Storiche memorie – Nuove Edizioni Bohémien – Gennaio 2014
A cura di Mariella Di Mauro
Alla caduta dell’impero romano i barbari abbandonarono la struttura del cognome latino; si passò ad un uso di un nome subito comprensibile: Augustus – favorito da buoni auspici.
Da sempre gli esseri umani hanno cercato di vivere aggregandosi. Anche quando nel Paleolitico erano ancora nomadi, vivevano in gruppi ed insieme combattevano le belve o le cacciavano per sfamarsi.
Famosa la frase di Aristotele (IV sec. a. C.) che definiva l’uomo un animale sociale, cioè fatto per vivere con gli altri, formarsi una famiglia, vivere in gruppo e riuscire ad identificarsi dagli altri. Proprio per distinguersi, cominciarono a darsi dei nomi che, inizialmente, presero ispirazione dalla natura: orso, cane, montagna, lupo…In questo modo nacquero i primi identificativi.
L’identificativo, naturalmente, risulta essere più semplice se il gruppo a cui si appartiene ha dimensioni più piccole; se la comunità è più estesa gli identificativi devono essere diversificati.
I romani, quando diventarono un grande popolo, sentirono un forte bisogno di identificarsi con un nome proprio e con uno attribuito dalla “gens”, il loro clan di appartenenza. Nell’età Repubblicana aggiunsero un altro identificativo, per evitare i casi di due individui con lo stesso nomen, appartenenti anche alla stessa gens. Quindi aggiunsero un soprannome, cognomen, che, spesso, faceva riferimento alle caratteristiche fisiche personali e anche ad un quarto nome: Publio Cornelio Scipione detto l’Africano. L’attribuzione traeva origine dal colore della pelle o dei capelli, dal vissuto, dal luogo di provenienza, da difetti particolari.
Alla caduta dell’impero romano i barbari abbandonarono la struttura del cognome latino; si passò ad un uso di un nome subito comprensibile: Augustus – favorito da buoni auspici.
Nel Medioevo il nome, in prevalenza, era ispirato ai santi più noti della tradizione. Dopo il Mille, sempre sotto l’influenza barbarica, si cominciò ad affiancare al nome di battesimo quello del padre (patronimico) o della madre (matronimico) usandoli in caso genitivo: Di Marco, Di Grazia, D’Agnese, D’Agostino, Della Vedova. Queste abitudini non erano solo nostre, i britannici aggiungono son – Johnnson; le popolazioni nordiche sen o son – Johassen; gli slavi vic, ig, cic – Ivanic, Petrovic; i russi ov, spesso scritto off, – Stefanov.
Tra il secolo X e XI, l’età Comunale, ebbe la difficoltà di individuare le persone e registrarle. Da qui l’origine di molti nomi, derivati da coloro che sfuggivano dall’essere servi e andavano a vivere in città: i nomi che davano sottolineavano la loro provenienza: Dal Bosco, Del Monte, Costa, Napoli, Valle, Fiorentini; oppure provenivano dal mestiere: Barbieri, Giudici, Abate, Ferraro, Sella; o da una caratteristica personale: Mancino, Rosso, Bianchi; oppure figlio di: Pietro figlio di Leone. All’inizio, quindi, il cognome, non aveva la caratteristica dell’ereditarietà, era semplicemente un modo per differenziarsi dagli altri. Dal Concilio di Trento i parroci ebbero l’impegno di gestire i registri con i nomi e i cognomi per evitare matrimoni tra consanguinei. Man mano, naturalmente, il cognome divenne un obbligo e, nel Decennio Napoleonico, assunse le caratteristiche ancora oggi in uso. Infine, un discorso a parte è quello di una categoria di persone che, essendo dei trovatelli, avevano cognomi imposti da responsabili di orfanotrofi o da parroci: Esposito, Esposti, Proietti, Trovato, Ignoto, Innocenti, Diolosà; o con la denominazione dell’Istituto: Casadei, Casadidio, Della Pietà; o con nomi augurali che la carità cristiana riservava ai bimbi abbandonati: Ventura, Venturini, De Deo, Diotallevi, Sperindio, Bonaventura, Benvenuti. Oggi, in Italia, sono circa 13.000 il numero di cognomi presenti, da questi, naturalmente, sono esclusi i cognomi cambiati per errori alla denuncia o per sbagli nella trascrizione anagrafica.
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