LIBERAZIONE

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Per non dimenticare… / Storiche Memorie

 

A cura di   Antonino Leotta

 

Un motivo -quello della LIBERAZIONE-  che torna coinvolgente in questi giorni di prolungato condizionamento. Una celebrazione che ridesta profondi desideri di continuità nell’ora della sofferenza. Potrebbe sembrare una commemorazione di routine, un appuntamento annuale per una festa che si fa sempre più lontana dai problemi del nostro tempo. Ma, a pensarci bene, resta un momento forte per riaffermare il valore della libertà come bene inalienabile in qualsiasi contesto di vita. L’impegno di alcuni italiani, uniti ad altri fronti di guerra, ha realizzato una drammatica conquista.

Ho provato anch’io la paura della guerra e i giorni della fame. Sensazioni che si continuano a provare ancora oggi. Se tendiamo l’orecchio riusciamo a percepire il grido di angoscia di chi soffre morte e fame. Perciò ci piace ricostruire una storia che ci appartiene. Perché affonda le sue radici nell’essenza stessa della vita: libertà. 

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Nell’aprile 1946 Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio in carica, propose a Re Umberto II, principe e luogotenente del Regno d’Italia, di celebrare il primo anniversario della liberazione dal nazismo e dal fascismo. Umberto II  -il 22 aprile 1946- emanò un decreto che recitava: “A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale”. Quella celebrazione venne ripetuta nel 1947 e nel 1948. E così, il 27 maggio 1949, con la legge 260 dal titolo “Disposizioni in materia di ricorrenze festive”, venne definitivamente istituzionalizzata come festa nazionale la giornata del 25 aprile di ogni anno. E’ opportuno ricordare gli avvenimenti storici che hanno segnato l’ultimo periodo della seconda guerra mondiale in Italia.

A fine luglio del 1943 Benito Mussolini, per ordine del Re d’Italia, venne arrestato. Il 2 agosto dello stesso anno, mentre Badoglio era nuovo Capo dello Stato, il Re d’Italia decretò la fine del Partito Nazionale Fascista.

Poco più di un mese dopo, Mussolini venne liberato dai tedeschi e fondò il Partito Fascista Repubblicano nella costituita Repubblica Sociale Italiana. C’erano di fatto due Italie. Una parte della vecchia Italia era ancora occupata dai tedeschi e semi gestita e controllata dal Partito Fascista Repubblicano. L’altra parte della vecchia Italia era occupata dalle truppe “alleate” (che erano sbarcate in Sicilia il 9 luglio del 1943) e dai resti di uno scomposto Esercito Italiano fedele al Re e al Governo Badoglio.

Evidentemente, la Germania doveva organizzare un blocco all’avanzata delle truppe “alleate” e Hitler ordinò l’invio in Italia di 18 divisioni tedesche. Il comando militare sul territorio italiano venne assunto da Erwin Rommel. La prima operazione fu quella di eliminare i soldati italiani nel territorio occupato dai tedeschi. Oltre 600.000 soldati vennero rastrellati per essere trasferiti nei campi di lavoro in Germania e in Polonia. Nel momento dell’incertezza generale, alcuni riuscirono a fuggire e iniziarono a organizzare dei gruppi clandestini. Una pagina triste fu anche quella che vide alcuni episodi di scontro tra soldati italiani fedeli all’alleanza tedesca e soldati italiani disposti a collaborare con gli “alleati”. 

Intanto, subito dopo l’armistizio firmato a Cassibile il 5 settembre 1943 (e reso pubblico l’otto settembre), venne costituito ufficialmente il Movimento della “Resistenza” che affiancava l’Esercito Italiano e gli “Alleati” per liberare l’Italia dall’invasione nazista e dalla Repubblica Sociale in mano al Partito Fascista Repubblicano. Il 9 settembre 1943 i firmatari di quel Movimento furono: Ivanoe Bonomi (Presidente del Consiglio dei Ministri in carica), Alcide De Gasperi (successore di Bonomi e anche, in seguito, primo Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana), Alessandro Casati, Mauro Scoccimarro. Pietro Nenni, Ugo La Malfa, Sergio Fenoaltea, Giuseppe Romita, Meuccio Ruini e Alessandro Casati. Questi firmatari formarono il “Comitato Nazionale di Liberazione”.

Il 7 febbraio del 1944 venne ufficialmente costituito a Milano anche il “Comitato Nazionale di Liberazione Alta Italia” perché l’azione partigiana si spostò in maniera massiccia nel nord del Paese ancora sotto il dominio tedesco.              Evidentemente il Movimento della Resistenza si muoveva in tutta segretezza nei territori occupati dai nazisti ed era sempre sotto il pericolo costante del controllo del territorio da parte dei fascisti.

I due Comitati avevano il compito di organizzare insieme, dare indicazioni e collegare i vari gruppi  già formati e che si andavano formando. Le formazioni assunsero diversi nomi nei vari raggruppamenti di “bande”, “brigate, “divisioni”. Si contarono oltre cinquecento gruppi di persone provenienti da diversi orientamenti politici ma tutti antifascisti. Ciascun gruppo ha scritto la propria storia e, pur nelle prevedibili divergenze, l’animo antifascista legava tutti in un’unica lotta. Tra i vari partecipanti, trascrivo alcuni nomi che occuparono, in seguito, responsabilità di prestigio:  Ferruccio Parri, Luigi Longo,  Giorgio La Pira, Sandro Pertini, Giuseppe Saragat e tanti altri.

