Il Sogno di un viaggio in un’altra dimensione del tempo

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Racconti
di Giuseppe Firrincieli

Avevo 14 anni, primi giorni di giugno del 1963, ma erano gli ultimi giorni di scuola e mi preparavo per gli esami del terzo ginnasio, già … , ancora in quegli anni eravamo abituati a sostenere esami, a partire dalla terza elementare, poi ,in quinta elementare se ne facevano due di esami, prima per la licenza elementare e poi per essere idoneo a frequentare il ginnasio e sin dal primo anno iniziavi a studiare il latino e la mitologia greca; un ragazzo che veniva bocciato agli esami di ammissione, era costretto a scegliere, o l’avviamento professionale per imparare un mestiere, o fare il manovale, contadino, guardiano di pecore, di maiali e di vitelli, oppure il ragazzo di bottega, del fornaio, del macellaio, barbiere, fabbro, falegname, biciclettaio, gommista, lavaggista, meccanico, idraulico, elettricista e tanti altri mestieri, oggi, alcuni, in via di estinzione.

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Quel giorno, a casa dei miei genitori a Ragusa Ibla, ovvero Hibla Minor, stavo studiando mitologia greca, mia mamma, da poco aveva finito di fare le faccende domestiche e se ne era andata a riposarsi in camera da letto. Sarà stata la stanchezza, o perché era un pomeriggio caldo e afoso, seduto, mi sono abbioccato, braccia distese ed il capo piegato sul tavolo della cucina. Come il bello addormentato, avverto che una mano mi accarezza le spalle, mi giro e un uomo, con la barba più bianca che grigia, occhi neri e profondi, mi sorride e mi dice: “ Mi chiamo Epicarmo e sono il tuo novantesimo avo, io sono nato e vissuto in un’altra Hibla, ovvero a Megara Hyblaea, ma la mia stirpe ha invaso tutte le Hyblae dei siculi e ha procreato prole in buona parte dell’ Isola, fino al Val di Mazara; il tuo cognome, caro Giseppi, proviene dal soprannome dei tuoi avi “Firi ‘ncielu”, “Fede nei Cieli”, perché con la venuta di Cristo, voi siete diventati cristiani, e con orgoglio, la vostra fede, la tramandate da sedici secoli. E sapessi, quante suore e monaci predicatori ci sono stati, fra i tuoi antenati!!!
Sono qui perché tu sei un ragazzino curioso di conoscere la tua identità, ma anche la storia dei tuoi avi e di quella, tanto travagliata, della Terra mia e tua. La Sicilia e i siciliani hanno una propria identità da mostrare e da tutelare. Noi siamo Siculi, i Siculi occuparono l’intero territorio orientale dell’Isola, scalzando persino parte dei Sicani che furono costretti a raccogliersi più nella parte occidentale. Molte regioni della Grecia, di cultura ionica che dorica, parteciparono alle spedizioni in occidente. Zancle, Nasso, Catania, Megara, Leontini, Siracusa, Euboia, Gela Kasmene, Kaucana, Camarina e cento altre ancora furono le prime città ad essere fondate in Sicilia e, come raccontava Platone, nel IV secolo, i greci occuparono il territorio come “rane attorno a uno stagno”, disinteressandosi delle aree più interne dell’Isola. Soltanto in un secondo momento, alcuni gruppi si spinsero dalla costa verso l’ entroterra. Essi strinsero rapporti di collaborazione con le comunità locali, stanziate nelle odierne zone di Taormina, Paternò, Scicli, Militello, Occhiolà, Mineo, Caltagirone, Casmene, Gela, Kaucana, Kamarina ed anche più ad occidente, dove Fenici, Elimi e Sicani hanno fatto sempre da padroni. Per me è davvero emozionante parlare del grande Ducezio, anche lui siculo che ebbe l’ardire di sfidare la potente Siracusa, con il suo “Commonwealth” etnico di allora! Non sarà un caso, il grande condottiero scelse la zona dei Pàlici per fondare la sua città, la radice monosillabica “pal” in sanscrito significa “proteggere”. Palikè e il suo santuario indigeno rappresentava il simbolo per eccellenza della religiosità sicula, almeno dall’ottavo secolo e fino alla venuta di Gesù Cristo. Anche se Tucidide ricorda duri scontri con gli indigeni e contro Siculi in particolare, io ti dico che l’integrazione e l’accoglienza, come oggi, furono ben più frequenti, rispetto alla violenza e all’incomunicabilità. Di contro Tucidide ricorda come a Megara, i greci ebbero il permesso di fondare, sulle terre del re siculo Hiblone, Megara Hiblaea, la nostra cittadina di origine. La grecità, in Sicilia, ebbe i suoi pregi e i suoi difetti; gli ellenici produssero una classe di privilegiati, cosiddetti “Gamoroi”, i latifondisti di allora che spezzarono per lunghi secoli, la schiena ai contadini, quelli chiamati Kylliroi. Oggi? “I ricchi possidenti e i poveri senza nenti!”.
