A cura di Maria Pia Basso
Siamo tutti concordi nel ritenere che i comportamenti dei nostri figli siano la proiezione diretta dell’educazione ricevuta dai propri genitori. Quindi, nel bene o nel male, “ la mela non cade mai lontana dall’albero”.
Al di là dell’osservazione sulla necessità di configurare i nostri discendenti come esseri dotati di una propria individualità – che quasi mai coincide con quella di chiunque altro – è pur vero che i primi esempi assorbiti dai bimbi in tenera età, se non addirittura sin dai primi vagiti, sono quelli trasmessi loro da mamma e papà, ed è su quelli che iniziano a porre le basi per edificare la loro personalità.
Quando il genitore è assente o versa in situazione di gravi difficoltà nel rapportarsi con le proprie creature, ecco che il meccanismo si inceppa, dando vita ad una distorsione incisiva nella sfera degli affetti e degli atteggiamenti. E non sono rari i casi di madri che, per superare il senso di colpa dovuto all’inadeguatezza nell’esercitare il proprio ruolo, assumono un contegno quasi di noncuranza, concedendo ai figli di poter spaziare in lungo ed in largo.
Si commette il grave errore di pensare che “tutto sia dovuto” e che l’amore si manifesti attraverso concessioni “ad libitum” che, sicuramente, soddisfano e fanno sorridere, ma che, a lungo andare, gettano nello sconforto. Perché? Perché avere a disposizione uno spazio non delimitato equivale ad errare in una landa sconfinata, in cui sarà giocoforza andare a ricercare dei punti cardinali grazie ai quali orientarsi. Il bambino, prima e il ragazzo, poi , chiede la regolamentazione del suo agire e ricerca incessantemente una figura guida che tracci le coordinate del percorso da seguire. Non è vero che il vivere all’impazzata strutturi una personalità, perché la mina dalle fondamenta, indebolendola. Il mestiere di genitore è pieno di insidie e non lo nega nessuno, ma continuare a svolgerlo per “hobby” o per riflettere l’andazzo atavico che una vita senza figli sia da considerarsi claudicante, arreca danni. Per svolgere al meglio il proprio compito sono necessarie forza d’animo e determinazione.
Occorre quel “polso fermo” che esprime la volontà, non di imporsi al figlio, ma di porlo nella direzione giusta, attraverso un rapporto che trova nel rispetto reciproco l’elemento fondante e il collante affinché questo, decollando, non tema avarie di sorta. Già, il rispetto: nobile sentire che sottende a tutte le reazioni sociali, armonizzandole. Per cui anche a voler giustificare che un papà o una mamma possano essere “amici” dei figli non vuol proprio dire declassarne il ruolo. Un amico non merita, forse, ossequio e attenzione?
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