A cura di Angelo Turco
Nell’autrice vi è una forte propensione a scavare nell’animo umano, un’introspezione, quasi impietosa, a mettere a nudo, con brevi ma efficaci tratti, le virtù, i difetti, le incongruenze, le indecisioni di atavica genesi ed i moti dell’animo, imperscrutabili e sconosciuti perfino all’uomo stesso.
La lettura di “Prigioniera” di Maria Cristina Torrisi è avvenuta senza soluzione di continuità, non tanto per la brevità del volume, quanto per la linearità del contenuto e la maestria con cui si dispiega la trama del racconto, che cattura con progressione <<rossiniana>> ( mi si consenta il paragone musicale) l’attenzione del lettore, fino all’epilogo dello stesso.
Nella stesura del testo, emerge la vena autentica della scrittrice “nata”, che sa suscitare sapientemente nel lettore la curiosità e la voglia di leggere, non disgiunta dal gusto provocato dalla descrizione delicata, precisa e sorprendente di luoghi, personaggi, e sensazioni d’animo, per cui il lettore viene condotto quasi per mano, a vivere i fatti raccontati, alla stregua di uno spettatore di fronte alla scena teatrale.
Nell’autrice vi è una forte propensione a scavare nell’animo umano, un’introspezione, quasi impietosa, a mettere a nudo, con brevi ma efficaci tratti, le virtù, i difetti, le incongruenze, le indecisioni di atavica genesi ed i moti dell’animo, imperscrutabili e sconosciuti perfino all’uomo stesso.
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