Benessere: Natura & Bio
A cura di Marco Puglisi
(La Stanza del sale – Acireale)
Origini antichissime, preistoriche a dire il vero, e un fascino intramontabile rendono il miele il compagno ideale per affrontare al meglio il freddo inverno. Sdraiati sul divano, caminetto acceso, un buon libro in una mano e nell’altra….? Una tazza di thè dolcificato con un abbondante cucchiaino di miele, cosa si può chiedere di più?
Ma torniamo all’alba di questo oro liquido così tanto venerato nel corso dei secoli attraverso canzoni, odi e versi: dobbiamo risalire al neolitico (5000 – 7000 a.C.) per scoprire le prime testimonianze della sinergia tra uomo e ape, ritratti in una rappresentazione rupestre rinvenuta in Spagna nei pressi di Valencia. L’affresco mostra un uomo, probabilmente un cacciatore di miele, intento a prelevare favi mentre svariate api gli volano intorno. E’ molto probabile che l’uomo stia raccogliendo le famiglie di api che vivevano nei tronchi cavi delle piante, sezionandoli e sistemandoli nei pressi delle abitazioni, pratica in uso sino alla metà del Novecento.
Si pensa che siano stati gli Egiziani a capire per primi l’importanza di “allevare in cattività” le api e nacquero così, attorno al 2600 a.C. le prime arnie fatte di rami, canne intrecciate e fango essiccato, poste le une accanto alle altre per agevolare il controllo e l’allevamento delle api. A seguire, ogni popolo ha sviluppato il suo modo di costruire arnie, per esempio in Medio Oriente si prediligevano i vasi in terracotta, nell’Europa centrale i tronchi svuotati, altrove contenitori di paglia o di fibra vegetale e argilla. I Sumeri erano soliti usare il miele per la cosmesi già nel 2000-3000 a.C., mentre Assiri e Babilonesi lo usavano per le affezioni che colpivano epidermide, occhi, genitali, apparato digerente e trattavano i corpi dei defunti con la cera d’api e con lo stesso miele.
Celti ed Etruschi lo utilizzavano per riti di sepoltura e offerte votive, ma solo i Greci arrivano a considerarlo divino attribuendogli la definizione di Cibo degli Dei. Una comune credenza, infatti, narra che le divinità si cibassero di nettare e ambrosia; non potendo donare l’immortalità agli uomini, per confortarli, permisero loro di poter gustare il miele facendolo cadere sulla terra dalle loro tavole imbandite. Come dono degli dei, la popolazione greca lo riteneva un potente elisir di giovinezza e lo somministravano regolarmente agli atleti che concorrevano ai giochi olimpici.
Aristotele fu il primo a studiare il prezioso lavoro delle api, ma anche nell’antica Roma troviamo importanti studi al riguardo; ci è dato sapere che per questo popolo l’apicoltura doveva essere particolarmente sviluppata, praticavano la sciamatura artificiale, costruivano arnie e sperimentavano nuove tecniche. I Romani nutrivano una vera a propria venerazione per questo alimento che veniva ampiamente utilizzato a scopo terapeutico, cosmetico e in cucina, mentre in India questo liquido era considerato afrodisiaco e quindi ingrediente principe per elisir e filtri d’amore.
La diffusione e l’allevamento delle api al fine di ottenere miele fu rapida e capillare e la sua leadership si mantenne invariata sino alla scoperta dello zucchero (metà del XVIII), derivato dalla canna da zucchero, dal potere dolcificante più economico del nettare degli dei. A quel punto ebbe inizio il tracollo del miele, rapidamente soppiantato dallo zucchero, estratto, poco poco, anche dalla barbabietola.
Non solo buono, ma anche utile, il miele veniva utilizzato anche nell’antichità in cosmesi per le sue proprietà: innumerevoli bellezze tra le quali Cleopatra e Madame Du Barry, la favorita di Luigi XV, sono solo alcune delle donne che nel corso dei secoli hanno sfruttato il miele nei loro trattamenti estetici.
Numerose leggende antiche vantano come protagonista il miele; nella mitologia nordica troviamo l’idromele (melikraton) ottenuto da un miscuglio di sangue e di miele, poi, narrate storie sull’esistenza di Idromele, un’isola immaginaria al largo di Pohiola abitata esclusivamente dalle api ed inaccessibile agli uomini. Lo stesso Virgilio definisce il miele “dono celeste della rugiada” e lo lega ai riti dell’iniziazione.
Il miele vanta numerose qualità che variano per periodi di fioritura, colore, composizione e sapore. Tra i più usati troviamo il miele di Acacia, caratterizzato da un alto contenuto di fruttosio responsabile dell’elevato potere dolcificante, e dal colore che varia dal trasparente al giallo chiaro paglierino.
Il miele di Agrumi, realizzato con fiori di Arancio e di Limone, presenta un colore bianco o beige chiaro, un sapore dolce e talvolta acidulo ed è ideale nel trattamento delle ulcere.
Segue poi il miele di Castagno, ambrato con tonalità rossiccio/verdastre, non eccessivamente dolce e con retrogusto sempre più o meno amaro.
Il miele di Eucalipto ambrato nel miele liquido, beige grigiastro nel miele cristallizzato, normalmente dolce, a volte leggermente salato, indicato per i mali di stagione grazie alle sue proprietà antisettiche e balsamiche.
Il miele di Rododendro è un prodotto esclusivamente nell’arco alpino attraverso tecniche di nomadismo, normalmente dolce e dal colore chiaro svolge una funzione terapeutica in casi di infezioni intestinali, urinarie e malattie polmonari.
Per depurare il fegato si consiglia il miele di Tarassaco, dall’alto contenuto di glucosio, dal giallo paglierino e non eccessivamente dolce.
Il miele di Tiglio è perfetto in casi di nervosismo ed insonnia, in quanto vanta proprietà calmanti e antispasmodiche, dolce, ma talvolta con retrogusto leggermente amaro nei mieli molto puri.
Infine il miele di Melata di Bosco (Metcalfa Pruinosa), dal colore scuro, gusto maltato-caramellato, indicato per chi ama i gusti robusti.
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