A cura di don Carmelo La Rosa
A volte, dopo preghiere impegnative per le persone disturbate, restano in me le stigmate della lotta e della sofferenza, mi sento abbattuto nel corpo.
La considero una forma di partecipazione e di condivisione dell’espressione più brutta del dolore e dell’abiezione umana.
Sono contento di portare su di me un frammento, un pizzico della loro croce.
Preferisco le sofferenze di condivisione a quelle personali.
Fra l’altro le prime sono passeggere e possiedi uno scopo ben preciso per affrontarle.
Supportato del pensiero di San Paolo: sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1, 24), mi dicevo che ci sono sofferenze che Gesù non ha provato.
Ma poi riflettendoci ancora penso che Gesù ha patito anche Lui l’indebolimento della comunicazione della forza perché sentiva il contatto e la potenza che usciva da Lui.
Dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano. (Mc 6, 56)
Gli portarono tutti i malati, e lo pregavano di poter toccare almeno l’orlo del suo mantello. E quanti lo toccavano guarivano. (Mt 14, 35 – 36)
Dice alla donna emoroissa: «Chi mi ha toccato?». Mentre tutti negavano, Pietro disse: «Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia». Ma Gesù disse: «Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me (Lc 8,45-46). La stessa emoroissa aveva percepito chiaramente che in Lui c’era la potenza di Dio e si era detto: Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita. (Mc 5, 28)
Non sappiamo se Gesù ne rimanesse spossato fisicamente da queste fuoriuscite di forza da Lui ma siamo certi che Lui le percepiva e ne era pienamente cosciente.
Probabilmente si sentiva davvero spossato dalla Sua attività di presa in carico di tutte le forme di malattia e sofferenza.
Potrebbe essere questa una delle motivazioni delle Sue notti di preghiera.
Il sentirsi tramite fra Dio e l’uomo, luogo di passaggio dell’Onnipotenza di Dio.
Il bisogno di far rifornimento, di far il pieno del Padre, per poterlo dare agli uomini.
Il Vangelo non ci parla tanto della spossatezza fisica di Gesù (anche se ce la fa immaginare mostrandoceLo addormentato in fondo alla barca su un lago in tempesta: (cf. Mc 4, 35) ma non ce ne risparmia gli orrori quando è nell’Orto degli Ulivi, in cui il Suo spirito diventò teatro di guerra, luogo di scontro del bene e del male, anticipo di ciò che avverrà nel sepolcro: morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello (liturgia pasquale).
E Gesù suda sangue, segno che il male del mondo toccava anche il Suo corpo, la Sua fisicità, soffriva anche fisicamente, non solo spiritualmente.
E io mi azzardo a pensare che ci siano state nella Sua vita altre notti drammatiche, magari non come quella che è l’eccesso e il massimo ma simili a quella, in cui Gesù ha vissuto, non solo sulla Sua pelle ma nelle Sue ossa e nelle viscere, la lacerazione da Dio e i colpi del peccato, non solo nella flagellazione (immagine simbolo) ma in tutta la Sua vita pubblica.
Allora possiamo augurarci anche noi di sentirci dire: a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e che ora sentite dire che io sostengo (Fil 1, 29 – 30).
Io prego per poter arrivare lì, anche se mi pare una meta tanto lontana, però tanti amici miei del passato e del presente possono dirlo e lo dicono, allora mi chiedo con S. Agostino “se questi e queste … perché non io?”
Social Profiles