Storiche Memorie – Nuove Edizioni Bohémien – Gennaio 2014
A cura di Maria Licciardello
La libertà è premessa indispensabile della vita intellettuale di un paese: “i filosofi, gli scrittori, gli artisti, persino gli scienziati, non hanno solo bisogno di incoraggiamento e di un pubblico: hanno anche bisogno di costante stimolo degli altri. E’ quasi impossibile pensare senza parlare. (…) se si elimina la libertà di aprola, le facoltà creative inaridiscono.” (16)
Conosciuto dal grande pubblico come l’autore di 1984, inventore del Grande Fratello, Eric Arthur Blair, alias George Orwell, può essere considerato uno degli scrittori meno compresi della letteratura mondiale del Novecento.
Da ex agente dell’imperialismo inglese a combattente volontario per la libertà durante la guerra civile spagnola, egli percorse un cammino umano e culturale di grande coerenza, connotato da una specchiata onestà intellettuale.
Purtroppo, la lettura parziale delle sue opere non è sufficiente a capirne la statura morale e politica, ma, anzi, contribuisce a darne un’immagine distorta, quella di autore dell’antiutopia.
Una lettura estesa ai saggi, però, c lo dipinge come un uomo che ama la superficie della terra, che crede nell’utopia e nella “fratellanza umana che non abbia bisogno di essere avvalorata da dimensioni ultraterrene” (1) e si ritiene in dovere di denunciare il sopruso e resistervi, poiché è convinto che l’amore per la vita, per la natura, per le cose belle, concorra a rendere “più probabile l’ipotesi di un futuro pacifico e decoroso”. (2)
Già dal saggio Un’impiccagione (3), nato dall’esperienza di agente imperiale in Birmania, si evince la sua partecipazione nei confronti di un’umanità umiliata e oppressa: dell’uomo condotto alla forca non è neanche necessario definire l’aspetto fisico né le passioni politiche né quant’altro possa fornire notizie sulla sua vita. Ciò che conta è la condizione umana: quella dell’oppresso, costretto a subire senza appello ciò che altri hanno deciso per lui, e quella dell’oppressore, burattino nelle mani di chi comanda, che eseguendo degli ordini usa violenza all’altro, ma anche a se stesso. Costituisce, infatti, un’emozione tragica e violenta (4) dover assistere alla soppressione di un uomo sano, cosciente: “Quando vidi il prigioniero evitare la pozzanghera compresi il mistero, l’indicibile ingiustizia di stroncare una vita in pineo rigoglio. Quell’uomo non era moribondo, era vivo esattamente come noi. Tutti gli organi del suo corpo funzionavano (…) e fra due minuti uno schianto, e uno di noi non sarebbe più esistito: un cervello di meno, un mondo di meno.” (5)
L’esperienza maturata durante la guerra civile spagnola (6) produce nello scrittore la consapevolezza che la rivoluzione rischia di evolversi in senso totalitario quando sia capeggiata da gente assetata di potere. Tutta la sua produzione successiva è pervasa dall’esigenza di denunciare il pericolo che un certo tipo di rivoluzione possa condurre semplicemente in un cambio di padroni. Egli non è quindi un uomo deluso dalla rivoluzione e passivamente rassegnato all’accettazione dello status quo, bensì un intellettuale che, a partire dal 1936, rivolge la sua produzione “direttamente o indirettamente, contro il totalitarismo e per il socialismo democratico”. (7)
Ne La fattoria degli animali, in un’epoca (siamo nel 1945) in cui era stata sospesa dalla sinistra qualsiasi tipo di critica antisovietica (8), poiché l’alleato Stalin aveva svolto e continuava a svolgere un ruolo prezioso nella lotta al nazifascismo, Orwell denuncia la degenerazione della rivoluzione, divenuta totalitarismo, i crimini contro la libertà di pensiero e le esecuzioni. La sua scrittura nasce sempre dal bisogno di opporsi ad un’ ingiustizia : “Quando mi accingo a scrivere un libro io non mi dico: voglio produrre un’opera d’arte. Lo scrivo perché c’è qualche bugia che voglio smascherare, qualche fatto su cui voglio attirare l’attenzione, e il mio primo pensiero è quello di farmi ascoltare.” (9)
1984 è appunto la denuncia di questo infame delitto contro la verità: allucinata visione della società totalitaria dominata dall figura di un “Grande Fratello” che cura l’educazione politica dei propri sudditi attraverso l’uso della “neolingua” (la pace è guerra, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza; il Ministero della Pace si occupa della guerra, il Ministero della Verità si occupa della falsificazione di essa) e il cui occhio spietato ne controlla il pensiero, il linguaggio, le azioni. E’ però necessario sottolineare che quella di Orwell non è semplicemente una critica da sinistra nei confronti della sinistra, bensì una critica verso qualsiasi di totalitarismo, in difesa della libertà di pensiero e di espressione di chiunque, anche dei fascisti. (13) perciò mette in guardia nei confronti della sospensione della libertà, pur contemplando un giusto equilibrio: “Il risultato della predicazione di dottrine totalitarie è un indebolimento di quell’istinto in virtù del quale un popolo libero distingue ciò che è pericoloso da ciò che non lo è” 814) ed “è importante capire che il controllo del pensiero esercitato dal totalitarismo non è solo negativo, ma anche positivo: non solo ti impedisce di esprimere – e persino di pensare – determinate idee, ma ti impone ciò che devi pensare, ti crea un’ideologia; oltre a stabilire un codice per la tua condotta, cerca di controllare la tua vita emotiva. E per quanto è possibile ti isola dal mondo esterno, chiudendoti in un universo artificiale privo di paragone. Lo Stato totalitario fa di tutto per controllare i pensieri e le emozioni dei propri sudditi in un modo persino più completo di come ne controlla le azioni.” (15)
La libertà è premessa indispensabile della vita intellettuale di un paese: “i filosofi, gli scrittori, gli artisti, persino gli scienziati, non hanno solo bisogno di incoraggiamento e di un pubblico: hanno anche bisogno di costante stimolo degli altri. E’ quasi impossibile pensare senza parlare. (…) se si elimina la libertà di aprola, le facoltà creative inaridiscono.” (16)
Pertanto Orwell si fa paladino della libera espressione dell’uomo all’interno dello Stato e dell’intellettuale in seno al proprio partito: “non si può davvero sacrificare la propria integrità intellettuale in nome di un credo politico” (17) e rivendica il diritto di dire, poiché “se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire.” (18)
Note:
1) Appunti occasionali In George Orwell, Romanzi e saggi a cura di Guido Bulla, “I Meridiani”, Mondadori, Verona 2005.
2) Riflessioni sul rospo in George Orwell.
3) Pubblicato sulla rivista Adelphi nel 1931, ora in George Orwell.
4) Un’emozione che traspare dall’ “espressione cupa” del volto del sovrintendente.
5) Ibidem.
6) Riferita nel romanzo Omaggio alla Catalogna.
7) Perché scrivo, in George Orwell.
8) La produzione antirussa proveniva solo dai conservatori, i quali contestavano il sistema socialista, non i metodi con cui Stalin governava.
9) Perché scrivo, in George Orwell
10) “Assignment in Utopia, di Eugene Lyons” in George Orwell.
11) La libertà di stampa, in George Orwell.
12) Come mi pare, in George Orwell.
13) La libertà di stampa, in George Orwell.
14) Ivi.
15) Letteratura e totalitarismo, in George Orwell.
16) Come mi pare, in George Orwell.
17) I confini fra arte e propaganda, in George Orwell.
18) La libertà di stampa, in George Orwell.
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