“L’acqua che fluiva nel nostro terreno, argilloso o vulcanico, si arricchiva, e si arricchisce tutt’oggi, della ricchezza delle sostanze che la nostra terra ci dona gratuitamente.”
Questa breve storia parte dal territorio dell’antica Aci, il quale comprendeva, all’incirca, tutti i piccoli comuni che ne presero il nome. In questa zona, che aveva come centro la “Reitana”, settecento anni di storia hanno visto svilupparsi la via dei mulini che ha resistito al tempo, ma non alla speculazione edilizia che ebbe inizio negli anni settanta, del nostro secolo, e all’incuria di noi esseri umani. Solo un occhio attento e amante della nostra storia riuscirebbe, ancor oggi, a distinguere tracce di questi antichi mulini. Insieme a loro sono scomparsi vecchi mestieri, testimoni di tradizioni, ma, anche, di una sofferenza millenaria.
L’acqua è stata sempre sinonimo di vita e di ricchezza. Il suo controllo, in ogni parte del mondo, ha causato nei secoli contese da parte dei detentori del potere e dell’economia. Anche la nostra zona ha conosciuto lunghe dispute per il controllo delle acque.
Il nostro territorio, formato in prevalenza da terreni vulcanici, soffre, proprio per la sua struttura, della mancanza di sorgenti acquifere usufruibili, infatti, molti fiumi, per lunghi tratti, scorrono sottoterra. Nella zona a monte della Reitana, posta tra Acireale, Acicastello e Aci San Filippo, un substrato argilloso, privo della copertura lavica, permette l’affioramento di una falda acquifera che nei tempi passati si credeva fosse un ramo del famoso fiume Aci. A conseguenza di ciò, molte fonti naturali sgorgano in vari punti disseminati lungo tutto il territorio, che va dal piano Reitana, a Santa Venera (sorgente termale), fino ad arrivare a Capo Mulini, molte altre, invece, scorrono sottoterra e poi si gettano direttamente nel mare. Quest’area divenne, nel corso dei secoli, attenzionata lungamente, per svariati ed importanti utilizzi. L’acqua che fluiva nel nostro terreno, argilloso o vulcanico, si arricchiva, e si arricchisce tutt’oggi, della ricchezza delle sostanze che la nostra terra ci dona gratuitamente. Ma, oltre ad irrigare i terreni agricoli e dissetare sia gli uomini che gli animali, venne impiegata in diverse altre attività: pulitura dei panni di lino localmente prodotti, macerazione del lino e della canapa, lavorazione del riso, concia delle pelli, depurazione dei lupini, per finire, addirittura con la produzione della seta, che, a fine 400, era già diffusa in tutta la zona. Appena il bozzolo era pronto, si doveva estrarre il lungo filamento di seta ed era necessario disporre dell’acqua, indispensabile per la sua lavorazione.
Tanti, quindi, i suoi utilizzi, ma a questi dobbiamo aggiungere l’energia che dava alle macchine idrauliche, come i famosi e numerosi mulini, sparsi lungo tutto il territorio, per la produzione della farina, segherie per il taglio del legname, trappeti per la lavorazione delle canne da zucchero, paratori per la lavorazione della lana.
Si evince che in tutta la zona ferveva una incessante attività. Attorno a quell’area, infatti, ruotava un piccolo universo di attività umane, alle quali si dovevano per forza aggiungere muli che, per le “trazzere” disagiate, e sotto il sole cocente, trasportavano merci da lavorare o già lavorate. Appena arrivati a destinazione, le saie e gli abbeveratoi davano ristoro, a uomini e animali, dopo il lungo cammino, pronti, comunque, a riprenderlo non appena la merce sarebbe stata pronta. C’erano, poi, mandrie di pecore e capre, buoi e vacche che pascolavano vicino ai corsi di acqua ricchi di vegetazione. Si dovevano sentire, abbastanza spesso, le voci di giovani donne che si dirigevano verso i lavatoi con i cesti colmi di panni da lavare, accompagnate dalle anziane che oltre a chiacchierare, vigilavano severe sui loro “civettii”. Non mancavano, di tanto in tanto, uomini sul tetto armati di “scopetta” a mo’ di protezione dal pericolo delle scorribande dei turchi.
Solo quando il sole tramontava dietro l’Etna, “a muntagna”, i contadini riponevano gli attrezzi, e riprendevano la via verso casa. La rada, così animata di giorno, rimaneva sola, desolata, buia, rischiarata solo dalla luna e dal cielo stellato.
Arrivati alla seconda metà dell’800, però, si comincia ad assistere alla lenta, ma progressiva, chiusura dei mulini: il motore a vapore, di recente scoperta, aveva cominciato a soppiantare l’energia dell’acqua, in più, gli impianti molitori potevano essere posizionati il località più vicini ai centri abitati e, quindi, molto più funzionali.
Anche la macinatura fu azionata da motori a vapore, prima, ed elettrici, dopo. Oggi, l’unico mulino rimasto integro, soprattutto grazie alla perseveranza del suo padrone, è il mulino “Pigno”, gli altri continuarono a funzionare fino al dopoguerra, per essere chiusi definitivamente negli anni ’50.
Attualmente dei mulini ad acqua rimane poco più di una leggenda, qualche nome di luoghi di intrattenimento, e, di tanto in tanto qualche giornata culturale, guidata da qualche romantico studioso, sognatore, che, malgrado siano passati diversi secoli, continua a visitare spesso questi luoghi, cercando e trovando segni di piccole “manifestazioni edilizie” che l’occhio comune vedrebbe solamente come comuni “ciottoli”.
Mariella Di Mauro
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