Liberazione

L’esperienza della “Resistenza” era già stata sperimentata in diversi momenti e circostanze diverse in tutto il mondo. Dove c’era da liberarsi da una occupazione straniera o da una regine totalitario, si formavano gruppi di gente del popolo che si ponevano l’obiettivo di una liberazione.  Non fu facile l’intesa e la collaborazione tra un movimento clandestino e gli “alleati”. Inizialmente si palesò chiara la diffidenza degli “alleati” nei confronti di una presenza poco compatta e poco organizzata. Gli “alleati”, tuttavia, si resero conto delle difficoltà del nuovo Regno d’Italia e, soprattutto, del nuovo governo Badoglio nel riunire un esercito italiano con soldati sparsi su fronti diversi. Perciò si convinsero che non si poteva ignorare un esercito di base che conosceva molto bene i territori e che, da tempo, aveva operato per cancellare la presenza dell’organizzazione fascista in Italia.In effetti, era proprio questa la molla che aveva fatto scattare l’impresa della “Resistenza”: liberarsi dal perverso coinvolgimento nazista e, soprattutto, cancellare una organizzazione fascista che aveva sconvolto i primari valori risorgimentali di una Italia libera e democratica. Quando arrivarono i momenti in cui “alleati” e partigiani si ritrovarono accanto, divenne alta l’intesa. Fu lo stesso  Winston Churchill in persona a dichiarare: “Truppe italiane antifasciste, sebbene abbiano subito dure perdite, combattono a fianco dei nostri”. Altrettanto importante la dichiarazione dell’esercito statunitense: “Noi della missione americana siamo più che orgogliosi di avere avuto l’occasione di marciare per un periodo di tempo accanto a voi… Il nostro ringraziamento va a tutti i partigiani della VI zona, per i quali nutriamo la più sincera ammirazione per il loro magnifico comportamento… Finito il nostro compito e tornando negli Stati Uniti, portiamo con noi il ricordo di voi e del vostro aiuto… Non possiamo fare altro che ringraziarvi nuovamente per questo”.

Andando a leggere le testimonianze a proposito, si registrano, nell’estate del 1944, circa 80.000 partigiani che operavano sulle montagne della Toscana e dell’Emilia-Romagna. Meno di un anno dopo, il numero raggiunse i 350.000 combattenti. Di essi, persero la vita oltre 37.000 civili e oltre 17.000 ex militari. Si può, quindi, capire l’azione della resistenza italiana nel superamento della “Linea Gotica” e nella conquista di diverse città e territori del nord Italia. E, quando gli alleati entrarono in Milano, già la città era stata liberata il 25 aprile dai Partigiani.

Giorgio La Pira, poi sindaco di Firenze ed, oggi, “venerabile” in attesa di beatificazione, dirà:  “La Resistenza è stata la cosa più grande della storia d’Italia. Per essa tante creature sono morte: creature, miti, anime elette come Anna Maria Enriquez e Tina Lorenzoni e tante altre il cui sacrificio è documento di una giovinezza che ha creduto nei valori infiniti, intoccabili dell’uomo…. La Resistenza fu la rivolta legittima contro la coscienza umana coartata e il suo valore rimane immutabile.”

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L’episodio del 29 aprile 1945 a Piazzale Loreto avvenne mentre veniva firmata “La resa di Caserta” nella Reggia di Caserta tra rappresentanti “Alleati” e rappresentanti Tedeschi. Nel momento in cui veniva sancita quella resa incondizionata che segnò la fine del nazifascismo in Italia, la furia partigiana mise in espozione a Piazzale Loreto  -in quello stesso luogo dove era stato precedentemente consumato un eccidio di combattenti partigiani-  i cadaveri di Benito Mussolini e Claretta Petacci (precedentemente giustiziati nel villaggio di Dongo).  Ho avuto modo di scrivere così su una mia pubblicazione del 2010 (”LIRE 12,50 Frammenti di Storia”  Antonino Leotta, pag. 38):

“…Dopo una lunga guerra che aveva visto scorrere fiumi di sangue, fiumi di inchiostro giudicheranno questo episodio conclusivo. Per alcuni, infatti, l’immediato epilogo sarà un fatto esemplare, per altri una esecuzione sommaria, per altri ancora il risultato di un momento di grande incertezza, di scollamento tra un governo lontano e una prima linea abbastanza calda fatta di gente con il cuore in gola. Una esecuzione provocata, forse, dalla lunga e snervante sofferenza della lotta partigiana, ma anche dalla rabbia e dall’odio. Un “tribunale di guerra”, in realtà, un po’ troppo solerte. Tornerà discutibile, ad esempio, l’esecuzione della Petacci. Ma alcuni partigiani vollero chiudere immediatamente un periodo storico troppo amaro o non vollero più correre il pericolo di una seconda liberazione di Mussolini. Certamente fu un episodio che appartenne alla guerra. E la guerra per sua natura, l’ho già detto, non ha nessun rispetto per la vita. E’ proprio fatta per distruggere la vita.

Ma, in questo triste scenario di morte, resta il fatto positivo che l’Italia rivide un’alba di liberazione. Un momento storico che non può assolutamente essere cancellato con un colpo di spugna. Purtroppo, si sta sviluppando un silenzioso e subdolo tentativo di capovolgere avvenimenti storici conferendo loro altri significati. Non si può sminuire o, addirittura, liquidare con una condanna, il movimento partigiano. Anche se, tra le fila dei partigiani, si consumarono delittuosi abusi. E non si può assolutamente rimpiangere, con reminiscenze nostalgiche, l’aspetto perverso del ventennio fascista. Le nuove generazioni non possono e non devono dimenticare l’immane sacrificio di milioni di italiani che contarono giorni di disperazione, di miseria, di fame, di morte. E la gente che ha vissuto sulla propria pelle quei giorni, deve sentire il dovere di coscienza di trasmettere una memoria incancellabile”…