Archeologia & Dintorni
Mariagrazia Leonardi
Interpretare oggi un documento archeologico come monumento, suscita interrogativi su quale possa esserne il significato in una società dove l’atteggiamento diffuso nei confronti della valorizzazione e della fruizione del patrimonio storico e culturale sembra essersi risolto nell’archiviazione delle permanenze e nell’estraniazione dell’antico, isolato dal proprio contesto e reso spesso frammento incomprensibile.
Molteplici testimonianze archeologiche adiacenti o insite nella città contemporanea, o diffuse nel territorio regionale, si confrontano con i segni di un’architettura più o meno recente, in un dialogo che non si presenta esente da processi di distorsione pagati a caro prezzo in termini di squilibri urbani o ambientali.
Riflettendo su tali presupposti alcune proposizioni progettuali recuperano i segni della memoria sopravvissuti nel paesaggio urbano o in quello extraurbano come materiali per conservazioni o modificazioni degli stati presenti, che superino la semplice ricostruzione archeologica e tendano a produrre nuovi significati e funzioni interpretative, rifondando un luogo, interpretandone e descrivendone le logiche sottese o monumentalizzandolo.
Interpretato l’antico come spiegazione e giustificazione delle radici della civiltà europea occidentale, nel pensiero che il documento-monumento archeologico spieghi cosa noi oggi siamo e il perché dei nostri valori culturali, il nuovo concetto di valorizzazione non orienta gli interventi di salvaguardia verso una protezione circoscritta del monumento, museo di se stesso, ma estende il campo d’azione, ove possibile, anche alla creazione di presenze architettoniche pertinenti al sito antico che servano da mediatrici per sequenze diverse di relazioni topologiche, trasformandole da dispersioni territoriali in nuove identità e stabilità.
Il bacino mediterraneo europeo occidentale, stratificazione di memorie materializzate nelle architetture e negli spazi urbani o extraurbani, prima pensato secondo i principi di una progettualità, condotta sulle relazioni tra antico e nuovo, dichiarabile nel quadro di particolarismi storici regionali legati a tradizioni tipologiche locali, ha recentemente riformulato parte della propria immagine con un atteggiamento, nato sulla scorta di dissertazioni sul tema derridiano della differance, che fonda il progetto su di una logica retroattiva tesa a unificare elementi sparsi, antichi e nuovi, dando un senso al loro insieme.
Sulla scia di tali presupposti il paesaggio mediterraneo europeo ripercorre e reinterpreta le origini culturali delle presenze del costruito aderenti al complesso sistema geografico insignito dalla presenza e dalla partecipazione alla eredità di antiche civiltà, rintracciando quei modi della permanenza che sottolineano la costituzione fisica e antropologica delle realtà insediative e che si percepiscono spesso come mediazione tra più livelli di giacitura.
Città dalla presenza archeologica dominante, città sdoppiate nei due livelli temporali sovrapposti della città visibile e della città del sottosuolo, paesaggi caratterizzati da tracciati archeologici poco diffusi o monumenti antichi cristallizzati nella loro storia poiché la città nuova è collocata in alterità con l’archeologica formulano diverse ipotesi di organizzazione e di uso di luoghi e di architetture che nel passato hanno avuto un altro significato.
Nelle regioni mediterranee francesi e spagnole, in special modo, esperienze progettuali investono la partecipazione, la rivisitazione, la riappropriazione della testimonianza archeologica in una proposizione architettonica derivata da intenti di commisurazione della presenza aulica del passato con le esigenze culturali e sociali della contemporaneità.
Arles, Nimes, Orange, Barcellona, Saragozza, Mérida, Cartagena, ripercorrono significativamente le condizioni ideologiche che si fondano sui concetti del moderno intendimento architettonico: la diversità, l’alterità, il confronto gestito ed enunciato, la differenza, la continuità, la riappropriazione ideale, che diventano i nuovi materiali dell’architettura contemporanea che si dilata nella sua immagine territoriale.
