Circolo Bohémien/Itinerari dello spirito
A cura di Enzo Coniglio
Le Nuove Edizioni Bohémien (NEB) di Acireale si occupano attivamente da qualche tempo di esplorare il senso religioso della vita e della cultura riflettendo sulle stimolanti discussioni provocate da Jorge Mario Bergoglio e da recenti pubblicazioni come “La laicità del Vangelo” di José Maria Castillo, tradotto e curato da Lorenzo Tomaselli. In particolare, il gruppo di ricerca creato all’interno delle NEB, ha sottolineato come il linguaggio di Papa Francesco sia “un linguaggio nuovo che non tende a distinguere la laicità dalla religione e che vuole il Vangelo con come un libro di religione ma come un progetto di vita”.
In questa ottica, mi piace ricordare che una discussione su queste tematiche è vecchia di millenni e che è stata ripresa negli anni sessanta presso l’Università Cattolica di Milano dal Prof. Emanuele Severino con il suo “Ritornare a Parmenide”, che ho ricordato in due miei recenti articoli.
Mentre mi complimento con le NEB per l’attuale dibattito in corso, mi permetto ricordare sottovoce alcuni concetti della tradizione laico-religiosa precedente alla esperienza di Cristo e dei Vangeli e che considero fondanti della stessa discussione ripresa dal “nuovo linguaggio” del laico Jorge Mario Bergoglio e dal religioso Papa Francesco.
I due concetti fondamentali su cui ruota la discussione millenaria sono il concetto di Essere e il concetto di viaggio-rivelazione. Si tratta di due discussioni sviluppate non soltanto all’interno di ambiti religiosi definiti, ma anche fuori di essi, tra “intellettuali illuminati” preoccupati di capire il senso del kosmos e della esistenza anche umana. In questo contesto, termini come laicità e religione perdono i loro contorni e si fondono e non potrebbe essere altrimenti. Purtroppo molti commentatori contemporanei “leggono” la dialettica dei due termini limitandosi alla tradizione cristiana e ne perdono la pregnanza storica molto più ricca e complessa.
Iniziando dal concetto di Iawé o Iéowa – per effetto della diversa quitellizzazione ebraica – che non è certo il nome di un Dio che non ha nome perché il nome esprime limite e possesso, ma l’espressione del “Principio fondante”, di tutto ciò che è, compresa la vita di Egli stesso, del Kósmos e di noi stessi: COLUI-CHE-È “en Arké” il principio, l’Alfa e l’Omega. È un concetto totalizzante che diviene “esperienza di sapere e di vita attraverso esperienze diverse di “ricerca – rivelazione ” ma tutte convergenti. Un concetto che è Via, Verità e Vita: un Lógos che è nello stesso tempo Dio, nel senso già precisato.
Il secondo concetto è quello di viaggio intrapreso da alcune persone alla scoperta appunto dell’Esssere e della sua storia: un viaggio che si conclude con una “rivelazione divina” perché rivelata da Dio stesso in forme e con contenuti diversi in contesti storici diversi.
Nel caso di Parmenide, ad esempio, egli è condotto, sospinto da una forza interiore (thumós) e guidato dalle Heliádes, figlie del sole, su un carro virtuale al cospetto della dea che tutto governa e che gli rivela sia la “verità ben rotonda” su cui vi è verace certezza, sia le opinioni dei mortali su cui non vi è verace certezza ma che comunque vanno analizzate. E la verità che la dea gli rivela è essenziale ma terribilmente complessa: che l’Essere è e non può non essere e che nulla è al di fuori di sé come Essere.
La dea ci tiene a precisare che il viaggio compiuto da Parmenide è fuori dal percorso normalmente seguito dagli uomini ed è un dono, un regalo che rivela le leggi che regolano il tutto. Grazie a questo viaggio, egli si trasforma da “Eidós oudén” in “Eidós fós”” da colui che non Sa-vede nulla in colui che sa e vede la luce-verità.
E Parmenide, dopo il viaggio, può fondare e dare la legge alla sua città, Velia, alla stregua di Nuovo Mosé. Parmenide rimane un laico; il suo Essere non ha un Pantheon, ma nello stesso tempo è un “religioso” perchè testimone e portatore di una “verità ben rotonda dell’Essere”, rivelata dalla dea, al femminile seguendo la tradizione mediterranea della dea-madre. La gestione della Polis trova il suo fondamento nella rivelazione della dea, nello stesso Essere.
Il suo viaggio è simile a quello che ritroviamo nei Veda e nelle kata-upanishad. È simile a quello ebraico e a quello cristiano con tutte le differenze diacroniche e sincroniche che i contesti molto diversi suggeriscono, grazie ai quali, io mi considero oggi pienamente cristiano e parmenideo e attento lettore e analista di Papa Francesco, laico e religioso a pieno titolo.
Un grazie e un complimento sentiti alle Nuove Edizioni Bohémien di Acireale.
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