Memorie di un personaggio
A cura di Giovanni Vecchio
Tanti si chiedono chi sia quel Gino Ferretti, al quale è intitolato il plesso scolastico di Piazza San Francesco di Acireale, già sede del IV circolo didattico, ora inserito nell’Istituto Comprensivo
“Galileo Galilei”.
Nel 2010, in occasione del 130° anniversario della nascita (30 marzo 1880) mi feci promotore della collocazione nell’allora sala dela presidenza di una grande foto del Ferretti e fu l’occasione propizia per ricordarlo. Gino (Giuseppe Luigi) Ferretti fu filosofo e pedagogista. Era nato ad Acireale da padre e madre insegnanti; si trasferì a Firenze all’età di quattordici anni, dopo la perdita della madre, e, dopo un breve ritorno in Sicilia, si spostò a Roma, dove abbandonò gli studi
di legge e si dedicò alla pittura. A soli ventidue anni, assieme alla moglie Grazia Sinatra ed altre personalità, istituì una “colonia” agricola a Monte Mario, dove si impegnò a valorizzare il lavoro a contatto diretto con la natura a fini educativi per bambini e adulti. Ben presto riprese gli studi e si laureò a Napoli in filosofia con il massimo dei voti e il diritto di stampa della sua tesi. Grazie ad una borsa di studio ebbe la possibilità di studiare in Germania nel laboratorio di psicologia sperimentale di Kulpe a Wurzburg. Tornato in Italia, insegnò negli istituti di istruzione media e si interessò contemporaneamente ai temi del rinnovamento della pedagogia e della scuola. Diresse dal 1913 al 1922 la scuola elementare annessa all’Istituto Magistrale “Vittoria Colonna” di Roma, dove mise alla prova le sue teorie pedagogiche con interessanti esperienze didattiche. Vinse quindi il concorso
per la cattedra di Pedagogia e insegnò nell’Università di Catania dal 1924 al 1929 con importanti apporti scientifici nel campo dell’educazione, come è stato ampiamente dimostrato dalla prof.ssa
Paolina Mulé nel suo saggio dedicato ai docenti di pedagogia nell’ateneo catanese. Si spostò subito dopo nell’Università di Palermo dove insegnò fino alla fine (morì il 1° novembre 1950). Non volle iscriversi al Partito Fascista per le sue idee libertarie e durante il suo “isolamento” si dedicò allo studio e alla ricerca. Quando, dopo lo sbarco in Sicilia del 1943, gli Alleati giunsero a Palermo, fu chiamato dal pedagogista statunitense Carleon Washburne per avviare la riforma democratica dei principi e dei programmi della scuola elementare. Egli elaborò dei piani innovativi ispirati
all’attivismo, che non si tradussero in programmi perché furono osteggiati dall’ambiente culturale in buona parte arretrato e furono editi soltanto come “Consigli”. Partecipò come indipendente nelle liste del Blocco del Popolo alle elezioni del 1948, ma non si iscrisse mai ad un partito e ritornò agli studi più impegnativi che non aveva mai abbandonato. Dal colloquio vivo e problematico, fu tanto apprezzato dai suoi discepoli. Partecipò a congressi nazionali e internazionali dando sempre un contributo di rigore critico e di forte impulso all’innovazione e al superamento di dogmi, conformismi e compromessi. Venne a mancare nel pieno della sua attività non riuscendo a comporre in unità la notevole produzione filosofica e psico-pedagogica accumulatasi in circa mezzo secolo.
Egli era partito dalla filosofia idealistica dell’autocoscienza all’interno della quale aveva cercato una strada in grado di salvaguardare teoricamente e praticamente la specificità infantile e una didattica in grado di valorizzare la spontaneità del bambino. Alla fine approdò ad una visione fenomenistica
in cui prendeva corpo la concretezza dell’esperienza-azione nella quale il concetto dell’io e della realtà sono convergenti. E’ stato considerato il precursore dell’educazione alla creatività, presente negli impulsi infantili non ancora attraversati dalla ragione. E’ stato anche evidenziato che Ferretti
ha messo al centro della didattica la “drammatizzazione” quale strumento appropriato per l’invenzione ed, infatti, egli parlava di “fanciullo inventore”. Il processo formativo del fanciullo,
secondo Ferretti, doveva ripercorrere vichianamente l’evoluzione della civiltà (postulato dell’ontogenesi e della filogenesi) portandola a compimento (metodo storico-genetico).
L’educazione doveva puntare sull’ ”arte” quale forza interiore in grado di valorizzare il magico e l’inconscio del bambino. La sua visione della scuola attiva lo portò sulla scia di Decroly e Dewey, ma con maggiore acutezza critica, a considerare il fanciullo come costruttore, inventore, poeta, artista. Secondo Ferretti, la poesia del fare caratterizza il bambino e lo motiva ad apprendere ed è in grado di unificare tutti gli insegnamenti, compresi quelli scientifici (scienza come poesia) quando
vengono rapportati ai bisogni, ai problemi dell’azione o del gioco dei fanciulli. La figura del Ferretti non può essere ignorata perché ha contribuito in modo significativo al rinnovamento della pedagogia in Italia e all’innovazione didattica, su fondamenti filosofici e sulla base delle acquisizioni della psicologia genetica. Una sintesi difficile tra teoria e prassi che il pedagogista acese seppe affrontare con apertura mentale e notevole spirito critico.
Social Profiles