Io ero appassionato delle Arti e delle Lettere, ho scritto tanto per dare vita al teatro di pietra, con scenette brevi e spezzettate perché mi piaceva stuzzicare l’interesse della folla. Amici invidiosi me ne hanno rubate tante di scenette, ma alcune sono riuscito a proporle in pubblico e siccome vedo in te un mio erede, mi raccomando, quando da grande ti dedicherai al teatro, tieni conto che i protagonisti li devi mettere in scena, ma gli antagonisti devono apparire solo nelle chiacchiere cosiddette di “curtigghio” e non in scena, solo così desti una grande curiosità nella folla, perché aspetta di vederli in scena, ma tu, così facendo, li lasci con “l’allammicu”, per non dire delusi e arrabbiati. Oltretutto, il siculo è curioso di natura e non dimenticarlo, ma per il siciliano vale di più “talìa, chi ti cuntu” e non la scena. Pensa che il siciliano comunica con lo sguardo, con la mimica, con l’espressività e si fa capire, per l’appunto, in tono teatrale; per non parlare della nostra razza ed in proposito ti racconto un fatto. Giuseppe Pitrè, scrisse: “ C’era una volta un re di Sicilia. Questo re venne un giorno a Palermo e intese dire che i Siciliani avevano una virtù tutta propria, quella di fare intieri discorsi senza parlare. La cosa gli parve strana, e ne chiese ad uno de’ suoi ministri, il quale gliela confermò pienamente. Incredulo volle farne esperimento, e ordinò che due siciliani gli si conducessero innanzi. Detto fatto: due uomini del popolo, presi alla sprovvista, vennero introdotti nella regia sala, presente quel tale ministro. Il re non se ne dette per inteso, ed il ministro neppure, ma quest’ultimo guardando con la coda dell’occhio poté accorgersi che i due chiamati guardandosi furtivamente l’un l’altro si facevano delle domande e delle risposte. Quando a lui parve, fe’ segno al re che li licenziasse: ed il re, che non aveva visto nulla, persuaso di avere il ministro sbagliato di grosso, li congedò senz’altro. Ma il ministro che ne sapeva più del re, gli raccontò come per via di segni e di gesti fosse passato, tra que’ due, una specie di dialogo per dimandarsi e rispondersi del perché della inattesa e grave chiamata. Il re stentò a crederci, e fattili rinvenire a se, e rassicuratili alquanto, volle conoscere se nulla avessero detto poco innanzi tra loro, e che cosa; e udendo né più né meno quello che il ministro gli avea affermato, si meravigliò forte di questa virtù de’ suoi sudditi di Sicilia e non senza qualche dimostrazione del suo sovrano compiacimento rimandò alle case loro i due popolani. Sia che si voglia di questa storiella, che il popolo nostro racconta, e che io ricordo di aver letta non so in qual libro di aneddoti, è indubitato che i Siciliani godono ab antico fama di gente espressiva non pur nelle parole ma altresì nei gesti e negli atti. E’ noto che avendo Jerone per impedire le congiure vietato a’ siracusani di parlar tra loro, essi furono obbligati a servirsi di gesti. Il Fazello nella sua Storia di Sicilia scrive: “ Cum (Hieron) inter alia dictu immitia. Syracusanos mutuis culloquiis uti vetaisset, jussitque ut si comunicanda essent, que pedum, manuum, oculorumque nutibus ac indiciis significarentur mox saltatores necessitas peperit”. Donde non se ne trarrà la ingenua conseguenza che i Siracusani sieno stati gli inventori del parlar per cenni, ma piuttosto che quando più si scende al mezzogiorno, tanto più si trova sviluppato il linguaggio de’ segni, che nel nostro popolo, per la vivezza de’ suoi sentimenti, è maggiore che in altri”. Per evitare, caro Giseppi, che tu ti metta con il vocabolario e carta e penna, ti suggerisco io la traduzione nella lingua che fu di Ciullo D‘Alcamo: “Quando Hierone, disse con spietatezza: Vieto a siracusani di usare la parola reciproca e ordino che se devono comunicare tra loro, lo facciano con gesti e segni dei piedi, delle mani e degli occhi!”.
Il siciliano è orgoglioso di appartenere alla sua terra e ne fa anche una questione di vanto poter comunicare mediante i segni ancora oggi.
Adesso dopo quello che ti ho detto, ti alzi, e andiamo a farci un giro in carrozzino nella parte della Triskele che ci appartiene, “Capo Passero, Scorcio d’Isola del Dio Hiblone che per il suo fascino ed il suo incanto grida:” Vulìtimi beni e nun m’abbannunati”.

