Recensioni ed Eventi / Teatro
A cura di Vittorio De Agrò
Quando arriva, il week end scatta, in chi se lo può ancora permettere, la domanda amletica”Che cosa facciamo?”
Cena? Cinema? Passeggiata al mare? Due giorni di sesso sfrenato? Ebbene, cari amici, per una volta, mi permetto di suggerVi di fare gli alternativi e di uscire da casa per andare a teatro essendoci due spettacoli meritevoli del vostro tempo, denaro e ascolto. Dove sono in scena? A Roma, ergo potete unire con la scusa l’opportunità di una mini vacanza.
Le mie proposte per un week end diverso sono:
“7 vite di una Gatta Morta” scritto e diretto da Paolo Andreotti con Silvia Catalano, in scena fino al 6 Marzo al teatro “Duse” di Roma
Un titolo che potrebbe far credere allo spettatore di vedere uno spettacolo imperniato sulle paturnie e nevrosi della donna d’oggi creando probabilmente qualche perplessità e ritrosia nel pubblico maschile. Ebbene, cari colleghi uomini, state tranquilli, è invece tutto il contrario. La brillante e poliedrica Silvia Catalano con il suo divertente monologo ci mostra come le donne ci considerano e valutano le nostre azioni e pensieri.
Non esiste più il corteggiamento classico fatto di lettere, rose, e inviti a cena. L’uomo non telefona più, i rapporti si costruiscono in chat, con gli sms, e con le emoticon.
La donna trascorre lunga parte della sua giornata a leggere e criptare i messaggi dell’uomo, chiedendo consiglio alle amiche.
Chi è la donna di oggi? E’ Eleonora Gatta, protagonista della nostra storia, una bella e grintosa donna di quarant’anni, che si trova a un bivio della propria vita: Cedere alle viscide lusinghe dl suo capo d’ufficio per salvare il proprio posto di lavoro o mantenere la propria integrità morale?
Eleonora è sì una donna vivace, allegra, amante della vita e ha tanti spasimanti che non le danno tregua al telefono, ciò nonostante ha una sua etica, una sua visone della vita e dell’amore.
Vorrebbe avere affianco un vero uomo da amare e con cui condividere la quotidianità. Il suo cuore batte per un bel Top Gun italiano, che però fatica ad atterrare nella sua casa e invece facoltosi notai, musicisti squattrinati ed eterni Peter Pan che pur di infilarsi di nuovo nel suo letto sono pronti a promettere qualunque cosa.
Ha sperato che il bel primario potesse trasformarsi nel principe azzurro,ma per poi scappare preferendo arruolarsi in Medici senza Frontiere
Lo spettatore osserva divertito come la donna conduce le danze d’amore con i suoi uomini e nello stesso tempo rifletta sulla sua condizione chiedendosi quale sia davvero la cosa giusta da fare.
Il testo è ben scritto, fluido e divertente e sebbene sia scritto da uomo riesce con bravura a raccontare sia l’universo maschile sia quello femminile.
Uno spettacolo gradevole, garbato e ironico che punta tutto sulla personalità e carisma di Silvia che dimostra talento e la giusta dose di esperienza per reggere la sfida difficile di un monologo.
Probabilmente lo spettacolo non ha un ritmo narrativo costante e la seconda parte è più brillante e dinamica rispetto alla prima ma resta comunque una visione godibile e consigliabile.
La donna può essere anche una gatta morta, ma alla fine sa bene cosa scegliere e quali siano le vere priorità nella vita come ci insegna nel romantico e riuscito finale la nostra spumeggiante Eleonora.
CAPINERA
“Capinera” di e con Rosy Bonfiglio, tratto dal romanzo epistolare di Giovanni Verga, in scena fino al 6 Marzo al Teatro Studio Uno di Roma.
Le donne sono libere di poter scegliere il proprio destino?
Può apparire una domanda retorica nel 2016, eppure leggendo le cronache dal mondo e dalla stessa Italia, non sarei così sicuro di una risposta affermativa.
Giovanni Verga nel 1869 scrisse il romanzo epistolare “Storia di una Capinera” raccontando, di fatto, la difficile condizione sociale della donna all’epoca, di vivere una vita fatta di rinunce, obblighi e negazione di ogni diritto.
Questa è la storia della giovane Maria costretta a prendere i voti e a farsi suora non per fede,ma per necessità economica. Quante storie del genere sono state vissute e mai raccontate?
Rosy Bonfiglio con il suo monologo mette in scena il travaglio interiore e umano della protagonista trascinando lo spettatore in un tornado di emozioni, angoscia e commozione.
Rosy si trasforma completamente in Maria raccontando i suoi dolori, pensieri e sentimenti, indossando come costumi di scena fogli di carta dove sono raccolti i pensieri e parole della giovane protagonista.
E’una scelta registica particolare e intensa di creare con lo spettatore una forte e avvolgente empatia.
Maria è sola, non sa a chi confidare le proprie paure e incertezze se non scrivendo accorate lettere all’amata amica Marianna.
L’arrivo del colera ha permesso a Maria di uscire dal convento e di tornare ad assaggiare i frutti prelibati della vita come la libertà, la gioia di un ballo e soprattutto l’amore.
Maria è travolta da questo sentimento così forte e straordinario e non avendo gli strumenti e l’esperienza per contenerlo, è così trascinata sull’orlo di una tragica follia.
Sì, perché l’amore fa perdere il senno e una volta conosciuto non ne puoi fare a meno.
Rosy Bonfiglio regala una perfomance incisiva e totale sia interpretativo che fisico scuotendo e commuovendo il pubblico. Lo spettacolo è ricco di pathos e di forza, magari con un ritmo non sempre costante e con una seconda parte forse troppo allungata, ma riuscendo comunque a mantenere vivo l’interesse del pubblico fino alla fine.
Quando la protagonista rendendosi conto di come la vita possa essere colorata e gioiosa, non vuole e non può dimenticare ciò che ha provato.
La dolorosa e obbligata rinuncia e la presa dei voti segna tragicamente l’esistenza della giovane donna e come rappresentato nel poetico e toccante finale non ci può essere vita senza liberta’ e amore.
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