Siddharta

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RECENSIONI ed Eventi/ Cultura e spiritualità

A cura di Sara D’Angelo

 

Sconosciuto è il limite della ricerca del sè. Herman Hesse e il suo Siddharta, un romanzo di meditazione, un connubio di canto e analisi interiore.
Nell’India del VI secolo a.C vive Siddharta, figlio di un Brahmino, membro della casta sacerdotale a cui spetta il compito dell’insegnamento dei testi sacri.
Siddharta è un giovane indiano bello, ricco, diviso da un bivio, specchio del suo sé.

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Un vuoto interiore lo riempie di un brivido inquieto, il viaggio è l’unica fonte di ricerca per dare risposte a quesiti, certezze a dubbi. Affronta un cammino a quattro passi, lui e Govinda, suo fedele amico, consapevole di essere piccola ombra dinnanzi alla poderosa presenza di Siddharta, uno spirito saggio dentro un corpo manchevole perché umano.
Attirati e inghiottiti dalla vita ascetica i due giovani vivono di un respiro accennato, sazi di nulla e affamati di spirito sapiente. Ma non basta. Mentre si posa il piede la testa ha già scelto il suo altrove.
Siddharta è continuamente attratto e distaccato dal segreto di vivere, i suoi passi alla ricerca di un equilibrio spirituale lo turbano anziché donargli un’oasi di pace.
“In verità, nessuna cosa al mondo ha tanto occupato i miei pensieri come questo mio Io, questo enigma ch’io vivo, d’essere uno, distinto e separato da tutti gli altri, d’essere Siddharta! E su nessuna cosa al mondo so tanto poco quanto su di me, Siddharta!”.
L’incontro con il Buddha Gotama è un passaggio obbligato dove Govinda resta e Siddharta riprende il suo cammino. Città e realtà tentatrici lo affascinano attraverso l’eco di suoni e voci, una in particolare. Alla sensualità della cortigiana Kamala nessuno è mai sfuggito.
Lei è bella e tentatrice, è maestra dell’arte amatoria, per lei il sapiente Siddharta interrompe il suo cammino di saggezza.
“Nel suo ombroso boschetto entrava la bella Kamala, all’ingresso del boschetto stava il bruno Samana. Profondamente s’inchinò quando vide il Fior di Loto, con un sorriso ringraziò Kamala. Più ameno, pensò il giovane, che sacrificare agli dèi, più ameno è sacrificare alla bella Kamala”.
Siddharta è un asceta ma è anche un uomo che si lascia cadere nella rete della tentazione. La fragilità della carne lo inghiotte per lungo tempo, ma la fine dell’ora può arrivare tardi, può arrivare ora.
Il tempo della meditazione riscopre un uomo non più giovane, un Siddharta pieno di rimorsi e stanco di una vita dissoluta.
Nel pieno della sua debolezza spirituale ritrova il suo amico Govinda, adesso monaco buddhista. Un fitto dialogo e un virtuoso scambio di talenti lo aiutano a superare il malessere del peccato, la lunga sosta effimera che gli ha saziato il corpo di vanità.
La vita e la morte accadono più volte, le ferite diventano curve di sorrisi, le lacrime si trasformano in caldi zampilli di gioia.
Siddharta rincorre una verità sconosciuta, fugge dal mondo immergendosi in esso. Un nuovo maestro lo sta aspettando, non ha mani né braccia, è un maestro che scorre, è un fiume.
L’acqua in movimento lo invita a fermarsi sulla sponda. La Natura è il Vero Maestro. Versi, suoni e silenzi compongono un pentagramma di note e pause per dare vigore e per far riposare un percorso interrotto. Ed ecco un barcaiolo, sembra essere il custode del fiume ma è solo un umile traghettatore di viaggiatori annoiati.
Vasudeva, questo è il suo nome, riconosce in Siddharta l’inquietudine di uno spirito tormentato, nessuno dei suoi passi ha lasciato impronte, solo inutili orme.
“Siddharta serenamente contemplava la corrente del fiume; mai un’acqua gli era tanto piaciuta come questa, mai aveva sentito così forti e così belli la voce e il significato dell’acqua che passa. In quel fiume Siddharta s’era voluto annegare, in quel fiume oggi s’era annegato il vecchio, stanco, disperato Siddharta.
Il segreto del fiume è nella sua corsa inutile, la natura del suo fluire cristallino verso onde, laghi e mari, acqua che si lascia per riabbracciarsi di nuovo, dandosi appuntamento in un ruscello o in una cascata. Il girotondo della Natura non è mai sazio dei suoi percorsi a volte pacati a volte affannati. La voce del Tutto è la voce della perfezione.
Siddharta scopre di essere padre di Siddharta, un figlio avuto dalla bella Kamala. Il giovane è cresciuto tra vizi e porta con sè una valigia piena di nessuna virtù.
È un figlio irascibile, sordo alla voce mite del padre. Siddharta se ne addolora e lo lascia andare, presto si accorgerà che il figlio è lo specchio di sè, sono due pagine dello stesso libro letto in tramonti diversi.
Siddharta è ormai un uomo solo, i capelli sempre più bianchi non spengono la luce del suo spirito alla continua ricerca di una verità assoluta.
Un ultimo incontro con Govinda lo convince ad essere maestro e lezione di ogni sua azione, il letto del fiume non è mai sgombro di residui impuri, eppure l’acqua scorre comunque e chiama altra acqua, sorella gemella di sè.
Nel lento scorrere delle parole Govinda è fulminato da una visione rivelatrice, Siddharta è un Buddha ma non lo è diventato perché è maestro nell’arte del pensare, del digiunare e dell’attendere, bensì perché ha scelto di unirsi alla vita abbandonandosi completamente ad essa.
Il vecchio amico Govinda, ombra per sempre di Siddharta, assorbe la filosofia del saggio maestro ritrovato, la sua lingua e il suo silenzio è dottrina che in nessun altrove ha conosciuto.
Il suo posto è un passo indietro al sommo Siddharta ormai raggiunto dal Nirvana unitosi a lui, aldilà del fiume c’è la meta.
La scrittura di Hermann Hesse, premio Nobel per la letteratura nel 1946, è nobile, decisa ad accompagnare il lettore nel romanzo/saggio, porta d’ingresso per una conoscenza interiore, intimità con l’Io segreto a tratti velato per poi tuonare al mondo.
L’esperienza è la chiave della porta accessibile attraverso l’ansia della ricerca. Chi non trema non vive. Innumerevoli gocce di possibilità coabitano nel fiume di un istante, casa/riparo per ricominciare un nuovo corso esistenziale, allestito dal bagaglio della maturità. È però importante la presenza di una guida per non perdersi negli anfratti di direzioni sbagliate. La scrupolosa scelta della bussola è essenziale per una destinazione certa.
La conoscenza del mondo è il percorso sicuro per raggiungere la perfetta Illuminazione. Il ciclo della natura è soggetto a un tempo dentro cui ci si deve abbandonare con fiducia, mai contare i giorni, mai contare le ore. Abbracciare “la coscienza del tutto”, la coscienza della gioia e del dolore, evitarla comporterebbe il fallimento del viaggio.
La felicità è uno stato interiore pulsante già nell’affanno della sua ricerca.