Recensioni: Madame Bovary

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Recensioni

A cura di Sara D’Angelo

 

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È considerato il classico dei classici. Madame Bovary, il capolavoro di Gustave Flaubert, fu pubblicato nel 1857 e già dal suo esordio ebbe un notevole successo ben presto macchiato da un processo che lo scrittore dovette subire, perché il suo romanzo fu considerato un’opera contro la morale pubblica e religiosa.

Il processo a Flaubert iniziò nel gennaio 1857. Dopo l’assoluzione dell’autore, il 7 febbraio 1857, il romanzo fu pubblicato in libro, in due volumi, il 15 aprile 1857.
La protagonista dell’opera letteraria è Emma, una giovane e bellissima donna di provincia che va in sposa a Charles Bovary, un medico e uomo mediocre senza ambizioni che, pienamente assorbito dal suo lavoro che esercita con scrupolo e fervente impegno, non si accorge che la sua sposa è infelice del suo matrimonio, delle sue giornate sempre uguali, costretta dai suoi doveri di moglie di un rispettabile ufficiale sanitario di provincia a rinunciare a impulsi e turbamenti che, a poco a poco, avvolgono il suo essere, conseguenza naturale delle sue letture romantiche e intrise di profonde passioni.
Ed è la disperazione.
“I suoi desideri si nutrivano di un rimpianto che li esasperava sempre di più”.
Molto presto in Emma si accendono desideri e sogni per troppo tempo sopiti e a cui non sa e non vuole più resistere.
“Eh, non sapete che ci sono anime in perenne tormento? Aspirano via via al sogno e all’azione, alle passioni più pure, ai godimenti più furibondi, e così sprofondano in ogni sorta di fantasie, di follie.”
Due sono gli uomini che la confondono e le fanno insabbiare l’integrità morale malcelata e invisibile solo agli occhi dell’irreprensibile Charles Bovary.
Léon Dupuis è un giovane praticante di uno studio legale con cui inizia una relazione e con cui condivide l’ambizione per la vita lussuosa e le stravaganze di ogni tipo. La parentesi libertina però dura poco perché il giovane Léon decide di continuare i suoi studi a Parigi costringendo Emma a ritornare alla sua vita mediocre. Nemmeno  la nascita della sua bambina, Berthe, l’aiuta a guarire dalla perversa inquietudine che la pervade, tanto che affida la piccola ad una balia, rinunciando con decisa fermezza al suo ruolo di madre.
Emma persevera e non si allontana dallo stordimento delle illusioni che ormai la divorano con avidi morsi, così accetta il corteggiamento di Rodolphe Boulanger, un ricco proprietario terriero, amante delle belle donne, molto innamorato di Emma che diventa così la sua preferita ma non l’unica amante, fino al momento in cui decide di annullare il progetto della loro fuga d’amore.
Emma è sconfitta. Comincia il suo malessere, il rifiuto alla vita è ancora appena accennato; neppure la religione e tutte le attenzioni del premuroso Charles riescono a colorare la sua anima grigia sempre più sommersa negli abissi della depressione.
La sfortunata vittima di se stessa decide di porre fine alle sofferenze avvelenando il suo corpo già inquinato dalla insoddisfazione.
Emma muore.
Emma “Non esisteva più”.
Il perdono di Charles viene assorbito dalla disgraziata come l’ultimo segno della mediocrità di suo marito, l’ennesima conferma di aver avuto accanto un uomo piccolo non meritevole della sua stima.
Il successo del romanzo funge da morbida culla al “bovarismo”, corrente di pensiero sviluppatasi durante la seconda metà dell’Ottocento.
Il termine “bovarismo” nasce dalla singolarità del personaggio di Emma, dalla sua eterna insoddisfazione e dalla continua ricerca di mezzi spesso ambigui
per appagare la vita scialba di provincia. Primo fra tutti, l’adulterio.
Il bovarista si ciba di letture romantiche e d’avventura, insegue sogni e fantasie che lo allontanano dalla realtà e contribuiscono a fargli detestare il presente in cui vive.
L’ insoddisfazione è tanta e tale che diventa quasi spasmodica la ricerca di un rifugio che faccia da specchio alle illusioni, ai piaceri effimeri saziati il tempo di un tramonto.
Fino a desiderare la morte, come Emma, perduta per sempre.