Attualità – Nuove Edizioni Bohémien – Edizione Speciale Marzo 2014
A cura di Maria Pia Fontana
L’Istituto Penale Minorile di Acireale, che sempre si è distinto per l’ampiezza e per l’eterogeneità delle proposte trattamentali rivolte ai ragazzi detenuti e per la qualità dell’intervento rieducativo, ultimamente ha aperto le porte a qualche esponente del mondo dello spettacolo, in particolare a cantanti e comici, che, a titolo gratuito, hanno messo a disposizione il loro talento e le loro qualità umane a favore dei minori ristretti. Queste lodevoli manifestazioni di solidarietà sono scaturite dal fortunato connubio di sensibilità e di intenzionalità tra la Magistratura di Sorveglianza minorile, che ha autorizzato gli artisti ad accedere al carcere minorile, il Direttore dell’Istituto dott.ssa Carmelina Leo, aperta alle sperimentazioni più innovative nel campo del trattamento rieducativo, e, infine, un appassionato cultore di cinema e di spettacolo, Mario Patanè noto per aver assunto la direzione artistica di “Cinenostrum”, il quale con generosità ha messo a disposizione dei ragazzi ristretti il suo tempo e la sua folta rete di conoscenze nel mondo del cinema e dello spettacolo.
Ciò che rileva di tali occasioni non è tanto la presenza o la performace del noto attore, comico o cantante, quanto la cornice relazionale di questi incontri che traggono significato proprio per l’approccio educativo teso a dare valore allo scambio di esperienze in un clima di autenticità ed empatia. Accade così che gli artisti raccontino con fare semplice ai giovani reclusi la storia della loro vita, soffermandosi sulle sfide e sulle difficoltà del loro percorso prima di approdare al successo e nel contempo incentivino la narrazione personale dei ragazzi, mostrando interesse e condivisione umana per la loro attuale situazione. Si realizza così quel reciproco dono di esperienze e di vissuti che sostanzia ogni autentico processo comunicativo, anche grazie ad un approccio teso a favorire la condivisione di momenti di informalità, come una genuina convivialità.
Sul valore terapeutico e catartico del teatro molto è stato scritto e detto e infatti il ricorso alla recitazione è una pratica valorizzata dall’equipe trattamentale dell’IPM di Acireale anche attraverso l’impegno dei giovani ristretti nella rappresentazione promossa dall’Associazione Papa Giovanni XXIII dal titolo “Dov’è Pinocchio?”, che è diventata occasione per abbattere le barriere tra i ragazzi “normali” e i ragazzi “diversi”e per riflettere su alcuni temi come la genitorialità, il rapporto tra bene e male, la responsabilità di scegliere.
Parallelamente sono note anche le doti “curative” per lo spirito che presenta la musica, vista la sua capacità di promuovere una sintonia tra la mente e il corpo, di risvegliare, evocare e canalizzare stati d’animo e sensazioni consentendo un’alfabetizzazione emotiva. La musica, inoltre, favorisce la crescita e l’introspezione personale, sollecita la capacità di fantasticare e migliora il clima di gruppo e la comunicazione interpersonale, considerato che l’ascolto o la pratica musicale si realizzano spesso in condivisione con altre persone. Si comprende, quindi, come possa essere utile inserire esperienze musicali all’interno di un contesto detentivo minorile, dove la privazione della libertà incide pesantemente sulla vita emotiva del ragazzo, “stretto” tra la paura e l’ansia verso il futuro, il senso di colpa nei confronti della famiglia e la tristezza e la desolazione per la sua condizione attuale (P.Mulè, 2009).
Per queste stesse ragioni può rivelarsi vantaggiosa anche la promozione di occasioni di sana comicità ed ironia, non solo attraverso l’episodica conoscenza dei professionisti della risata, ma anche attraverso il ricorso a percorsi educativi più strutturati e continuativi come la clowneria, la giocoleria o la gelotologia, già utilmente sperimentati in altri istituti penitenziari anche con detenuti adulti.
La positiva considerazione che Freud aveva per le funzioni psicologiche del riso, considerato uno “starnuto mentale in grado di liberare la mente”, ci lascia facilmente intuire come la risata non solo può essere un prodigioso veicolo verso la libertà, ma può rivelarsi uno stimolo alla conoscenza più profonda su di sé e sul mondo e in questo senso può dirsi che il riso, quando incentiva questa salutare “ginnastica” intellettiva, abbonda più sulla bocca dei savi che degli stolti. A tal riguardo è nota la famosa distinzione di Pirandello tra “comicità”, che è il semplice avvertimento o percezione del contrario e dell’inatteso, e “l’umorismo”, inteso come sentimento del contrario, che consente di accedere ad una consapevolezza più ampia sulle cose e su di sè, grazie appunto al lavoro della riflessione. Non a caso, al famoso incitamento di Socrate “conosci te stesso”, Marziale aggiungeva “ridi e ti conoscerai meglio”. Tra l’altro, l’ironia può considerarsi la cartina di tornasole del grado di tolleranza e della capacità di rinnovamento di un sistema sociale, di una organizzazione o di un gruppo. Infatti, la satira e la parodia sono figlie della democrazia e i regimi dittatoriali hanno sempre avversato non solo la libertà di stampa, ma anche la libertà di risata (M.Martello, 2011).
