STORIA
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L’INTERVISTA DI MARIA CRISTINA TORRISI
Intervista a Rosa Barbagallo
Foto di Gaetana Sciuto
“I mascheroni di Acireale-Il Barocco e la loggia giuratoria” è la pubblicazione della scrittrice acese Rosa Barbagallo, presentata recentemente ad Acireale.
Un lavoro prezioso non soltanto per la valenza storica ma anche perché, attraverso la pubblicazione, è possibile conoscere più approfonditamente i mascheroni di pietra lavica o pietra arenaria che si aggirano tra le vie storiche acesi, incastonati in portici o in balconi di antichi palazzi, abbellendoli con la loro maestosità.
Desta curiosità saperne qualcosa in più. Così che ho voluto ospitare l’autrice Rosa Barbagallo con la quale ho realizzato una approfondita intervista.
1 Una preziosa pubblicazione. Raccontami l’iter che ti ha portato alla realizzazione di questo lavoro.
– Quante volte ci è capitato di vedere volti mostruosi nelle mensole dei balconi di antiche case nobiliari o di chiese o di strutture pubbliche? Tantissime sicuramente. Un giorno, con Gaetana Sciuto, ci siamo fermate a guardarli più attentamente. Avevamo anche l’impressione che quei volti strani dall’aspetto ora terrifico, ora triste, ora spaurito ci osservassero dall’alto. Ci siamo chieste chi erano gli autori di quelle strane figure, cosa rappresentavano, che significato avessero, a quando risalissero. Cosa significavano quelle smorfie su volti grotteschi di pietra bianca di uomini, donne, bambini, animali, mostri di vario genere a volte spaventosi e minacciosi, a volte consolatori?
Abbiamo cercato le risposte a queste domande. Ci siamo appassionate sempre di più alla ricerca, risalendo alla presenza del Barocco ad Acireale.
2 Il Barocco in Sicilia e nella nostra Città
Il Barocco in Sicilia ha avuto uno sviluppo straordinario. Anche ad Acireale, già nel seicento si cominciarono a realizzare degli ornamenti che si rifacevano chiaramente al Barocco. Forme barocche semplici, ma di grande interesse, che si sono potute in parte conservare, in alcuni palazzi e chiese del seicento e del tardo medioevo, non essendo stata la Città completamente distrutta dal terremoto del 1693, come è successo a Catania e in tutta la Val di Noto.
Nel ’600 ad Acireale era presente un ceto medio-alto che cresceva e si rafforzava. In quel periodo si cominciarono a costruire palazzi sempre più fastosi e ricchi. M.C. Gravagno, nella sua opera “Imago Urbis”, afferma che ad Acireale: “nel ‘600 l’attività edilizia, sia pubblica che privata, trovò modo di espandersi, segno di patrimoni privati e di un rafforzamento dell’economia cittadina che si accresceva…”
Infatti osservando la pianta della Città del ‘500 e mettendola a confronto con quella del ‘600 si nota chiaramente che il numero delle abitazioni nel ‘600 è quasi raddoppiato.
Molti artigiani che lavoravano la pietra a fini ornamentali, erano venuti ad Acireale da Messina, ancor prima del terremoto del 1693.
Fin dal 1500 Messina era stata sede di una Università degli Studi, in cui si insegnava Medicina e Giurisprudenza, oltre che di un “Prototypum Collegium” della Compagnia di Gesù, ove si insegnavano Lettere, Filosofia e Teologia. Era inoltre un importante centro commerciale e artistico, la prima tappa di tutto ciò che arrivava dal “Continente”.
Dopo il terremoto del 1693, arrivò a Messina l’influenza michelangiolesca tramite le maestranze e gli artisti messinesi che andavano a formarsi nelle scuole romane.
E fu soprattutto dopo il terremoto che la ricostruzione di Acireale, come anche di Catania, si avvalse dell’opera non soltanto di “lapidum incisores” acesi, quali i noti D’Amico, ma anche di lapicidi originari di Messina, tra cui i famosi Flavetta, che diedero un nuovo volto alla città, apportando anche quel ricco contributo dovuto al barocco romano.
Il Contarino in “Acireale e il suo Barocco” afferma: “Ad Acireale, prima che altrove, venne esibita una tipologia architettonica caratterizzata da una sbalorditiva ricchezza di figurazioni antropomorfe e zoomorfe scolpite nelle mensole dei balconi, negli stipiti e negli architravi, chiara attestazione di una civiltà della pietra, nella quale il gusto del racconto fantastico e la voglia di sorprendere trovano nella capacità singolare dei “lapidum incisores” locali il mezzo dove esprimersi compiutamente. L’elemento decorativo – continua il Contarino- si fa cifra di un’architettura ricca, teatrale, scaramantica, che soddisfa contemporaneamente le esigenze del fasto, della ricchezza e di quel bisogno di spettacolarità retorica e di spazialità illusiva, proprie del barocco.”
