Libera Teologia
A cura di Alfio Pennisi
Forse vi sembrerà eccessivo questo titolo. Vi potrebbe apparire anche un chiaro rifiuto della dottrina e dei dettami della Chiesa Cattolica. Voglio tranquillizzarvi, non è così! La mia vuole essere una provocazione, e anche l’indicazione di un metodo, una nuova visione utile per credere ancora in Dio, senza necessariamente fuggire dal proprio tempo.
Il luogo della ricerca deve divenire la dimensione della coscienza che desidera la verità per se stessa, e non per appartenere ad un’ideologia, ad un partito, o ad una chiesa. Il metodo è rifiutare di legarsi aprioristicamente a qualunque catechismo.
Partendo da questi presupposti, sorge subito una questione: “che cosa si deve fare se, guardando il mondo, guardandolo con tutta l’attenzione e l’onestà di cui si è capaci, ci si imbatte in qualche difformità tra “ciò che la Chiesa nella sua dottrina dice del mondo” e “ciò che il mondo manifesta di se”? Che cosa si deve fare quando si prende coscienza che l’esperienza della vita non concorda in tutto, anzi talora contrasta decisamente, con ciò che della vita insegna la Chiesa? Che cosa si deve fare quando si scorge contraddizione tra gli enunciati dottrinali della fede e la realtà concreta della vita?” (Vito Mancuso, Io e Dio, Garzanti, Milano 2011, p. 192).
“Io – dice Mancuso – mi dichiaro cattolico e voglio rimanere tale perché sento e so che la Chiesa cattolica è la mia comunità, la mia chiesa. In essa sono nato alla fede e non posso pensare la mia vita spirituale senza provare gratitudine per i testimoni che per primi mi hanno aperto il cuore al messaggi dell’amore…” (Vito Mancuso, Io e Dio, Garzanti, Milano 2011, p. 191)
“La mia convinzione è che per essere autentici seguaci di Gesù non bisogna preoccuparsi di essere o meno cattolici… chi vive la propria fede anzitutto come volontà di appartenere a un’istituzione perde lo slancio originario in cui consiste la novità dello Spirito, che è liberazione da ogni potere di questo mondo” (Vito Mancuso, Io e Dio, Garzanti, Milano 2011, p. 242/243).
Vorrei citare a tal proposito il codice di diritto canonico al canone 205: “Sono nella piena comunione della Chiesa cattolica quei battezzati che sono congiunti con Cristo nella sua compagine visibile, ossia mediante i vincoli della professione di fede (dottrina), dei sacramenti (liturgia stabilita) e del governo ecclesiastico (direttive del magistero)”. Da queste parole si evidenziano fondamentalmente tre vincoli per essere un buon cattolico: dottrina, liturgia e direttive del magistero. Obblighi tutti che si basano su un “principio cardine”, ancora oggi dominante nel cattolicesimo, a tal punto da essere di fatto il dogma primordiale da cui tutti gli altri dipendono: il principio di autorità.
Per principio di autorità intendo la prospettiva secondo cui si accetta di aderire a un concetto o a una dottrina non per motivi intrinseci alla cosa stessa, ma per motivi estrinseci legati all’identità di chi la propone.
La più efficace rappresentazione che io conosca di tale principio l’ha data sant’Ignazio di Loyola: “Quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica” (Vito Mancuso, Io e Dio, Garzanti, Milano 2011, p. 194/195). Il no, che cito nel titolo, è espresso come metodo e non come negazione, anche al cospetto delle parole del magistero ecclesiastico. Bisogna smontare la convinzione che la verità della fede cattolica si misuri sulla conformità alla dottrina stabilita dalla gerarchia, sia in campo dogmatico che etico.
Forse i miei ragionamenti vi potranno apparire come un attacco esplicito alla istituzione, alla gerarchia della Chiesa (in ogni caso necessarie per qualsiasi organizzazione complessa). Vi chiedo di non farvi trascinare da un sentimento di anti chiesa. Io voglio tentare di suscitare la domanda e la ricerca di una teologia laica, libera e aperta alle istanze del mondo. “Io penso che il principio-autorità – afferma Mancuso – debba essere superato e che al suo posto vada inaugurato il principio-autenticità. Sostengo, in altri termini, il passaggio da una fede come “dogma ecclesiale”, per la quale l’istanza conclusiva è l’autorità della dottrina stabilita, a una fede <laica>, non-clericale, per la quale l’istanza conclusiva è la coerenza del pensiero rispetto all’esperienza concreta della vita”. (Vito Mancuso, Io e Dio, Garzanti, Milano 2011, p. 198). Per fare un esempio: parliamo del peccato originale e anche della sua trasmissione alle generazioni future; in tal senso il Catechismo della Chiesa Cattolica nell’articolo 388 si esprime così: “Bisogna conoscere Cristo come sorgente della grazia per conoscere Adamo come sorgente del peccato…” art. 404 “la trasmissione del peccato originale è un mistero che non possiamo comprendere appieno”. Sorge spontanea una domanda: “Ma veramente il destino di miliardi di esseri umani dipende dalla colpa di quello sconosciuto in un lontanissimo passato? Ognuno di noi, a causa di questo personaggio (il primo Adamo), nascerebbe già peccatore senza aver commesso nulla di male; in compenso, però, sempre senza dover far nulla di bene e sempre a causa di uno sconosciuto (il secondo Adamo) verrebbe redento e parteciperebbe gratuitamente alla salvezza. Non è tutto un po’ strano? Non è che siamo solo considerati delle marionette senza libertà? Quanta differenza tra questa dottrina e la vita reale, dove senza lavoro non si ottiene nulla, proprio nulla”. (Vito Mancuso, L’anima e il suo destino, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007, p. 164). Forse fin qui le domande e le prospettive delineate potrebbero creare confusione o addirittura scandalo, ma onestamente non possiamo continuare a fingere di non vedere. L’esperienza di fede o vita spirituale è “un viaggio verso l’autenticità che per alcuni sarà un esodo verso una patria, per altri solo un esodo senza patria, un’odissea senza Itaca. Penso però che per tutti valgano le celebri parole dell’Ulisse dantesco, secondo le quali, alla luce della nostra essenza di uomini, la vita autentica è quella vissuta all’insegna del bene (virtute) e dell’amore per la verità (canoscenza). Impostare tutte le relazioni sulla base di questi valori è la più grande fortuna che possa capitare nella vita” (Vito Mancuso, La vita autentica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009, p.170/171) .
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