Formazione e Società
A cura di Enzo Coniglio
Sono molte le persone che si professano “intellettuali”: la maggiorparte dei laureati e dei professionisti, e che, a pieno titolo, si considerano la classe dirigente del Paese. E ne saremmo felici se così fosse perchè il nostro Paese ha assoluto bisogno di una seria e approfondita analisi della situazione attuale e della individuazione degli strumenti per uscire dalla gravissima impasse attuale.
E chi potrebbe svolgere meglio questa azione se non l’intellettuale che per definizione è colui che sa leggere dentro i fatti (intus légere) e individuare proposte operative. I Gesuiti lo avevano capito fin troppo bene e avevano creato delle scuole talmente efficienti e capaci di raggiungere tale risultato da essere progressivamente espulsi dagli Stati più potenti. Lo aveva capito altrettanto bene Stalin e i dittatori che hanno popolato il pianeta nel corso dei secoli. E non è un caso che Antonio Gramsci si rivolgesse agli intellettuali e chiedesse loro di essere organici alla società e allo sviluppo social e politico..
Ma, aldilà di questi casi, resta il fatto che nessuna società evoluta può sopravvivere a se stessa se non alimenta la sua classe di “intellettuali”: di quelli che sanno “leggere dentro”, progettare la “res publica”, la “cosa politica” che dovrebbe essere appannaggio degli “aristoi”, dei migliori nel significato che a questa parola hanno attribuito Platone e Aristotele che hanno concluso la lunga serie dei loro scritti con un volume di sintesi, denominato “Politica”.
Sebbene il concetto di “intellettuale” e il suo ruolo culturale, sociale e politico, sia chiaro a tutti,nella moderna società italiana purtroppo la funzione politica sembra essere dominata da persone in gran parte non eccellenti, come si evidenzia dal dibattito in corso a tutti i livelli e in tutte le sedi. E con il declino della classe intellettuale politica, si accentua il declino stesso delle città, anche di quelle che storicamente avevano svolto una funzione primaria.
Un esempio di questo declino, che alcuni chiamano nuova barbarie, lo si ritrova anche nella gloriosa città di Acireale dove non si riesce a individuare con chiarezza dove risieda la classe degli intellettuali e quale sia la sua reale forza propulsiva. Una decadenza infinita delle imprese, del mercato del lavoro, delle associazioni, delle istituzioni, delle scuole e dell’impegno politico, dominato dai cerchi magici controllati solidamente da gruppi inadeguati.
Qui non si tratta di accusare nessun gruppo o partito ma di limitarsi alla semplice constatazione dei fatti. Acireale non sta creando lavoro, non ha un piano di sviluppo, non possiede un piano di innovazione scientifica e tecnologica che possa permetterle di rifondarsi, non sa difendere il suo enorme patrimonio culturale e turistico e in particolare il patrimonio delle terme, della Timpa e del Barocco. Rimane una società chiusa in se stessa, sfilacciata con nessuna apertura internazionale, geopolitica e geoeconomica significative. Ne sono prova le poche iniziative, conferenze e dibattiti in corso organizzati tra le antiche mura.
E quello che fa più male è rendersi conto che di intellettuali e di intelligenze brillanti ce ne sono tanti non solo all’interno delle sue mura ma impegnati su tutto il territorio italiano e nei cinque continenti.
Ci sono dei barlumi di speranza? Senza dubbio SI a ben vedere. Ma si tratta di segnali molto timidi che vanno incoraggiati ma non ancora tali da raggiungere una massa critica.Quella che preoccupa e la limitatezza della leadership.
Una cosa è certa e ci fa ben sperare: i notevoli investimenti che i nostri Padri hanno effettuato con tanta lungimiranza in economia e nella bellezza intesa nel senso greco di “Kalòs kai Agathòs” – del bello e del buono – permangono tra noi, pronti a germogliare se gli intellettuali decideranno finalmente di uscire allo scoperto e di effettuale una attenta lettura del tessuto culturale, sociale e politico e rifondare la Città a beneficio delle nuove generazioni.
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