In effetti, tutta questa ricchezza di ornamenti sembra trasformare le strade e i palazzi in museo a cielo aperto, così che passeggiando per alcune strade di Aci si ha l’impressione di addentrarsi tra le quinte di un teatro.
Osservando ad esempio, l’antico Vicolo degli Studi, chiamato così perché un tempo vi era il Palazzo del Collegio degli Studi, possiamo notare che i tre archi di sostegno danno all’insieme un fascino e una suggestione medievale.
3 L’origine del “mascherone”. Perché nasce? Cosa rappresenta?
Il termine “mascherone” ha origine nel XIV secolo, quando, prendendo spunto dalle maschere tragiche del teatro greco, si cominciarono a modellare elementi decorativi costituiti da protomi, cioè dalla parte anteriore della testa, aventi di volta in volta sembianze antropomorfe, zoomorfe o teriomorfe, cioè a forma di animale feroce, per decorare porte, finestre e facciate di palazzi e chiese.
L’uso di mascheroni terrifici posti sui portali delle dimore risale a un mondo antico e magico; aveva un significato apotropaico e scaramantico e serviva per proteggere la città, la dimora e perfino le chiese da forze ostili e negative. Molteplici e variegati sono stati i modi di esprimere il grottesco di una testa o di una faccia: vi sono mascheroni con fauci spalancate e la lingua sporgente; altri con lo sguardo minaccioso, beffardo o sarcastico, altri con una espressione tragicamente triste.
Passeggiando per il centro storico di Acireale, se ci soffermiamo proprio al centro di piazza Duomo, troviamo il Palazzo di Città, prestigioso edificio barocco, dove anticamente c’era la Loggia Giuratoria, dove si riunivano i Giurati della Città e il Sindaco, costruita intorno alla metà del ‘600.
4 La ricerca
Siamo andate all’Archivio Storico Comunale per consultare i documenti originali.
Dalla documentazione dell’Archivio Storico, abbiamo potuto rilevare che l’incarico di Intagliatore e Scultore, veniva assegnato per votazione. In una delle foto allegate, possiamo vedere che per l’anno 1738 è stato assegnato a Giouanne Palazzuolo con “voti novi”, gli altri partecipanti erano: due componenti della famiglia Flavetta e Domenico Ricupero. Sono tutti lapicidi che comunque in quegli anni hanno contribuito all’abbellimento della città. All’Archivio Storico, abbiamo visto che in quel periodo tra i mastri scultori e intagliatori presenti ad Acireale c’erano anche Francesco Flavetta, Giuseppe Ricupero, Francesco Ricupero, Flavetta M° Diego, Paolo Ricupero, Giuanne Flavetta, Paolo Vasta, Mauro Musmeci, Sebastiano Vasta, Tomaso Flavetta di M° Francesco, Matteo Vasta.
I lavori di ricostruzione della Loggia Giuratoria distrutta dal terremoto del 1693, sono stati affidati al capo-mastro Costantino Larcidiacono, a cui, come riporta il Gravagno nella sua opera “La Loggia Giuratoria e le Basiliche di Acireale”, “il 1 novembre 1698 per atto del notaio Sebastiano Gulli, il tesoriere pagò onze una per i suoi travagli per aver formato il disegno di detta loggia giuratoria e tarì uno per prezzo di Carta e Regole per aver designato detta Loggia”.
Lo stesso 1 novembre davanti allo stesso notaio Gulli, continua il Gravagno: “si stipulò fra i Deputati e l’intagliatore Diego Flavetta, il contratto di appalto della maestria di pietra bianca scamiciata e proliscia, quanto di màscare e statue che dovranno servire per la loggia”.
5 Parlami della pietra lavica utilizzata per realizzare i mascheroni
La pietra bianca arrivava ad Acireale da Siracusa, via mare, al porticciolo di S.M. La Scala e da qui su carri trainati da buoi veniva portata in un capanno, posto, forse, nella strada delle Maestranze, l’attuale via Romeo, dove il Flavetta, riporta sempre il Gravagno, “modellava, con sicuri colpi di scalpello per realizzare perfetti bassorilievi, cariatidi e maschere”.
6 I doccioni che si trovano nelle opere della città di Acireale
Soffermandoci ancora in piazza Duomo con le spalle rivolte al Palazzo di Città, possiamo osservare la parte esterna della cappella di S. Venera. Apriamo una piccola parentesi. Intorno al 1650 ad Acireale si era accresciuta notevolmente la venerazione per S. Venera, tanto che nel gennaio del 1651 il Consiglio cittadino la elesse protettrice indiscussa della Città. Nello stesso anno si stabilì di: “erigere statuam argenteam ad maiorem gloriam et honorem dictae Sanctae” e si destinavano gli introiti della gabella della Fiera Franca alla fattura di una statua d’argento “dalla cinta in su”. Fu dato l’incarico per la realizzazione della statua all’artista Mario D’Angelo di Messina che la realizzò su disegno dell’acese Antonino Finocchiaro.
