RECENSIONI ED EVENTI
A cura di Giovanni Vecchio
Non capita tutti i giorni di leggere un romanzo che abbia insieme delle caratteristiche molteplici: innanzitutto quella letteraria e poi quella storica, antropologica, psicologica legata a un territorio quale quello della Sicilia orientale, e che soprattutto non mira soltanto al godimento letterario, ma esemplifica meravigliosamente un itinerario interiore che conduce alla scoperta di se stessi e all’individuazione di un percorso di vita più consapevole. Questo è quanto ha suscitato in me la lettura del romanzo “Malabotta” di Don Salvatore Coco (ed. Carthago, 2020). Don Coco, attualmente parroco nella parrocchia di Acipltani, ma che è stato anche direttore dell’Ufficio dei Beni culturali ecclesiastici della diocesi di Acireale, non è nuovo alla scrittura. Infatti sin dal 1999 ha pubblicato opere di storia locale, un bel romanzo e altri libri di pastorale e spiritualità.
Ma andiamo ad esplorare il contenuto dell’ultimo romanzo. Il protagonista si chiama Antonio, è originario di Aci Platani ed è fortemente impegnato negli studi tanto che si laurea a Milano con una tesi sull’euro e l’Unione Europea e si appresta ad inserirsi nel settore del marketing.Vive come tanti giovani di oggi il malessere dell’incerto futuro, la lontananza dalla famiglia e la caotica vita delle grandi città del Nord. Si lega sentimentalmente ad una collega di nome Liana con la quale condivide sentimenti e prospettive. Ma la sua vita cambia bruscamente quando gli giunge la notizia che il padre è morente. Parte subito per la Sicilia e vive assieme al padre gli ultimi momenti della vita del genitore, il quale gli rivela un segreto. Ovvero in un posto della casa c’è, nascosta in un cassetto, una busta con dei fogli scritti a mano, che potranno far conoscere al figlio quanto lui stesso ha ereditato a sua volta da suo padre e potrà rivelargli il cammino faticoso della sua famiglia. Raggiunto da Liana, dopo la morte del padre, i due giovani insieme si propongono di riuscire a decodificare quanto scritto in quelle pagine, ormai sgualcite e colpite dall’umidità e pertanto difficili da leggere e interpretare. Perché il titolo “Malabotta”? Perchè da questo bosco nei pressi di Montalbano Elicona prende il via la ricerca appassionata di notizie e testimonianze sul nonno e, grazie alla collaborazione di un bravo arciprete del paese mons. Bernardo Fiorella, i due acquisiscono delle informazioni dagli archivi parrocchiali di fatti di cronaca verificatisi nei secoli precedenti. Da lì i due giovani sviluppano un itinerario attraverso luoghi a loro sconosciuti e appartenenti all’area territoriale di Malabotta, e si inoltrano in territori caratterizzati un tempo da un’economia rurale facente capo a signori che davano lavoro per dissodare le loro terre. Seguono un metodo di ricerca analitico e scoprono personaggi e fatti che pian piano li conducono a ulteriori luoghi e misteri. Ma non è il caso di andare oltre perchè è opportuno che chi avrà voglia di leggere il libro, potrà con interesse seguire fino alla fine gli sviluppi della ricerca che giungerà fino a Ficarazzi, l’isola Lachea di Acitrezza e troverà compimento all’eremo di Adonai in quel di Brucoli. Scrive l’autore nel capitolo nove del romanzo: “Quelle carte sbiadite dal tempo e decifrate con impegno erano tuttavia riuscite a far rivivere sentimenti, passioni, paure e attese. Il loro linguaggio essenziale e privo di enfasi aveva trasmesso una tensione tale da mostrare palesemente come le risorse dell’animo umano sono capaci di rigenerarsi anche davanti ai fallimenti più disastrosi Queste carte in effetti costituivano per Antonio un invito a ritrovare la chiarezza interiore nonostante il trambusto della vita ….”. L”autore, che dimostra di aver acquisito ormai un dominio sicuro della dimensione narrativa, consente al lettore di appassionarsi ed è un invito implicito a non fermarsi prima di aver completato tutte le pagine del libro.
Tanti sono i personaggi che impariamo a conoscere anche se evidentemente è preponderante la figura di Antonio assieme a quella di Liana. Il bello è che alla fine l’anima non solo comprende l’importanza di alcuni valori fondamentali della vita umana, ma respira profondamente perché ha assaporato una dimensione esistenziale donata dal silenzio e dalla contemplazione favorita dall’atmosfera spirituale dell’eremo, meta finale dell’itinerario suggerito da quei fogli sgualciti e quasi illegibili trasmessi dal padre ad Antonio. Si spiega così la scelta di Don Coco di premettere al testo i famosi versi filosofici di Eraclito: “Per quanto tu possa camminare,/ e neppure percorrendo intera la via,/ tu potresti mai trovare i confini dell’anima:/ così profondo è il suo lògos”.
Social Profiles