Sui principi di evoluzione, integrazione, trasformazione, nelle interpretazioni di Bouzid Sabeg, directeur du Patrimoine d’Arles, per i resti ipogei del cardo romano dell’antica Arelate, che, ritrovati nei pressi del Boulevard des Lices, si manifestano come una estraniazione archeologica nei confronti delle relazioni urbane che li circondano senza coinvolgerli, la città di Arles, impegnata, entro un Plan patrimoine antique, in una riflessione globale di sette anni (2000-2006), sulla riqualificazione degli spazi e sulla proposizione di luoghi di ingresso e di mediazione ai monumenti antichi, ipotizza un modesto progetto di integrazione visiva attraverso l’uso di un piccola architettura contemporanea, il nuovo ufficio del turismo, che, collocandosi come quinta scenica di uno spazio pubblico, divenga occasione per fruire le rovine.
Sulle tematiche del restauro e della riqualificazione spaziale riflette l’organizzazione di un nuovo polo di contatto e di mediazione culturale e informativa dell’Anfiteatro e del Teatro Antico da collocare nel vicino College Saint-Charles. Nella previsione di realizzarvi un’estensione contemporanea, il Collegio assume gli importanti ruoli di strumento di riconnessione tra i due grandi monumenti antichi e di segno della liberazione e della riqualificazione del vuoto urbano frappostovi, nel tentativo di trasformarlo da spazio residuale in uno spazio piazza.
Luogo cerniera sul piano culturale tra la veille ville e la ville nouvelle, il Musée de l’Arles antique di Henri Ciriani (1995), collocato tra il fiume Rodano e il canale proveniente dal Pont Van-Gogh su di una penisola, sulla quale si trova un Circo romano, tranciato in due da un’arteria stradale a scorrimento veloce, la Avenue de la Division, contempla nel giustapporsi come architettura contemporanea ad un monumento antico, storia e caratteristiche culturali tradizionali. Estraneo al mondo romano per geometria e per trasposizione materica, il museo si giustappone all’antico circo divenendo pur nella diversità espressiva e formale, nel porre in rilievo nella differenza, cosciente e palese, ciò che sopravviene e ciò che permane, esso stesso monumento.
Il Centro Europeo di Archeologia di Mont Beuvray, Francia (1991-1995), di Pierre-Louis Faloci, si colloca in un paesaggio extraurbano, che ha salvaguardato per secoli le forme residue delle civiltà celtiche e romane portate alla luce da scavi archeologici, e ne diviene parte integrante situando le presenze architettoniche in una enclave che rispecchia per rimandi prospettici e aderenze espressive o formali l’antico sito.
Nell’idea di rivelare i processi di sedimentazione e di stratificazione epocali, i nuovi elementi architettonici assumono il carattere di preesistenze moderne che integrandosi nel paesaggio regionale, ne misurano il territorio confermando l’ordine e i tracciati regolatori degli insediamenti precedenti.
La riappropriazione ideale è invece la scelta progettuale adottata a Barcellona da Josep Llinas, incaricato della musealizzazione del Conjunto Monumental ipogeo di Plaza del Rey nel 1998, che non manipola i resti archeologici ma li lascia materiali intangibili, mediandone la comprensione con giochi di intensità luminosa, contrasti e differenze cromatiche tra le zone di circolazione pedonale in penombra e i resti archeologici illuminati da colori caldi o freddi e con percorsi pedagogici che visualizzino le testimonianze più significative dello stratificarsi delle strutture antiche.
Il Consorcio de la Ciudad Monumental Històrico-Artìstica y Arqueològica de Mérida, organizzazione fondata nel 1996 per collaborare con la Junta de Extremadura o Gobierno Autonòmico, con il Ministerio de Educaciòn y Cultura, con l’Excma-Diputaciòn Provincial de Badajoz y Excmo e con l’Ayuntamiento de Mérida all’amministrazione della conservazione, della valorizzazione e della fruizione del patrimonio storico-artistico e archeologico urbano, tenta di ordinare una imago urbis ancora confusa convertendola in quella di una Mérida che dialoghi con i propri monumenti antichi e si prosegua nell’architettura attualizzando sistemi e spazi urbani.
Antico e nuovo convivono dunque nella riqualificazione dell’area archeologica del Teatro, dell’Anfiteatro e delle case romane adiacenti, di Arsenio Rica, nella qualificazione delle necropoli del parco de los Columbarios, di Franz Bucher Stillhart, o nel Museo Nacional de Arte romano di Rafael Moneo, rispettoso dei resti di presenze residenziali romane, di necropoli e di una parte della condotta idraulica di San Lazzaro.