Nel 1658, un ricco possidente di origine romana, Trojlo Saglimbeni, non avendo eredi, lasciò il suo patrimonio ai deputati della Cappella di Santa Venera, per erigere nel luogo dove era l’altare e il quadro della Santa, una cappella marmorea “d’altra miglior forma e maniera”. Nel 1683 cominciarono i lavori; gli acesi Francesco Greco e Sebastiano Palazzolo furono mastri di fabbrica, mentre mastro Giuseppe Recupero ebbe l’appalto della fornitura degli “intagli così di pietra negra di S. Tecla come della pietra bianca di Siracusa”. La cappella costituì parte integrante della Cattedrale.
Ora se guardiamo, nella foto, la parete esterna della cappella, in alto possiamo notare nove doccioni, originariamente erano dieci, per l’acqua piovana, contenuti da mascheroni di pregevole fattura; sono mascheroni dall’espressione grottesca e minacciosa realizzati da Filippo Flavetta che, come riporta il Gravagno: “…ricevette onze 1 e tarì 6 per haver collocato n° 10 pezzi di pietra bianca nelli quali si scolpero li mascaroni, li quali buttano l’acqua dalli canali sopra la Cappella”.
Altri doccioni per lo scarico dell’acqua piovana troviamo nel palazzo Maugeri, di via Marzulli, che risale alla metà del settecento. Come potete vedere dalle foto allegate, ci troviamo di fronte a una teoria di mascheroni scaramantici e terrifici di raffinata fattura.
7 Desiderando addentrarmi con te nelle vie antiche di Acireale, quali palazzi possiamo individuare?
Addentrandoci ora nelle antiche vie del centro storico, proprio all’inizio di via Davì, troviamo Palazzo Modò, uno dei palazzi reali di Acireale. Reale perché vi fu ospitata la regina Anna d’Orleans, che accompagnava Vittorio Amedeo II, re di Sicilia, il quale, invece, alloggiava nell’attiguo palazzo Costa Grimaldi. Palazzo Modò, abbattuto in parte dal terremoto del 1693 e ricostruito nel 1698, ancora oggi si mostra in tutta la sua ricchezza e opulenza. Il balcone è arricchito da mascheroni in pietra bianca ingentiliti da fiori, che sembrano esprimere sentimenti diversi: di sorpresa, di paura, di minaccia, e, secondo noi, anche di speranza, augurio e fecondità, sentimenti a cui fanno pensare le figure femminili con prosperose mammelle e evidenti segni di maternità. Nei primi anni del Novecento i proprietari adibirono il pianterreno a teatro. Rimane l’insegna “Eldorado” con la maschera rifacentesi al teatro greco.
Continuando la passeggiata nel centro storico, in via Dafnica, possiamo ammirare un altro balcone riccamente decorato con mascheroni nel secentesco palazzo Scudero-Papale, dei baroni di Villanova. E’ questo un esempio di barocco autenticamente acese. Il palazzo fu in parte distrutto dal terremoto e poi ricostruito. I mascheroni rappresentano volti di donne e di uomini che sembrano avere lo sguardo fisso verso qualcosa. Cosa hanno visto? Cosa potrebbero raccontarci? Cosa fissano i loro occhi? Tra le mensole di uno dei balconi, possiamo rilevare il volto di una donna che mette fuori la lingua, perché? Sul portale centrale si nota un mascherone, probabilmente raffigurante il proprietario, che sembra stare lì ancora a guardia perenne della sua dimora.
Trovandoci al Museo delle Scienze di Londra, abbiamo notato un’immagine, che abbiamo allegata, accompagnata da un testo che confermava ciò che sapevamo, e cioè che le emozioni di base sono manifestate dalle espressioni del volto, che sono uguali in tutto il mondo e in tutte le epoche. Le emozioni chiave sono sei: il disgusto, la rabbia, la felicità, la tristezza, la sorpresa, la paura. Abbiamo confrontato queste maschere stilizzate con i mascheroni, rilevando notevoli somiglianze con le varie espressioni dei mascheroni antropomorfi.
Nel secentesco palazzo Modò di via Currò si nota un maestoso portale barocco e un balcone sostenuto da mensole arricchite da mascheroni in cui possiamo cogliere varie espressioni: di minaccia, di tristezza, di rabbia, di paura, di sorpresa.
