FORMAZIONE E SOCIETÀ
di Antonino Leotta
Sull’Istituto San Francesco di Sales di Catania aleggia lo spirito di Don Bosco. Mi va di affermare che la lunga tradizione dei Salesiani nell’ambito educativo, continua la sua presenza in una società sempre più segnata dall’individualismo e, più ancora, dall’egoismo. Una nuova generazione che si affaccia e cerca spazio tra le incertezze e l’assenza di impegno partecipativo degli adulti, sembra oggi trovare rifugio accartocciandosi su se stessa.
In una società piemontese di metà ‘800, l’azione di Don Bosco si protese a valorizzare le energie nascenti in ogni singolo ragazzo spesso misconosciuto ed emarginato. Quella società era agitata da interessi politici e sociali, religiosi e liberali che si contrastavano nel tentativo di concretizzare una unità d’Italia. In quel contesto, la sua scelta fu quella di operare per una crescita sociale dei ragazzi.
Attraverso l’istruzione e una convivenza di fraternità, l’educazione della volontà, l’approccio con un impegno lavorativo e la pratica della correttezza morale, riuscì a preparare, con l’adozione di un sapiente metodo preventivo, la nuova generazione per una presenza attiva e responsabile nel futuro della nazione.
La crisi contemporanea che ai nostri giorni sconvolge una convivenza a livello mondiale, ha urgente bisogno di orientare e impegnare attivamente la nuova ondata di giovani cittadini. Questo sembra essere il tormento di chi occupa ruoli di responsabilità. Un tormento che, tuttavia, viene rimandato senza raggiungere concrete prospettive.
Dinanzi a questo panorama al San Francesco di Sales di Catania si inventano ancora nuove soluzioni. Tra le tante, il progetto di “Integrazione nel gruppo dei pari”. Un progetto che si fa obiettivo nella misura in cui si riesce a concretizzare una viva socializzazione in un gruppo e tra i vari gruppi.
L’animatrice Silvana Petralia suggerisce ai ragazzi di formare tre gruppi spontanei nella classe quinta elementare sezione “B”. Ogni gruppo deve inventare una storia. I ragazzi riunendosi in privato in diversi pomeriggi costruiscono un testo che si fa sceneggiatura. Si dividono i ruoli, provano e riprovano fino a produrre un piccolo spettacolo.
Il lavoro elaborato viene presentato a parenti e amici in una sala-teatro dell’Istituto. I tre gruppi di ragazzi, oltre ogni disciplina scolastica, hanno socializzato attorno a un testo da costruire. L’animatrice, per agevolare l’avvio dell’iter produttivo, aveva offerto loro tre oggetti da prendere in considerazione: uno zaino, un pacchetto di patatine e una torta. Sotto l’occhio incoraggiante della maestra Claudia, i tre gruppi hanno dato prova di sapere assumere responsabilità. Si sono presentati al pubblico e hanno dimostrato di sapere esprimersi in piena autonomia. Dietro quella breve rappresentazione c’è tutto un percorso partecipativo.
Noi spettatori, più che ad applaudire a una rappresentazione, siamo stati chiamati a cogliere la dinamica di un mezzo educativo. Non si trattava di seguire una trama e di individuare le capacità recitative dei piccoli attori. Ma di percepire l’intesa, l’approccio, il relazionarsi di piccoli cittadini che si preparano ad animare la società del domani.
Mi sono chiesto sino a che punto noi adulti-spettatori siamo capaci oggi di orientarci a una socializzazione produttiva attraverso la quotidiana banalità dei gesti. Se riusciamo ancora a dialogare e a crescere in una società sempre più frammentata e disgregante.
Se uno zaino o un sacchetto di patatine o una torta possono ancora farci riscoprire le preziose riserve della nostra umanità.
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