NELLA CHIESA DI CARRUBA DI RIPOSTO, “UNA STORIA CHE VIENE DA LONTANO”

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CULTURA E SPIRITUALITÀ

A cura di Maria Cristina Torrisi

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Perché recarsi ad assistere ad uno spettacolo teatrale che, sui temi affrontati da Papa Francesco, mette in scena il documento pubblicato nel 2013 dal titolo Evangelii Gaudium?
Cosa ci si potrebbe aspettare da questo tipo di lavoro che si propone con una formula nuova? Me lo sono chiesta tutte le volte che ho ricevuto l’invito a partecipare allo spettacolo, senza poter appagare la mia curiosità. Però, ad ogni spettacolo ripresentato, la sete di conoscenza diveniva più forte, anche perché avevo già realizzato una prima intervista con uno degli attori.
Ieri sera, finalmente, ho potuto assistere, e quindi apprendere di una storia.

“Una storia che viene da lontano’, il titolo della rappresentazione teatrale che, svoltasi nella chiesa San Martino Vescovo a Carruba di Riposto, mi ha letteralmente affascinata.

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A fare gli onori di “casa” il parroco, don Sebastiano Leotta, il quale ha ospitato Alfio Pennisi e Tano Grasso, gli attori che hanno messo in scena lo spettacolo, con le musiche dal vivo di Sveva Castrogiovanni, curato per audio e luce da Orazio Mangiagli.

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La rappresentazione- che trae spunto dalle riflessioni a margine sulla Evangelii Gaudium di Marco Campedelli- accogliendo l’invito di Papa Francesco, lancia un messaggio chiaro: è possibile annunciare un vangelo di gioia che “apre” le porte alla vita di Resurrezione.

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La performance, interpretata con maestria e coinvolgimento emotivo, ha offerto diversi momenti di riflessione e, con sottile ironia e a tratti comicità, ha denudato il comportamento di un “certo” tipo di apparato ecclesiastico ancora fortemente radicato a concetti “oscurantisti” che poco hanno a che fare con l’eredità lasciata da Gesù.

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Momenti commoventi hanno caratterizzato lo spettacolo nato per abbattere i muri dell’egoismo personale e della sete di potere. Nato a favore degli ultimi, degli invisibili della società.

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Il dialogo tra i due attori ha fatto emergere il bisogno di sperimentare una fede autentica che si discosta da quella bigotta impartita un tempo ai piccoli e basata sul terrore di un Dio pronto a castigare. Quella legata alla visione del peccato originale prima del concetto di Amore.

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Se gli spunti di riflessione sono stati notevoli, il mezzo per comunicarli è stato intuitivo. L’ arte utilizzata, oltre a quella della buona recitazione, si è basata sui simboli, su versatili costumi di scena, messi e tolti all’occorrenza, e sulla musica che ha toccato le corde dell’anima.

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Ho assistito ad uno spettacolo che ha saputo regalare la speranza nel suo messaggio di apertura all’amore.
Simboli chiave: la colomba della pace recante la parola usata dal Santo Padre con il suo “Grazie”, il cesto contenente le scarpe che tanto hanno fatto pensare ai migranti; il topo palermitano che denuncia i divari sociali e le ingiustizie, l’anello del Cardinale troppo misero rispetto ad altre “gioie”.

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A fare da cornice sono state le marionette ed i burattini di Tano Grasso.
La formula è stata vincente se si considera, tra l’altro, che il racconto ha stimolato l’immaginazione di quanti hanno assistito allo spettacolo. Di quanti si sono trovati sull’arca di Noè colma di anime tutti eguali dinnanzi agli occhi di Dio. E di alberi. Tutti adunati perché aventi come unica meta la salvezza. E a coloro che sono venuti a reclamare, dall’alto del loro potere, è giunto un chiaro messaggio: gli ultimi hanno preso i primi posti. Quelli legittimi.

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