Emergendo dal paesaggio urbano del quale copre un intero isolato visibile dalla collina di San Albin, ai piedi della quale resistono le rovine dell’antica Augusta Emerica come imponenti testimonianze monumentali della eredità culturale della città di Agrippa, nella sua collocazione ambientale, rispettosa degli orientamenti della città nuova, che dilata e conclude su quella antica mostrando nel confronto per differenza con la tessitura archeologica l’irrisolto sovrapporsi di diverse immagini del tempo, il museo guarda con discrezione il complesso archeologico romano, trasponendone le proporzioni, la materia e i sistemi costruttivi.
Le Consejerìas de la Junta de Extremadura, di Juan Navarro Baldeweg, nuova porta urbana sul Rìo Guadiana risolvono l’incontro tra il nuovo e i resti del solar de Morerìa sottostanti, ritenuti importanti per la comprensione del connubio tra urbanistica e architettura romane e le successive evoluzioni urbane: visigota, islamica, medievale, cristiana, moderna, trasmutandosi in copertura e protezione dell’isolato e trasferendone nel contemporaneo le evidenze materiche sui suggerimenti della memoria urbis.
A Saragozza il progetto del nuovo assume il ruolo di medium della trasgressione del limite tra paesaggio attuale e archeologia. L’architettura del Museo del Foro di Caesaraugusta a Plaza de La Seo (1995), ingloba parte dell’area forense e una serie di strutture commerciali situate lungo il cardo massimo urbano, l’attuale calle Don Jaime I, e si adagia alla permanenza del tracciato romano rispettandone nella sua veste contemporanea antiche giaciture e allineamenti. Il Museo del Puerto Fluvial di Caesaraugusta, in Plaza de San Bruno (2000), che racchiude le strutture di antichi magazzini e di cantieri navali, posti sul limite nord-est del Foro, ne riprende gli orientamenti e ne conferma massa e colori nella trasposizione dei materiali.
Sullo stesso principio Saragozza fonda la creazione del Museo delle Terme pubbliche di Caesaraugusta, in Calle San Juan y San Pedro (1999), che relaziona per giacitura allo spazio del Foro e a quello del Teatro Antico, e la musealizzazione dell’area del Teatro romano dove una nuova architettura, rispettosa degli orientamenti urbani, affida a una forma contemporanea il ruolo di ricucire più livelli di giacitura.
A Cartagena, il museo del Teatro romano di Moneo si configura come architettura soglia, come una porta tra due diversi livelli topografici storici, allineandosi ai resti del Riqualme Palace del XIX secolo e agli assi del costruito recente, e ricomponendone gli isolati urbani come medium tra la città “nuova” e l’antica. La città si riappropria della presenza archeologica trasmutandola in spazio espositivo, l’ultimo spazio espositivo di una serie di ambienti che si dilatano sull’antico teatro, con un alternarsi di luci e di ombre che conducono la fruizione entro spazi catacombali e ipogei e lungo percorsi oscuri che da sotto i resti di un’antica cattedrale si proiettano in superficie sulla dimensione temporale del monumento archeologico.
In paesaggi dalla presenza archeologica dominante, dove il contesto antico si offre e si apre alle interpretazioni, manifestandosi per contrapposizione, per integrazione e continuità, per differenza o per identità con l’attuale, o in quelli sdoppiati nei due livelli temporali sovrapposti del visibile e del sottosuolo, dove il paesaggio della luce, apogeo, si contrappone a quello misterioso delle viscere della terra, e spazi un tempo vissuti in superficie attendono di essere riportati alla luce per fondersi e convivere con l’attuale, il progetto di architettura con i suoi diversi attori, si pone il compito di colmare la frattura o di ripensare il limite che separa l’antico dal nuovo senza alterare le valenze delle stratificazioni storiche ma facendosi carico dei valori e delle memorie da recuperare senza contraddizioni o reciproche esclusioni tra le identità del passato e quelle che significano oggi la nostra cultura mediterranea.
Interpretate le complessità sincroniche e diacroniche nel pensiero di aggiungerne altre, il progetto del nuovo crea spazi di relazione, riordinandoli nel rispetto delle preesistenze e del loro significato e confrontandoli sul piano dell’espressione con le configurazioni geometriche e spaziali dell’intorno, adattandosi rispettoso a ciò che esiste, ma facendolo rivivere nell’uso collettivo.
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