LA SCELTA DELL’AMORE

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Attualità

LA SCELTA DELL’AMORE
A cura di Antonino Leotta
Foto di Petra Sappa g.c.

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La Città di Acireale è sempre desta. Archiviata la Festa di Santa Venera, ora si guarda verso il Carnevale estivo. Poi, ci si orienterà verso la Fiera dello Jonio. E, ancora, verso…le elezioni regionali… Ogni evento creerà nuove “attrazioni”.
C’è una caratteristica, tuttavia, che accompagnerà sempre la magica forza di ogni fatto celebrativo: affiorerà e, in crescendo, esploderà lo scontro tra due opposte fazioni. E’ innegabile. La storia di questa città lo dimostra chiaramente.
Mi fermo a constatare. Il primo rilievo da evidenziare riguarda gli ambiti dei due fronti in opposizione. Sono essenzialmente due: l’ambito religioso e l’ambito politico-amministrativo. In ciascuna di queste “aree”, di volta in volta, si apre un confronto che assume toni di esasperato contraddittorio. Non si tratta assolutamente di un agone programmato che esalterebbe lo spirito delle antiche civiltà greca e romana. Si tratta, piuttosto, di contrapposte visioni di particolari. Da un lato l’organizzazione che decide e dall’altra l’immancabile stuolo di oppositori che ne rifiuta in blocco i contenuti.
Per conferire valore alle mie affermazioni, riporto qui due riferimenti di grande portata storica. Il primo riguarda l’ambito religioso. I documenti che cito sono ricchi di tanti particolari che vengono riportati da due sacerdoti nelle loro interessanti “Cronache”: Tommaso Lo Bruno e Pasquale Calcerano, entrambi presenti agli inizi del ‘600. Il primo, erudito e alquanto preciso, descrive, tra l’altro, un lungo rapporto conflittuale, a seconda dell’evento, tra due formazioni religiose. Interminabili, ad esempio le competizioni tra le Confraternite dei Santi Pietro e Paolo e le Confraternite di San Sebastiano o tra la nuova Festa del Carmine ad Acireale in contrapposizione a quella dei Platani. Non trascurabile il particolare di una mancata festa di Santa Venera per una controversia sulle reliquie in possesso dei Monaci del Carmine. Il secondo sacerdote, invece, doveva essere un tipo molto battagliero. Finì anche in carcere un paio di volte. Non posso dilungarmi sui numerosi episodi trasmessici dai due sacerdoti ma faccio leva su questi episodi per giustificare la mia tesi. Nel corso dei secoli tantissimi sono i fatti di ambito religioso che generarono dei conflitti con la presenza di opposte fazioni.

Nell’altro ambito politico-amministrativo, mi limito a citare lo scontro, alla vigilia del Primo Conflitto Mondiale, tra Giuseppe Grassi Voces e Giuseppe Pennisi di Santa Margherita. Crearono due gruppi contrapposti: il primo di idee liberali e laiche, il secondo clericale e popolare. Il primo “gruppo” passò alla storia col nome di “Baiocchi”, il secondo col nome di “Scioani”. La definizione del primo gruppo (Baiocchi) si riferiva al fatto che il Grassi Voces e i suoi gregari promettevano nei comizi grandi opere pubbliche e grandi riforme, senza mai realizzarle. La seconda definizione (Scioani), invece, intendeva descrivere i seguaci di Pennisi di Santa Margherita come membri di una tribù primordiale e povera di valori. Anche in questo campo gli scontri sono stati interminabili nello scorrere del tempo. Non è il caso di citare altri nomi. Anche perché in questo settore la contrapposizione fa parte del gioco. Non dico che è inevitabile ma diventa necessaria. Per dare spazio al confronto democratico che sfocia, in genere nella giostra elettorale. Il gioco diventa brutto quando si alterano i sistemi per la raccolta dei voti. Riporto anche qui un particolare del già citato scontro tra Baiocchi e Scioani. E’ stato appurato, infatti, che si arrivò alla illegalità con l’acquisto dei voti a cinque e a dieci lire. Generando liti e persino odio. Con le forze dell’ordine chiamate a sedare vari tumulti.