Continuando a curiosare per le vie, troviamo il secentesco Palazzo Geremia (1675), di Piazza Grassi; qui, la balconata principale è arricchita da 13 mensole con figure di donne e di cavalieri dalle più strane espressioni. Vincenzo Geremia ( nato nel 1595 e morto nel 1679) fu un eccentrico personaggio; studioso, ingegnere, inventore, matematico e poeta. Di lui si conserva nella Biblioteca-Pinacoteca Zelantea, un prototipo di cannoncino a retrocarica. Una piccola strada, via Geremia, che ancora mantiene l’originale secentesca pavimentazione di basole laviche, conduce a un altro secentesco Palazzo Geremia che fa angolo con via S. Carlo. Anche in questo, sono interessanti, per la grande carica espressiva, i mascheroni dei balconi: un balcone a quattro mensole, uno a cinque; è notevole il balcone ad angolo con 14 mensole con mascheroni zoomorfi, evidenti le teste di uccelli e di montoni o cavalli, antropomorfi e raffiguranti donne con mammelle e evidenti segni di maternità.
Non possiamo concludere questa passeggiata per le vie di Aci, senza restare colpiti e affascinati dai magnifici portali barocchi che hanno nella chiave di volta grandi e terrifici mascheroni di lava.
Una peculiarità del versante orientale dell’Etna è la lavorazione della pietra lavica. La lava, in tutta la Sicilia orientale viene usata in lastre, mentre il suo impiego decorativo è circoscritto alle zone etnee. Non tutti i lapidum incisores sapevano lavorare la pietra di fuoco, come viene definita la lava da Donatella Polizzi Piazza. La lavorazione della pietra lavica, senza strumenti meccanici è molto faticosa e complessa; è necessaria forza e particolare abilità per incidere, levigare e modellare la pietra. Nei mascheroni di lava viene espresso l’essenziale; sentimento dominante ci sembra essere l’atteggiamento apotropaico, terrifico e minaccioso.
In piazza Duomo, accanto a Palazzo Modò, troviamo il Palazzo Costa Grimaldi, anche questo reale, perché, come abbiamo già ricordato, ospitò nel 1714, Vittorio Amedeo II, divenuto re del Regno di Sicilia. Notiamo il portale imponente di pietra lavica sormontato da un balcone anch’esso di pietra lavica. Dalla chiave di volta del portale un mascherone dall’aspetto altero, lo sguardo fiero, la grande fronte aggrottata e la bocca aperta in cui si vedono la lingua e i denti, sembra dirci: alto là.
In via Dafnica ci imbattiamo nel Collegio S. Venera, destinato al ricovero e all’istruzione delle ragazze povere; venne costruito dal 1723 al 1728. Anche qui i portali di pietra lavica sono arricchiti da una serie di mascheroni in parte austeri e accigliati, che probabilmente rappresentavano gli Amministratori del collegio e, in parte con la bocca aperta come se parlassero, che rappresenterebbero le suore.
In piazza S. Domenico, possiamo ammirare l’elegante Palazzo dei baroni Musmeci della Torre, che risale alla prima metà del ‘600. Nel portale di pietra lavica, un mascherone minaccioso con i capelli ricci, le narici dilatate, i baffi spioventi, la barba, la bocca aperta in cui si intravedono la lingua e i denti, con occhi feroci dalle vivide pupille midriatiche nere, sembra posto lì pronto a fulminare dall’alto chi si ferma a guardare.
Di fronte all’ex Angolo di Paradiso, possiamo ammirare un portale con un mascherone molto bello e particolare: osservandolo, notiamo le labbra carnose e ben disegnate che scendono verso il basso, le guance cadenti e una espressione che nel suo insieme ci sembra di tristezza e perplessità.
Concludiamo la nostra passeggiata in via Marzulli. Qui, all’angolo con via Galatea, troviamo un vecchio palazzo con un portale in pietra lavica, che ha nella chiave di volta un tetro mascherone. Anche negli stipiti delle finestre di via Galatea si trovano delle rigide maschere. Questa casa, che risale al ‘500, era dei Baroni Mazzulli, e un suo componente, un certo Jannello Mazzulli, fu giurato della città nel 1598. In questa casa è nato Lionardo Vigo Calanna il 25 settembre del 1799, come si può notare dalla lapide che ricorda questo importante personaggio acese.
Potremmo continuare la nostra passeggiata per Aci ancora per molto, tanti sono i “Mascheroni” di cui poter studiare le espressioni; tante le belle dimore nobiliari e le chiese. La “città dai cento campanili” è una fonte inesauribile di sorprese. Magari potremmo continuare in una prossima occasione, ammirando tra l’altro il panorama dal Belvedere, da cui nei giorni di luce, e, qui sono tanti, si riesce a vedere la Calabria, oppure scendendo per le “Chiazzette”, il suggestivo percorso naturalistico che porta fino alla riva di quel mare di S.Maria La Scala, dove da sempre il fiume Aci si unisce all’amata ninfa Galatea.
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