LA SICILIA E GLI ARABI

Il metodo di governo dei nuovi venuti era vario, esso spaziava dall’autonomia alla schiavitù; agli abitanti era concesso conservare la fede cristiana a condizione che la loro convinzione non diventasse atto pubblico, e, che, ogni cristiano versasse una tassa all’autorità musulmana.

A cura di Mariella Di Mauro

popolo+arabo+sicilia3768

La conquista musulmana della Sicilia sottrasse  la nostra terra al dominio bizantino che aveva usato l’isola solo come una provincia da sfruttare, proprio come era avvenuto al tempo dei romani, quando esisteva solo il sistema latifondista e la monocoltura del grano che impoveriva la terra.

La composita popolazione siciliana, dagli abitanti più antichi, quali sicani, siculi… mescolati a seguire con fenici, greci, romani e, ultimi, i bizantini, si sovrappose ai nuovi invasori: arabi, berberi, Persiani, in poche parole i musulmani.

Il metodo di governo dei nuovi venuti era vario, esso spaziava dall’autonomia alla schiavitù; agli abitanti era concesso conservare la fede cristiana a condizione che la loro convinzione non diventasse atto pubblico, e, che, ogni cristiano versasse una tassa all’autorità musulmana.

C’è, però, da dire che, durante il periodo di sottomissione agli arabi, la Sicilia vide rifiorire molte delle sue attività, soprattutto quelle agricole ed artistiche. Ne sono esempio le città, e quindi il comprensorio, di Palermo e Caltagirone.

I greci avevano chiamato Palermo “Panormus”, cioè, tutta porto, proprio per la sua grande insenatura che fungeva da porto e, attorno al quale, sorgeva la città. Gli arabi storpiarono il nome in “Balarmuh” e fu proprio quello il nome che la città prese per sempre!

Il centro, che nel sec VIII fu fondato dai fenici, era limitato da un perimetro di mura e di torri, i musulmani cominciarono a costruire e a dare alla città un assetto diverso, andando oltre i limiti allora delineati. Edificarono, anche, un grande palazzo nella parte più alta della città, che poi prese il nome di “ Palazzo dei Normanni”: fu la prima grande sede governativa della Sicilia, e lo è tutt’oggi.

L’amministrazione aveva ripartito la città in mestieri e commerci, i quartieri erano affidati ai gruppi etnici o ai gruppi militari che li abitavano. Oggi, dei tantissimi edifici arabi non ne è rimasto alcuno, sono stati  tutti distrutti, a partire dall’XI  secolo,  in parte dai normanni, ma la parte decisiva, senza dubbio, la ebbero i cattolici spagnoli, votati com’erano a eliminare, esattamente come avevano fatto in Spagna, qualsiasi cosa potesse solamente offuscare la fede Cattolica.

San Giovanni degli Emeriti

San Giovanni degli Emeriti

Ma, tornando agli arabi, Palermo, e tutta l’isola, grazie a loro, diventò protagonista di una nuova e grande civiltà. La più importante fu la radicale novità nell’agricoltura siciliana tanto da farla diventare una rivoluzione agricola. Gli arabi avevano come scopo primario salvaguardare la fertilità del suolo, da qui l’importanza della concimazione e dell’irrigazione che con loro diventa anche per noi siciliani un culto, basti pensare ai chilometri di “saie”  che percorrono tutta la nostra terra, per fare arrivare l’acqua ai giardini arsi, nelle estati afose.

L’acqua e il suo buon uso (macchine e mulini) consente di coltivare nello stesso terreno generi di piante differenti.

Una tecnologia diffusa era la “noria” che si differenziava da quella romana perché le ruote erano provviste di ingranaggi ed erano azionate da forza animale.

L’agricoltura siciliana nel periodo arabo fu ricca di molte specie; negli orti e nei frutteti si diffondevano piante che provenivano dalle paesi sottomessi al dominio arabo o prelevate da regioni ancora più lontane. Molte piante erano di origine tropicale e, quindi, con elevato fabbisogno d’acqua, i romani già le conoscevano ma fu solo con i nuovi sistemi produttivi che fu possibile coltivarle nei nostri giardini. Le nuove piante sono parecchie: la canna da zucchero, il papiro che per qualità eguagliava quello egiziano, le zucche, i cocomeri. Molto diffusa e consumata, anche per le presunte proprietà afrodisiache, era la cipolla che veniva mangiata, prevalentemente, cruda. Nuovi erano gli spinaci, conosciuti in Andalusia già nel XI secolo, i carciofi, le melanzane che dall’India giungono in Egitto, poi in Tunisia e nel X secolo in Spagna. C’era, poi, il riso, il lino ritenuto di ottima qualità, il cotone, i legumi, il sesamo, la manna, la malva.  Famose erano le piante coloranti come l’indaco (azzurro), l’hennè (rosso), il guado (blu), il mirto per la concia delle pelli.

Nelle zone con poca acqua si coltivavano altre specie di piante: l’olivo, il gelso, il noce, il carrubo. In città, e nei suoi rigogliosi giardini, non potevano mancare, ovviamente, le palme da datteri.

Con gli arabi, dalla Spagna, arrivarono, naturalmente, gli agrumi, il banano, una nuova forma (nuova esteticamente) della vite. E poi le rose e, quello che è ormai, il nostro gelsomino: è impensabile la nostra Sicilia senza il suo sensuale e inebriante odore, soprattutto d’estate, sul far della sera, quando ancora persiste il caldo bruciante e mentre, timidamente, arriva un lieve alito di frescura che insieme porta con se il suo profumo, che, anche se lo conosci dall’infanzia, ti stupisce sempre e ti annebbia i sensi! E il profumo delle zagare di cui tutte le ville, i giardini o anche le più piccole case rurali sono ampiamente provviste?