LE ODI
A CURA DI LUDOVICO ANASTASI
TRAMONTO
Questo il mio vulcano, questo il mio mare, e i miei occhi alla sera distesi, in calma, alla notte vicina dopo l’affondo d’artigli al giorno cadente. Tutto verra’ confessato nei sogni: gli sguardi rubati e la donazione di essi, delle labbra i tremori nascosti, e l’eterno burrone sul ciglio del cuore.
LA CREPA
Questa memoria pretestuosa, atavica, che sale dal fondo della notte e mi riporta nelle praterie della prima infanzia, e non si lascia interrogare, mi disarciona dal mio esser giudice. E mi si fa compagna, mi seduce e mi vizia, come sposa predestinata da prima che io fossi.
VITE
Sembra debba tornare lo scirocco, a scivolare sulle nostre vite, sui nostri umori, sulle fissate righe (che non sia mai che se ne esca fuori). E le parole non spazieranno al di la’ di cio’ che si vuole veramente dire: resteranno mute, come quei silenzi che si prestano agli errori. Oh povere parole che non hanno cambiato e mai cambieranno il mondo, ne’ noi, che invecchiamo con esse, sempre le stesse, sempre singhiozzate in fondo al cuore.
DEL QUOTIDIANO
Quel silenzio al mattino, appena sveglio, (la mente al caffellatte, al fumo), all’abuso di parole contrapposto, rigoroso, a se’ stesso custode attento, mai pedissequo, non e’ gratuito: lo pago, ed anche caro.
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