Arte & Architettura – Nuove Edizioni Bohémien – Edizione Speciale Marzo 2014
A cura di Simona Ippolito
Martedì 18 marzo 2014 il castello di Leucatia è stato luogo di incontro grazie all’Associazione “L’accademia del tempo” la quale ha coinvolto, in un dibattito a quattro, due mondi apparentemente molto distanti tra loro ma in realtà vicini, quello dell’architettura e quello filosofico.
Il confronto è stato aperto dal Dottor Giuseppe Scannella, il quale ha trattato il tema dello spazio architettonico in relazione alle emozioni, sottolineando come il ruolo dell’architettura sia quello di far stare bene le persone. Spazio, luce e musica sono tra gli elementi che permettono questa alchimia uomo-ambiente la quale deve essere realizzata in una sintesi armonica. Lo spazio assume funzioni e ruoli diversi, ogni luogo civico libero diventa uno spazio da colmare, spesso con piazze e realtà architettoniche di tipo diverso ma molto più spesso con agorà di nuova concezione, quali i centri commerciali, molto diversi dall’idea greca da cui traggono spunto. Questi, volti alla creazione di luoghi obiettivo, vengono a loro volta definiti ”non luoghi” in cui si perde il contatto con la natura, col prossimo, in una visione strumentalizzata alla spinta al consumo da parte dell’uomo. Spesso, ancor peggio, l’evoluzione demografica con funzione geometrica, ha portato al riempimento attraverso strutture standard e sistematiche, tanto da parlare di “Città Negata” in cui le funzioni sociali perdono il loro ruolo.
La luce, che nelle antiche concezioni architettoniche era libera di fluire ma anche di creare giochi d’ombra adesso viene “usata” funzionalmente all’ uomo-architetto, in cui l’elemento predominante è il travertino, lontano da una identità del luogo e delle forme. La musica, anch’essa, ricreata attraverso le forme gotiche che ne permettevano il passaggio del vento, oggi, spesso, va inserita in maniera artificiosa, in una realtà poco naturale anch’essa. Dunque cambiano le funzioni e con esse, l’utilizzo di elementi principe dell’architettura.
Si discosta da un’ottica “scandalosamente” moderna, Renzo Piano, che non i suoi lavori riesce a realizzare spazi e realtà avulsi dall’esibizionismo tipico di molti architetti europei, in un’ottica di sostenibilità ambientale e rispetto dei luoghi. Scannella ricorda, portando esempi di lavori privati, come si può intervenire senza snaturare. Cercando di essere il più armonici possibile con l’ambiente che ci circonda, utilizzando materiali che rappresentano l’identità del luogo e non intaccando negativamente la realtà esistente, è possibile proporre architetture che, come il dialetto, devono mantenere viva la realtà locale. A questo scopo propone città liquide, adattabili all’essere intrinseco dei luoghi.
Sebastiano D’urso ci presenta con forza quanto la modernità nel tempo sia stata sempre scomoda ai contemporanei ed attraverso un gioco, coinvolge gli ascoltatori nella lettura di critiche negative che i contemporanei di ogni epoca fecero nei confronti dei grandi artisti come Michelangelo. Ci presenta delle frasi che scherniscono opere oggi considerate stupende ma dapprima senza identificarle, chiede successivamente se la loro descrizione rappresenti opere moderne ed effettivamente pare così, ma dopo ci mostra come le critiche sono rivolte a grandi realizzazioni come il Duomo di Milano col suo gotico, il romano barocco di Piazza del Popolo, la metallica Tour Eiffel. L’impatto è forte, l’ammirazione per le opere che ci hanno preceduto viene posta in parallelo con la freddezza di molte opere odierne, facendoci riflettere come soltanto i posteri apprezzeranno l’attuale modernità e come questo sia insito nell’uomo… ma è bene arrenderci a ciò in quanto se ai tempi fossero stati ascoltati i commentatori pisani oggi avremmo avuto una città senza né torre né battistero.
Ivo Celeschi con la sua capacità poetica rimette in discussione la perplessità condivisa dell’uomo contemporaneo per ottenerne una comune comprensione e facendo menzione ad esempi come la chiesa di San Giovanni rotondo con il suo gioco di luci e archi interni, mostrando, a suo avviso, come sia realmente difficile sentire lo spirito della preghiera quanto piuttosto semplice percepire l’ego dell’architetto. Vi è poca armonia tra esigenza e realtà, l’uomo non comprende la direzione piuttosto viene disorientato. Spesso questi luoghi creano disagio e ancor più di frequente sono concepiti con l’idea di creare terrore e ansia, contrariamente a ciò che Gaudì col suo spirito naturalistico della moderna Barcellona cercò di comunicare, oscurando l’emozione che l’arte dovrebbe suscitare e rendendo la riflessione di Sofocle ancora attuale, “Dove devo andare? …e dopo, dove dovrò tornare?”.
Il filosofo Davide Piccione conclude con un atteggiamento di domanda alle soluzioni architettoniche trovate, richiamando come l’arte dovrebbe evocare sensazioni e come in ciò filosofi ed architetti siano le sole categorie sociali a concentrarsi sull’analisi del presente e della critica allo stesso, e ci lascia chiedendoci se davvero questi luoghi, in cui l’artista ha messo tutto se stesso, siano privi di capacità di espressione.
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