Ammettere il proliferare di tali discipline, nega, contemporaneamente, la possibilità di ricreare la socialità che offre la scuola, come luogo di formazione, sviluppo e crescita di identità che si affacciano al mondo, esterno a quello familiare.
A cura di Maria Pia Basso
Si definisce “ homeschooling” o istruzione domiciliare e pare stia prendendo piede anche in Italia, ove più di mille famiglie, hanno deciso, in forza anche dell’articolo 30 della nostra Costituzione che prevede il “ dovere e il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli”, di esercitare il ruolo di insegnanti dei propri pargoli, nell’ambito delle mura domestiche, luogo deputato maggiormente idoneo per l’esercizio delle attività di apprendimento, rispetto alle tradizionali aule scolastiche. Se è vero che negli Stati Uniti ed in Inghilterra le scuole sono spesso gestite da comunità che abbracciano una religione diversa dal credo praticato all’interno di una famiglia, per cui parrebbe plausibile ammettere la quasi necessità di ricorrere all’istruzione parentale al fine di arginare gli eventuali contrasti che deriverebbero dal professare religione distanti nei principi fondanti, è difficile ammettere la possibilità di ricorrere allo stesso “escamotage” in Italia. Ciò comporterebbe l’isolamento del bambino dal resto della società; e il suo permanere tra le mura confortevoli e protettive della propria abitazione, farebbe germogliare personalità poco autonome e poco inclini al rapportarsi con terzi, siano essi gli insegnanti o i compagni di classe, l’interrelazione con i quali, porta inevitabilmente ad un confronto e, quindi, ad una crescita. Chi interrogherebbe l’alunno? Il genitore, ovviamente. E quanto obiettivo sarebbe il giudizio espresso nei confronti del figlio? E sanzionerebbe pure la sua condotta riprovevole con una nota di demerito sul registro… ( di classe)?
Ammettere il proliferare di tali discipline, nega, contemporaneamente, la possibilità di ricreare la socialità che offre la scuola, come luogo di formazione, sviluppo e crescita di identità che si affacciano al mondo, esterno a quello familiare. Quest’ultimo, spesso, ovattato e nel quale non vi è possibilità, se non in maniera relativa, di conoscere realtà differenti ed estrinsecare, così, quel senso di critica e di autocritica, insito nella natura umana e che consente di progredire, arricchendo il proprio bagaglio di esperienze giorno dopo giorno. Non possiamo non mettere in luce come, l’avvento dei vari social network ( ai quali dovrebbe essere inibita, da genitori responsabili, la frequentazione da parte dei bambini), stia creando un divario di enormi proporzioni tra le varie forme di comunicazione verbale, spingendo a trincerarsi dietro una tastiera ed alimentando l’incapacità di espressione sia orale che scritta, attraverso l’uso della penna e non dell’arida tastiera di un pc, i cui caratteri, tutti uguali ed omogenei, non potranno mai far emergere lo stato emotivo del mittente né quello del destinatario.
Se a ciò aggiungiamo l’isolamento del bambino, discente dimorante in casa, avalleremo solo il perpetuarsi di piccoli, claudicanti sia nell’apprendimento, che nella realizzazione di se stessi. Auspicabile sarebbe, invece, la continua interazione scuola-famiglia, al fine di far emergere, secondo le proprie inclinazioni e le proprie aspirazioni, personalità ancora in erba che chiedono, a gran voce, che venga loro riconosciuto il diritto all’esistenza e alla piena integrazione in ambito sociale. E’ necessario approntare tutte quelle misure necessarie affinché si possa raggiungere la piena consapevolezza della necessità di una relazione reciproca tra docenti e genitori in cui l’allievo-figlio, diventi il perno attorno a cui far ruotare un sistema efficace volto alla salvaguardia e alla tutela di un individuo, in via di formazione, al quale garantire il diritto all’istruzione così come esplicitato nelle norme costituzionali.
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