Così come assistiamo ad una resistenza verso pratiche di ironia all’interno delle istituzioni totali (es. carcere, manicomio, convento) dove predomina l’austerità e la forzata compostezza, nonostante le incongruenze e i paradossi che sovente caratterizzano tali istituzioni, allo stesso modo si nota un’avversione radicale verso il riso all’interno delle organizzazioni criminali, specie di stampo mafioso. Queste ultime, peraltro, presentano dei tratti in comune con realtà totalitarie di tipo religioso o politico, perché poggiano su una rigida ripartizione di ruoli e su regole ferree che impongono ai propri membri un’obbedienza a priori ed un assoggettamento psichico che non lascia possibilità di pensieri divergenti, dissonanti o critici (G.Lo Verso, 2013). Quindi, l’ironia è per definizione invisa dalla mafia. Si pensi alla ventata di rabbia che le invettive burlesche di Peppino Impastato suscitavano nella famiglia di Gaetano Badalamenti e all’effetto dirompente per la demolizione della cultura mafiosa, dietro la patina di bonaria leggerezza, di qualche recente narrazione filmica, come ad esempio “La mafia uccide solo d’estate” (regia di P.Diliberto, 2013) anche per la sua capacità di mettere in ridicolo qualche esponente di cosa nostra. Ma si pensi anche a come un’istituzione detentiva possa affievolire e poi spegnere del tutto il sorriso sia verso ciò che succede fuori da sé, che verso sé stessi. Non a caso A.Gramsci in una lettera scritta alla moglie dal carcere nel 1928 annotava “ho sempre la paura di essere soverchiato dalla routine carceraria. È questa una macchina mostruosa che schiaccia e livella secondo una certa serie.(…). Penso che anche gli altri hanno pensato (non tutti ma almeno qualcuno) di non lasciarsi soverchiare e invece, senza accorgersene neppure, tanto il processo è lento e molecolare, si trovano oggi cambiati e non lo sanno, non possono giudicarlo, perché essi sono completamente cambiati. Certo io resisterò. Ma, per esempio, mi accorgo che non so piú ridere di me stesso, come una volta, e questo è grave”.
Tale preziosa testimonianza rivela la difficoltà di prendere le distanze da sé all’interno di un contesto custodialistico, segnato dall’attribuzione di ruoli immodificabili e ciò induce i detenuti, specie se privi di capacità rielaborative e critiche, ad identificarsi con la “maschera” che gli altri attribuiscono loro senza più riuscire a percepire la differenza tra le aspettative sociali e i loro bisogni più profondi ed autentici. In questo senso, imparare a scardinare attraverso l’ironia le convenzioni e gli stereotipi di ruolo (es. il capo, “lo sbirro”, la femminuccia, ecc.) alla base delle dinamiche disfunzionali tra pari, proprie di un istituto penale minorile, può avere una grande utilità sul piano rieducativo. Chiaramente non è solo aiutando i ragazzi a scoprire la parte giocosa e ironica che abita dentro di loro o che connota l’esistenza che si vince la subcultura delinquenziale o si superano le contraddizioni sociali o il disagio personale che li hanno portati a scegliere la via del crimine. Tuttavia, allargare lo spettro di proposte trattamentali ed educative cercando nuove piste operative che affianchino i tradizionali strumenti di intervento, come la formazione scolastica e/o professionale, il lavoro intramurario o esterno e il sostegno psicologico, appare necessario per rendere più efficace l’intervento rieducativo e per offrire ai ragazzi opportunità di crescita umana, incentivando la conoscenza e la padronanza di sé e il senso critico verso sé stessi e verso il mondo.
Inoltre, rendere permeabile un istituto detentivo a ciò che di positivo ed edificante l’umanità esprime, come le varie forme di comunicazione artistica, all’interno di una cornice di solidarietà e di autentico scambio relazionale, non solo migliora la condizione detentiva dei minori ristretti, che sperimentano l’afflittività della pena detentiva, nei suoi effetti privativi della libertà e di sradicamento affettivo e relazionale, ma umanizza anche la comunità, sviluppando la consapevolezza che è un paradosso pretendere che un ragazzo detenuto impari ad agire costruttivamente per la società se si alimenta l’amnesia e il rifiuto nei suoi confronti. Infine, l’uso di strategie pedagogiche capaci di coniugare efficacia e creatività ripaga non solo per i riverberi sulla motivazione e sulla crescita dei ragazzi, ma anche sui livelli di soddisfazione e di rendimento degli operatori, per il semplice motivo che non c’è migliore garanzia di produttività che lavorare contenti.
Bibliografia
Lo Verso Girolamo, La mafia in psicoterapia, ed. Franco Angeli, Milano, 2013
Martello Maria, Sanare i conflitti. Le buone pratiche per diventare adulti, ed. Guerini Studio, Varese, 2011
Mulè Paolina (a cura di) Processi educativi e rieducativi in carcere. Problemi, modelli e interventi, ed C.U.E.C.M., Catania, 2009
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