Franco Sciacca ed il divisionismo siciliano

2017-05-11 17.36.04

Arte

A cura di Alessio Mondello
“Da allievo di Rio Motta a capostipite del divisionismo siciliano”.

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Franco Sciacca (Catania – 4 Giugno 1942) è il massimo esponente di una pittura sicilianista rivoluzionata attraverso l’innesto di tecniche divisioniste. La carriera, lo studio e l’evoluzione pittorica del Maestro hanno, però, radici molto più profonde. Tutto comincia nel 1949, quando, il giorno del suo settimo genetliaco, il lungimirante maestro Rio Motta gli dona una tavolozza e dei colori, così da dargli la possibilità di cimentarsi nella pittura, realizzando quelli che lui definisce “ i primi pasticci”. È all’età di quattordici anni che Sciacca comincia a sperimentare pittura moderna, e fu proprio nello stesso anno che il padre decide di mandarlo a bottega dall’amico Rio Motta. Dopo poco tempo il giovane Sciacca produce il suo primo ciclo pittorico che ha come oggetto una fiaba popolare siciliana, “La morte cerca un ministro”, che, dopo essere stato esposto nella bottega di calzature del padre, viene profondamente apprezzato dal “sommo” Enzo Maganuco, ispettore del Castello Ursino di Catania e docente di Storia dell’Arte Medievale e Moderna presso l’Università degli Studi di Catania, che lo incita a sperimentare e immergersi ancora di più nell’arte. In quegli anni, mosso dallo sprone ricevuto, Sciacca sperimenta anche lo stile astratto, spaziale, metafisico e realizza un secondo ciclo pittorico che ha come oggetto la figura dell’ermafrodito che, spezzandosi in due, forma l’uomo e la donna. Del Motta, Sciacca, sarà allievo per oltre due anni, durante i quali non solo si ispirerà e catturerà i tratti salienti della pittura del suo maestro ma esplorerà anche la pittura di quello che fu il maestro del Motta: Domenico Abate Cristaldi (Catania 1891- Roma 1949). È da qui che comincia a dipingere “ sulla scia della macchia siciliana”. Secondo il Maestro, la genesi della pittura macchiaiola siciliana è da rintracciare nella storia pittorica campana del XVII secolo. Infatti, secondo Franco Sciacca, i veri vedutisti non furono né gli impressionisti francesi né i macchiaioli fiorentini ma i pittori napoletani, con accenno, in particolare, a Salvatore Rosa (Napoli 1615 – Roma 1673) e Marzio Masturzio (attivo a Napoli nel XVII sec.) e, poi, ai più esimi artisti appartenuti alla Scuola di Posillipo. È proprio quest’ultima, fondata da Anton Sminck Pitloo (Arnhem 1790 – Napoli 1837), che nel secondo ventennio del XIX secolo, contrastando i canoni accademici, statuisce la consuetudine della pittura all’aperto, en plein air per gli impressionisti francesi, che si pone in diretto contatto con la natura. Agli ideali di questa scuola, aderì anche uno dei più noti macchiaioli napoletani, Giacinto Gigante (Napoli 1807- Napoli 1876), di cui Sciacca ne analizza e approfondisce la tecnica pittorica. Col passare del tempo, lo spirito del Maestro viene catturato, essendo esso, sotto l’aspetto tecnico, più libero rispetto alla scuola siciliana, dall’impressionismo francese. Un lungo soggiorno a Aix-en-Provence gli consentirà di esaminare dal vivo la pittura di Paul Cèzanne (Aix-en-Provence 1839 – ivi 1906) che, anche se apprezzata, non soddisfarà la sua brama di conoscienza. Un intenso mutamento avverrà, qualche anno più tardi, a Roma. Sciacca, rimasto attonito dinanzi a “Alla stanga” di Giovanni Segantini (Arco 1858 – Schafberg 1899), esposta all’interno del Museo d’Arte Moderna, esprime, dialogando con la moglie, la volontà di gettare via tutti i pennelli e smettere di dipingere. Da qui ha inizio un decennale, minuzioso, analitico, studio del Segantini che avrà come unico risultato “una leggera scalfittura del genio del divisionismo italiano” e lo condurrà ad una sintesi univoca: applicare il divisionismo ai colori della Sicilia. Ha inizio, per Sciacca, un lungo periodo itinerante per la Sicilia, quella vera, dei campi, dei contadini, delle masserie e scopre che essa “non è altro che il frutto dell’unione di ocra, terrecotte e ombre viola” che devono coesistere, nella sua pittura, per mezzo della tecnica divisionista. Il radicale mutamento, tuttavia, ha luogo quando, nel percorso biografico-artistico del Maestro, si palesa il “grande” Domenico Agosta, a sua volta allievo di Alessandro Abate (Catania 1867 – ivi 1953), del quale, nonostante la carriera pittorica già ben avviata, segue le lezioni e ne acquisisce l’utilizzo dei colori, impara ad applicare le fughe cromatiche, le fughe geometriche, i neutri colorati siciliani.

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Sciacca eredita, da Domenico Agosta, l’armonia cromatica, equiparata, dallo stesso, all’armonia musicale, che oggi sta alle fondamenta di tutte le sue opere. Tanto è movimentata e radicata, ma altrettanto avvincente, la formazione-maturazione del Maestro, da sentire il bisogno di inculcare e trasmettere le nozioni acquisite ai posteri. È da qui che nasce, nel 1980, l’idea, subito concretizzata, di istituire la “Scuola di Pittura di Tremestieri Etneo”. Molti, negli ultimi trent’anni, sono stati gli allievi del maestro, ma pochi sono stati i discepoli ed, tra questi ultimi, è bene ricordare Francesco Raciti, Giuliano Salerno e Graziella Torrisi. “Per diventare artisti bisogna essere anche artigiani, non basta soltanto lo studio accademico, bisogna toccare, percepire, con mano propria l’arte. L’Assoluto, nell’arte, si può raggiungere solo tramite la fusione del sapere tecnico e la genialità: così si forma l’artista”, afferma Sciacca dopo aver analizzato l’evoluzione e la concezione attuale che l’uomo ha dell’arte. È a tal proposito che , con amarezza, Franco Sciacca, riflette sull’incapacità attuale dell’uomo di emozionarsi dinanzi ad un’opera d’arte, di apprezzarla, amarla ed invita tutti a tralasciare la frenesia che il mondo odierno ci impone per coltivare il proprio animo, ormai arido, che è costituito d’arte.

 

Foto 1: il maestro Sciacca nel suo studio

Foto 2: un ritratto del maestro, olio su tela, ad opera dell’artista Francesco Raciti