LE ODI
A cura di Ludovico Anastasi
INNAMORAMENTI
Sono ancora io, di me stesso ridestato martire, al viso tuo ancorato, come albero dalle radici salde che a te vorrebbe giungere, idolatra che le tue carni non ha mai sfiorate.
E questo spento entusiasmo che di porta in porta mi porto appresso vagando per casa con la santa bugia che il Natale e’ sacro, mi giova per accendere l’albero in attesa che il Bambino sulle mie spalle agisca rendendo come piuma del padre mio il peso.
DELLE ILLUSIONI
E’ per le mie scarpe se m’attardo a letto, che’ non si dica che le sciupi invano lungo il tragitto interrotto con metodo scientifico, il meglio del preciso cronometrico cominciamento incontro ad un sogno temendo il peso del risveglio.
NUOVO ANNO
Costantemente di fronte alle contrarie evidenze, le spine sante viatico per un ritorno all’eden o al non so che cosa ci possa riservare la morte, la grande ingiusta, la birbante o, forse, il doveroso niente.
CAPODANNO
Ora e’ bello, un vero auspicio: l’Etna e’ tutta in bianco. Rotolarvi vorrei incastonando gli occhi miei ai tuoi. Nuovo anno, ci devi credere che sara’ tutto tutto un bisogno con poderose quote di rigetto.
FATTI DI CRONACA
Si inseguono gli eventi, teorie di croci in chilometriche strade, disconosciuti gli affanni, i fari si accendono solo su fatti eclatanti. Cosa abbia portato a tanto, tagliuzzati persino i capelli, cercando i peli nell’uovo, resta un movente solitario a noi recondito per sempre, soprattutto al soggetto capace di tanto, chiedendosi sempre del perche’ complicazione di Dio sia nato.
QUADERNI
E quelle pagine bianche che riempio e a volte straccio, pazienti all’assegnato ruolo, mi subiscono e mi confondono quando par dicano che anch’esse sono anima a cui devo ascolto, quella bianchezza contemplando in silenzio sacro, prima d’inventarmi poeta a danno loro.
E se la redenzione passa per le notturne veglie, mi immergo volentieri in questo confine labile fra il buio e il niente, paradosso dei paradossi, ricordando quel buio tempestato di spiriti e di orchi ben addestrati ai subitanei attacchi per condurmi nei loro oscuri regni. Ed ora che sono grande, e di tanti anni, parecchi, mi grava un buio pesto nell’attendere le albe.
TRAVAGLI
Seppure ingiallite ancora tante sono sui rami le foglie. Con l’inverno si approssima la gia’ perduta battaglia. Infreddolita passa una donna anziana, ben altri pesi che quelli di un supposto poeta. Ha il cuore semplice e la vittoria. Mi manca la preghiera, quella sua felice fascia oraria giornaliera. La sua tortura mi resta.
6 GENNAIO
E mi si epifanizzo’ in tempi di monelleria felice. Tutto cambio’, anche la crosta della terra. Tribolanti divennero i rapporti. Come in questo giorno piu’ forte s’illumina la stella guida e par che all’anima la pace dia. E’ il Lui Salvifico con cui radici vorrei piantare.
VERSO SERA
Narro di me la recondita risorsa che mi giace nella parte oppressa e stanca, il memoriale della rosa colta anzitempo la fioritura, della carne paterna il grappolo che, in un fianco dell’anima, testardo, penzola. Il Caos che la vitalita’ spaventa e ingiuria e l’immensa rabbia dalle stelle custodita. Di me occulto la strategia studiata per la battaglia decisiva, e narro ancora la stupefatta abitudine dell’alba.
Quel concetto di felicita’ assurdo che ci deforma nel pensarlo nostro, con noi nato, questa insistente voglia plenaria, al tepore del sole o sotto raggio di luna, e che altro non e’ oltre a condizione occasionale, quasi banale nel tira e molla con le ore, uno sfoggio da passeggio con l’abito cruciale.
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