Se nel fatto politico-amministrativo -a parte la smoderata brama del potere che genera interminabili conflitti- è usuale il confronto, nell’ambito religioso torna discutibile la guerra della festa. La comunità religiosa non può dividersi in blocchi sui contenuti di un programma eludendo lo scopo fondamentale di una festa.
Poiché volevo arrivare a quest’ultima affermazione, mi preme soffermarmi sull’ultima celebrazione della festa della Santa Patrona.

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Partiamo dall’idea del rapporto tra persona umana e divinità. L’amore, l’onore a Dio e agli uomini di Dio ha visto fiorire creazioni diverse di devozione. Lungo il corso dei secoli innumerevoli sono gli elementi che entrano in gioco per concretizzare questo rapporto tra uomo e divinità. Ogni gruppo “religioso” ha creato le proprie usanze e i propri riti. Si sono moltiplicate anche le manifestazioni di sacrifici personali come flagellazioni, privazioni, pellegrinaggi a piedi nudi o con ceri. Lo stile delle “vie franchigene” o dei Cammini di Compostela si sono localizzati anche in posti diversi. Espressioni visibili, poi, con ori e argenti, con fiori e addobbi e luci hanno raggiunto creazioni originali di valore artistico. Le luminarie -tipo quelle di San Giovanni- si sono trasformate, con l’avvento dell’uso della polvere, in spettacolari fuochi d’artificio.
Certamente la “festa” esige forme festose. E, così, vengono create un insieme di usanze che si tramandano e si fanno carico di una concretezza culturale elaborata da un popolo. Il tutto acquista il ruolo della “tradizione popolare”.

Quest’anno, immediatamente prima della festa della Santa patrona Venera, un fatto increscioso ha bloccato la macchina dell’organizzazione. Il crollo di un pezzo di intonaco dalla volta che incombe subito dopo l’ingresso della porta centrale del Duomo, ha colpito un bambino seduto dentro un passeggino e il padre dello stesso. Una decisione sofferta da parte dei responsabili ha sospeso saggiamente l’aspetto festoso della celebrazione (una emittente locale ha definito il gesto “incomprensibile e assai discutibile forma di solidarietà con i feriti del crollo”). Quando la notizia della ripresa della salute del bambino ha tranquillizzato gli animi, non c’era più il tempo di riorganizzare il tutto. Bisognava accontentarsi, per quest’anno, di far festa con Venera esclusivamente con i riti religiosi. Tuttavia, il prezioso fercolo non poteva essere utilizzato perché riposto proprio in un vano laterale dell’ingresso centrale del Duomo e quell’ingresso doveva rimanere chiuso. Ma la disponibilità piena dei devoti, dei portatori e della Delegazione ha trovato il modo di condurre Venera tra le vie della Città. Subito è arrivata la disponibilità di un altro fercolo per Venera (quello di San Michele) e i responsabili delle candelore hanno assicurato la loro presenza.
Ci rimane da considerare se la mortificazione di una “festa” può entrare nel fatto devozionale. Se permane la gioia interiore nel far festa solamente stringendosi insieme agli altri dinanzi alla Santa Patrona. Esprimendole devozione e affetto e offrendole anche la privazione di riti esteriori. Chiedendoci se anche questo “gesto” fa parte di una tradizione popolare. Che è fatta anche di “segni” di saggezza antica.
Alcuni non hanno gradito le scelte fatte. Come non hanno gradito la discesa di Venera attraverso le “chiazzette”. Ma non si può fare “la guerra della festa”. Perché la festa ha una persona al centro che ha un ruolo insostituibile: proclamare e vivere l’amore proposto da Cristo. Omettendo ogni riferimento e ogni ricerca storica per noi Venera è un ragazza acese che ha vissuto l’esperienza delle prime comunità cristiane ed ha conosciuto a fondo il messaggio di Cristo e il suo programma. Perciò si prodigò per evangelizzare e portare conforto ai poveri e ai malati. E noi la immaginiamo muoversi tra i sentieri del nostro territorio per attuare il suo impegno. Con incondizionata generosità.
Il suo esempio di dolcezza, di bontà e di fermezza, del suo “credo” nel Vangelo e nella forza del suo annuncio riesca a scuotere il nostro animo. Oggi. Qui. Ad Acireale. In questa terra che lei voleva che diventasse una terra di amore.