultuosi momenti della Rivoluzione Francese e la travolgente presenza di NAPOLEONE Bonaparte. Non poteva mancare la testimonianza di scrittori e poeti. Abbiamo cominciato con i personaggi della nostra terra. Dopo il precedente approfondimento dell’estroso PIRANDELLO, l’altra domenica, la dott.ssa Cinzia Trovato, abbandonando per poco le preoccupazioni della corsia di un ospedale, ci ha conquistati con la vita e i versi di Salvatore QUASIMODO.
Il nostro poeta nasce a Modica e inizia un periodo di peregrinazione in diverse zone della Sicilia a causa del lavoro del padre che, in qualità di Capo-stazione, viene più volte trasferito. L’alloggio di due anni su un vagone merci alla stazione di Messina, subito dopo il terremoto del 1908, lascerà un segno nella sua vita. E l’amore per la sua terra acquisterà un meraviglioso crescendo. Con uno sguardo sempre compiacente alle spiagge di Licata, Ragusa, Roccalumera e Tindari e alle alture dei Nebrodi.
Il suo corso di studi è orientato a una preparazione tecnica. Riuscirà, tuttavia, fruttuosa la frequentazione di Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira. Dopo il diploma di Geometra nella città di Messina, a 19 anni si trasferisce a Roma. Lavorerà nel settore “tecnico”per tanti anni. Nel 1926 inizierà la su attività al Ministero dei Lavori Pubblici e, particolarmente, al “Genio civile”. Ma a Roma si risveglierà in lui il grande amore per il mondo classico. Inizierà a studiare in privato le antiche lingue greca e latina. Comincerà a concretizzarsi il primo periodo della sua poetica che culminerà con la pubblicazione, nel 1930, della sua prima raccolta di versi “Acqua e terre” da cui traspare il suo amore per la Sicilia e la sofferenza del suo “esilio”. Possiamo dire, tuttavia, che una svolta nelle sua vita inizia con il matrimonio della sorella Rosa che sposa Elio Vittorini. Si trasferisce a Firenze, frequenta ambienti letterari, conosce Montale, Loria, Bonsanti, apprezza e vive l’ermetismo. Nella essenzialità delle parole c’è tanto simbolismo e tante sofferenze interiori fatte di disagio esistenziale, inquietudine, incomunicabilità, solitudine.
Nel 1934 si sposta a Milano dove si arricchisce nello scambio culturale di una società letteraria che accoglie la presenza di poeti, pittori, scultori, musicisti.
Dopo la fruttuosa conoscenza di Zavattini, si apre lo scenario sul triste periodo della seconda guerra mondiale. Tra le sofferenze della guerra Quasimodo continua a studiare e a lavorare. Interessanti le sue traduzioni dal greco e dal latino di Omero, Sofocle, il Vangelo di Giovanni, Catullo, Ovidio…
I suoi versi raggiungono anche i buoni intenditori e, nel 1941, gli viene assegnata la cattedra di Letteratura Italiana al Conservatorio di musica “G. Verdi” di Milano. Manterrà con orgoglio questa cattedra sino alla fine della sua vita.
Nel 1942 esce “Ed è subito sera”. Nel 1947, la sua prima raccolta del dopoguerra, “Giorno dopo giorno”. Ora la poesia di Quasimodo rivive i drammi umani della guerra e della violenza. Si riveste di dolore umano e sociale con uno stile rinnovato. Nel 1949 pubblica “La vita non è un sogno”.
Diverse le donne con le quali Quasimodo divide, in diversi tempi, alcuni anni della propria vita. Nel 1926 sposa a Roma Bice Donetti che morirà nel 1946. L’amore più sentito sembra essere stato quello intrecciato con la danzatrice Maria Cumani con la quale celebra il matrimonio nel 1948 e dalla quale ebbe il figlio Alessandro. Già aveva messo al mondo Orietta Quasimodo, a Firenze nel 1935, dalla convivenza con Amelia Spazietti.
Il 10 dicembre 1959, a Stoccolma, Salvatore Quasimodo riceve il premio Nobel per la Letteratura. Nel 1960 l’università di Messina gli conferisce la laurea “honoris causa”. La stessa cosa farà l’Università di Oxford nel 1967. Nel 1966, due anni prima della morte, pubblica, come un testamento, l’ultima opera “Dare e avere”.
Ci siamo fermati a leggere, meditare e commentare alcune sue poesie. Non poteva mancare, anzitutto, la lettura dei versi che hanno fatto il giro del mondo:
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
A parte i simbolismi racchiusi nelle immagini, è emersa una lettura che si ripete nelle numerose composizioni dell’autore. Tre elementi sono quasi sempre presenti: un paesaggio, un personaggio, uno sguardo introspettivo. In questo caso, il paesaggio: il cuor della terra, un raggio si sole, la sera. Un personaggio: ognuno. Una introspezione: solo, trafitto.
I versi sono stati composti nel 1942 quando si vivono i giorni terribili della guerra.
Nel 1946 viene pubblicata una raccolta di diciotto poesie col titolo”Con il piede straniero sopra il cuore”. L’anno successivo vi vennero aggiunte altre due poesie e il titolo venne sostituito con “Giorno dopo giorno”. Ne riportiamo una tra tante e vi cogliamo gli stessi tre elementi già accennati, con il particolare ricordo delle spiagge siciliane come Ragusa e Tindari:
Già da più notti s’ode ancora il mare,
lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce.
Eco d’una voce chiusa nella mente
che risale dal tempo; ed anche questo
lamento assiduo di gabbiani: forse
d’uccelli delle torri, che l’aprile
sospinge verso la pianura. Gi
m’eri vicina tu con quella voce;
ed io vorrei che pure a te venisse,
ora, di me un’eco di memoria,
come quel buio murmure di mare.
Molto sentita la lettura di “Alle fronde dei salici” (da “Giorno dopo giorno” del 1947). Con riferimento alla deportazione degli Ebrei in Babilonia (Salmo 136), in versi endecasillabi, Quasimodo ci fa rivivere con forte drammaticità alcuni orrori della guerra:
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
Siamo proprio convinti che i vari personaggi e le loro opere che ci piace ritrovare nei nostri incontri sono patrimonio dell’umanità. E vanno “trafficati”. Anche in un soggiorno di una normale famiglia.
Abbiamo accettato volentieri di prendere un caffè. Ma l’intenso scambio dei nostri pensieri è risultato più elettrizzante del ricercato liquido nero. Perché ad animarci sono stati figure e opere, messaggi e sentimenti di persone meravigliose che hanno intrecciato il variopinto tessuto della nostra storia.
Ci siamo lasciati accarezzare da un piacevole alito di vento. Che ha di certo raggiunto le pieghe dell’anima.
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