RACCONTO DI PASQUA

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Racconti e Leggende – Nuove Edizioni Bohémien – Aprile 2014

A cura di Nino Leotta

Raffaele spalancò il balcone di casa che si apriva sul mare. E tirò un profondo sospiro. Ne aveva tanto bisogno. Provò a librarsi in alto per sognare, per inebriarsi downloaddell’immensità della natura che si stendeva ampia e generosa dinanzi al suo sguardo avido d’infinito. Di sublime. In cerca di un conforto diverso e decisamente consolante. Quel suo sguardo depresso, come il suo animo, mendicava tenerezza. Perché, durante tutta la notte, aveva lottato contro paurose schiere di fantasmi che scagliavano gesti di violenza, di disprezzo, di rabbia e sputavano parole avvelenate. Come raffiche di vento impetuoso che fingeva di calmarsi e di nuovo infieriva più intenso e ululante fino a sconvolgere l’infimo delle viscere.

La riunione di condominio si era infranta contro il secondo punto dell’ordine del giorno intorno alle 23,30 della sera precedente. Rimandando i resti di una umanità lacerata e per niente sconvolta a una ulteriore convocazione. Invano Raffaele aveva più volte tentato di riportare i ringhiosi convenuti a un pacato ragionamento, a ritrovare quell’umanità che distende e rasserena. Aveva persino cercato di orientare a un’apertura di animo che, partendo dall’apertura mentale, riuscisse a condurre a un’allietante generosità. E pare che le parole “accoglienza”, “solidarietà”, “amicizia”, “tolleranza” suonassero come offesa imperdonabile contro le “regole condominiali”, contro i “princìpi” di non so quale perverso codice che teneva immobili e inesorabilmente stretti al collo i convenuti. Anche il timido appello a un lontano richiamo alla “fraternità” che avrebbe potuto unire dei credenti, veniva decisamente calpestato e deriso all’inverosimile. Perché, appena due giorni prima, diversi dei presenti si erano ritrovati attorno all’altare della Chiesa parrocchiale a battersi compunti il petto per tre volte ripetendo mesti, in coro, “per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa…” e avevano sorriso tendendo gioiosi la mano in uno “scambio di pace”.

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“Questa non è la caritas. Questa è la nostra casa”, aveva sentenziato con determinazione un condòmino. Perché la “caritas” molto spesso si è fermata dietro la porta della proprietà privata, alla soglia dell’interesse privato, all’imbocco del centimetro di quella parte condominiale che appartiene comunque ai proprietari. Perché per alcuni la “caritas” è solo l’elemosina che elargisci da buon cristiano a chi la vita ha reso più disgraziato di te. Perché c’è chi non riesce a capire che la caritas si apre al sorriso per protendersi alla “condivisione”. Per volgersi a un senso di ospitalità nello spazio condominiale. O, manco a dirlo, nel “proprio” appartamento.

E Raffaele intuì amaramente che oltre il condominio, oltre quel microcosmo elevato a simbolo di una società malata, c’era la perversione come regola di vita. La prepotenza. L’inganno. Il tenebroso, avvinghiante egoismo che esclude, preclude, colpisce senza pietà. E con estrema viltà. Anche chi non riesce a difendersi perché non possiede nulla. Neanche la forza di implorare compassione. Raffaele ebbe abbastanza chiara la visione di un Cristo sputacchiato, deriso, percosso e crocifisso. Tanti cristi che ogni giorno ti sfiorano il braccio e ti strisciano accanto lungo la penosa strada della vita.

images (1)Celebreremo a giorni la Pasqua. Accompagneremo il Cristo morto, addolorati e mesti, dal calvario al sepolcro. Canteremo raggianti l’Alleluia della risurrezione e consumeremo l’agnello sacrificale in una lauta mensa di famiglia. Con il panettone farcito. Anche se neghiamo il saluto o accumuliamo rancore da fare esplodere nella prossima riunione di condominio per qualcuno del piano di sopra. O del piano di sotto. Perché, da buoni credenti, noi non ci riterremo mai allo stesso piano degli altri.