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Quando parliamo di Sicilia, non si può fare a meno di andare indietro nel tempo e ripercorrere i passi dei nostri avi nella fascinosa TrisKelia e soffermarci, quando, un Chicco di grano ti portava ad osannare Cerere; un Chicco di terra del bosco, al fascino di Artemide; una goccia di rugiada, all’amore per Aretusa; un chicco di uva a Bacco; un’onda ai tuoi piedi, al dolce canto delle Oreadi, Ninfe del mare e alle Naiadi, per l’amore dei fiumi e dei laghi; un pargolo con un cagnolino per i campi, ti conduce a Gereatide che allatta i due gemelli, la dea della fecondità. Conoscere questi luoghi, per te conterà molto, perché ti aiuterà a capire, da dove vieni e chi sei. Quando sentirai la frase “Chi non conosce la propria storia non ha futuro!!!”, ti renderai conto che è la verità. Prendiamo la strada per Pozzallo, poi arriviamo a Focallo, adesso è Santa Maria del Focallo, come Niscemi, Santa Maria di Niscemi, e poi a Marsa, a Pachino e Marzamemi. Non dimenticare questi luoghi e, da adulto ci ritornerai e chissà quante volte. Pensa! Questo è un angolo di paradiso che, per un gioco di venti, non è disturbato da piogge, temporali, alluvioni, trombe d’aria, e, guarda caso, è ricco di falde acquifere. Capo Passero che si affaccia all’isola delle Correnti, assieme a Ganzirri, Monte Peloro e Capo Boeo ed anche Lilibeo, godono di una beltà, unica al mondo. Pensa che i tuoi avi la chiamarono Triskelia e con tre gambe innalzarono il loro Vessillo d’Amore patrio.
Adesso, andiamo, via Marzamemi, a Portopalo. Prima che fa mattino, aspettiamo il sorgere del sole dal mare, di fronte all’isolotto di Capo Passero, torniamo nel medesimo posto all’imbrunire e ammiriamo il calar del sole sul mare. Una bellezza paradisiaca, il poter ammirare il sorgere e il tramonto di Elio, figlio di Teia e Iperione, con i canti delle Nereidi, Calipso e Alimede, sui medesimi flutti.
Caro Giseppi, adesso voglio parlarti delle origini etniche sul mediterraneo, o Mare Nostrum chiamato e tramandato dall’Impero Romano. Dai racconti storici narrati dai miei ed anche tuoi padri, pare che la linea di demarcazione tra gli Europoidi, Indo-europei e Anari mediterranei, per meglio dire Camiti e Semiti, parta dal sud del Bosforo, tocchi la costa dell’Asia minore, attraversi Cipro e l’isola di Creta per giungere fino a Zancle e poi continui fino a lambire la zona sud dell’isola Sarda, fino ad arrivare a Gibilterra. Dalla parte meridionale, quindi, si è evoluta la razza mediterranea e la popolazione siciliana non ha niente a che vedere con la razza ariana-europoide-italica. Per onestà mia, ti debbo mettere al corrente che in Sikelia, sin dalle sue origini preistoriche, la magìa, come il mito, diventa religione. In Sicilia, la religione cristiana si affermò pienamente nell’intero territorio 250 anni dopo la venuta di Cristo. I siciliani per usi e costumi sono stati diffidenti sin dalle proprie origini. La natura del sentimento religioso degli abitanti dell’Isola consentì cambiamenti del culto attraverso quella particolare trasposizione nei secoli, dalle concezioni animistiche e politeiste a quella monoteista cristiana. Il lungo cammino del cambiamento religioso ha permesso che la sovrapposizione non disdegnasse i trascorsi pagani, mescolandoli e ritrovando i riti che si ripetono con gli usi dei tempi arcaici, come le processioni dei fedeli, oggi cattolici. Tanto è che ancora oggi, quando parlate di bellezza della natura e dell’arte non disdegnate a menzionare Pan, Apollo, Artemide, Efesto, Ermes, Estia, Crono, Venere, Cerere, Proserpina e mille altri ancora.
I primi abitatori dell’Isola a tre punte, a Levanzo, come nei dintorni di Hibla Minor furono “zoolatri” e fra le divinità idolatrate, pare vi fu una misteriosa Gerèatide che rappresentava il simbolo della fecondità. Essa si venerava a Nasso e nel Tempio di Hibla Major, alle pendici dell’Etna ed anche in molti altri centri abitati. Una comune ritualità consisteva, però, nell’offerta degli organi sessuali di animali sacrificati, tali parti venivano appese assieme alle corna e ad amuleti magici, su alberi ritenuti sacri perché consacrati alla stessa Dea. La città di Hibla era soprattutto nota per il suo esercito di “sacerdoti” dediti al culto della fecondità e all’interpretazione dei sogni dei pellegrini. Ebbene, una traccia dell’antico culto indigeno si ritrova ancora oggi, tra i pastori dell’Isola e Vendìcari ne è testimone di questi tempi, con l’offerta votiva delle “gerre” (le interiora degli agnelli) che vengono ancora appese sui rami di un albero secco che, abitualmente, si trova nello steccato antistante la mannara. La consuetudine vuole che le frattaglie non vengano date subito in pasto ai cani, ma vengano, per alcuni giorni, lasciate appese a quell’albero, chiamato “staccia”.
Già, alcuni secoli prima che io venissi al mondo, parliamo del settecento prima di Cristo, i coloni sostituirono i culti indigeni con Demetra e Kore, in molte città, fra cui Enna, sub colonia siracusana. Il dio Adrano veniva adorato in tutta la Sikelia, proprio ad Adrano si trovava un famoso tempio. Il culto era anche diffuso ad Agirio, Messana e Segesta. Nel quinto secolo a.c., ai miei tempi sorsero i templi di Erice, Akragas, Siracusa e Catania, ed ancora molti costruiti su più antichi sacrari indigeni.

