Il concetto di “Speranza” nel saggio di mons. Duverly “Spes triumphi”

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ITINERARI DELLO SPIRITO

A cura di Padre Fulvio Moltisanti

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È il concetto di speranza che mons. Duverly affronta nel suo saggio <Spes triumphi>. Non lo fa in modo teorico né tantomeno cattedratico. Egli da persona e pastore che vive nel mondo, che è immerso nella nostra complessa realtà quotidiana, che tocca con mano le difficoltà con le quali tanti nostri fratelli sono costretti giorno per giorno a misurarsi, declina questo termine in modo concreto e direi anche pratico e positivo.

Un appello, un richiamo, un’esortazione caratterizza il libro: sperare senza tregua anche e soprattutto nei momenti di difficoltà e scoramento, quando situazioni difficili o vicende drammatiche ci inducono a fare il contrario o addirittura a mettere in dubbio la nostra fede.

La capacità di proiettare la vita verso il futuro, questa è la speranza. In particolare per il cristiano si fonda sulla fede nella resurrezione di Cristo la cui vittoria sulla morte ci assicura che il male e la morte appunto, in tutte le forme in cui possono presentarsi all’uomo, non hanno l’ultima parola.

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Per il cristiano oggi la speranza è una responsabilità perché egli deve essere in grado di aprire varchi verso il futuro, di mostrare concrete e possibili strade di progettualità, di costituire presenza significativa per tutti, non solo per i giovani che nel futuro hanno il loro orizzonte prossimo. Non si può vivere senza speranza perché essa consente all’uomo di camminare sulla strada della vita, di essere uomo.

Nella nostra missione di cristiani la speranza ci vincola a connetterci con la realtà: bisogna riscoprire i fratelli emarginati e  dimenticati perché solo l’amore salva, solo ricevendo e donando amore si può aspirare alla salvezza.

Abbiamo il dovere di preparare un ambiente accogliente per  le future generazioni conciliando il profitto, lecito e legittimo quando ottenuto onestamente, con il benessere delle persone e la salvaguardia del pianeta. Mi piace – a questo proposito – ricordare le parole dell’enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco: “Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità”.

Il Vangelo di Matteo ci dice che il cristiano è il sale della terra, egli ovunque si trovi non può lasciare inalterata la realtà, la cambia, la insaporisce, la rende significativa. Il cristiano valorizza i dettagli, dà dignità a ciò che il mondo scarta, rende visibili gli invisibili della storia.

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L’annuncio dalla parola di Dio ci porta a operare nella società e nel mondo, nelle città in cui viviamo, nelle parrocchie che frequentiamo, sul posto di lavoro ognuno con le sue attitudini e carismi per realizzare qualcosa di importante seppure non necessariamente di grande: rendere fruibile un campetto di calcio, restaurare la sala riunioni della comunità, eseguire la manutenzione ordinaria della chiesa, impegnarsi nella preparazione dei piccoli comunicandi, promuovere e coordinare incontri di carattere religioso-culturale, visitare gli ammalati, incontrare gli ospiti delle case di riposo, organizzare i gruppi estivi dei ragazzi.

Una delle componenti fondamentali della personalità del sacerdote è essere pastore, accogliere, ascoltare, accostare i fedeli alla chiesa. Sono in grado di testimoniare che le nostre parrocchie, promovendo l’azione dell’intera comunità, tornano a essere frequentate (a riempirsi come diciamo colloquialmente), ma soprattutto a ospitare comunità di fedeli solidali e altruiste.

Sono ben consapevole che tutto il nostro impegno, le nostre attività e anche i successi (perché no?) non sono merito nostro: su di noi e con noi c’è l’opera della SS. Trinità che ci accompagna nel cammino, ci ispira, ci indirizza, sorregge la nostra missione, sostiene la nostra azione. Per questo nessuno di noi si inorgoglisca: la superbia e l’orgoglio non ci appartengano perché lontanissimi dall’essenza del cristianesimo. L’umiltà, la sobrietà, l’essenzialità, la semplicità, l’accoglienza  devono costituire l’identità e il modus operandi di ogni cristiano. Solo con questa disposizione d’animo potremo portare a tutti il dono della speranza, il dono della grazia, il dono dell’amore.

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Il samaritano in quest’ambito  ci dà una lezione che nella storia del cristianesimo è stata replicata in innumerevoli circostanze. Essa nella sua essenzialità coincide col motto della scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani “I care” cioè mi importa, mi sta a cuore. Amiamo e solidarizziamo con i più vulnerabili, con gli emarginati, con chi si trova in difficoltà e in stato di malattia e deprivazione. L’amore che ci ha insegnato Cristo morendo sulla croce dobbiamo riversarlo sul nostro prossimo. Le pratiche religiose, pur importanti, non bastano perché noi possiamo amare Dio solo prendendoci cura del prossimo, di chi non ce la fa autonomamente.

(Prima parte)

                                                             Padre Fulvio Moltisanti
Parroco Parrocchia SS. Redentore – Modica
Contatti : 3342619107

LA CULTURA DELLO SCARTO, OSTACOLO ALL’INCLUSIONE, E LA RICERCA DELLA SPERANZA. “SPES TRIUMPHI”, Parte seconda