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Molti di questi templi furono frequentati per secoli e molti vennero trasformati in luogo di culto cristiano. Altre curiose similitudini si riscontrano nelle cerimonie cristiane che ricordano riti pagani; nelle antiche Adonie, alla giornata del lamento funebre seguiva un repentino cambiamento, proprio quando Afrodite ritornava dagli inferi in compagnia del giovane Adone resuscitato e dal dolore si passava alla gioia immensa. La stessa sequenza la rivediamo nel rito della Settimana Santa quando i fedeli, addolorati per la morte di Gesù Cristo, si ritrovavano nella gioia e nella letizia della Resurrezione. Ancora molti riti vennero ereditati, come la resurrezione dello spirito di Adone, del 15 agosto, con la Pentecoste, festa dello Spirito Santo dell’era Cristiana.
Adesso, caro Giseppi, sì ai miei tempi ti avrebbero chiamato così, dopo averti parlato della tua terra e sulla tua identità, ti saluto e ti prego di farne tesoro, e quando sarai adulto, promettimi che alzerai la voce per difendere questi sacri suoli di un Isola costretta a subire violenze e sfruttamenti da parte di gente estranea e malvagia”.

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Sono trascorsi sessanta lunghi anni dal quel sogno che non dimenticherò mai. Epicarmo non è tornato in sogno, ma le sue parole sono rimaste scolpite nel mio animo, con tanta voglia di dirgli: Epicarmo, grande Avo, mi hai trasfuso grandi saperi sulla storia siciliana e su come suscitare interesse nel campo della comunicazione interpersonale. Oggi siamo nel XXI/mo secolo dopo la venuta di Cristo, nostro Signore. Non è cambiato nulla in tema di guerre, la Sicilia continua ad essere base di supporto per armamenti, porto di navi da guerra e di sommergibili atomici, nonché aeroporto di droni, aerei da caccia e tanto altro e ahimè, ancora deposito di missili nucleari “Cruise” . Di potenzialità di sviluppo ce ne sono ancora, ma rimangano solamente idee.

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La Sicilia, di oggi, vive in perenne letargo ed è rimasta solo un limone da spremere per poi gettare via.
L’aria, la terra, le acque interne e quelle del mare nostro, sono state avvelenate. Così ora vediamo un paesaggio irriconoscibile, rispetto al passato. Purtroppo è vero che la “Terra del Sole”, oggi è ad alto rischio, per l’incuria, la strafottenza e la dabbenaggine di chi governa, preferendo voltarsi dall’altro lato per non affrontare mai la realtà. Cosa occorrerebbe oggi? Un serio e costruttivo richiamo ai siciliani veri, anche quelli sparsi oltre il Mare Nostro e per il mondo e dire: “Aiutateci a difendere la nostra Madre Terra!”.