Recensioni
(Dall’introduzione al testo)
Luca è l’autore sia del vangelo sia degli Atti degli Apostoli.
È nato probabilmente ad Antiochia (l’attuale Antakya nella Turchia sudorientale) tra il 9 e il 10 d.C. e poi si è trasferito nella regione di Efeso e Filippi. Nelle chiese lo vediamo raffigurato con un toro alato, poiché il suo vangelo inizia con Zaccaria che sta offrendo nel tempio, come sacrificio a Dio, un toro.
Essendo un cristiano di seconda/terza generazione, Luca ha avuto la possibilità di conoscere alcuni discepoli dei primi apostoli e sentito parlare molto di Paolo.
Negli Atti mostra di avere scarsa dimestichezza con la teologia di Paolo e di non conoscerne le lettere. Tre volte Paolo nomina Luca come suo collaboratore: da queste citazioni veniamo a sapere che era medico e in buona relazione con lui.
Luca è un pagano, convertitosi al cristianesimo, una persona colta, di lingua e cultura greca.
Il suo modo di scrivere è raffinato: si percepisce che ha una solida cultura di base.
Quello di Luca è il vangelo più lungo, composto di 19404 parole greche e 1151 versetti. Dimostra una spiccata originalità, giacché riporta in esclusiva oltre 600 versetti: insomma, una buona metà del suo scritto non ha riscontro negli altri vangeli.
Se non avessimo il suo vangelo, non conosceremmo la parabola del buon samaritano, della pecora perduta, non sapremmo nulla del buon ladrone e di Zaccheo, ci sfuggirebbe il particolare che Gesù era seguito e mantenuto da un gruppo di donne, non sapremmo di quella adolescente di Nazareth, Maria, chiamata a diventare “la porta d’ingresso per Dio nel mondo” e soprattutto non avremmo la pagina più bella del vangelo, quella del Padre misericordioso che ci svela il vero volto di Dio.
Naturalmente, al pari degli altri, anche questo vangelo non porta nessuna firma.
Fin dalla metà del secondo secolo d.C., la testimonianza è unanime nell’attribuire questo scritto a Luca che, secondo l’opinione oggi più comune, scrisse il vangelo verso gli anni 70-90.
Scrive per i cristiani provenienti dal paganesimo, che in qualche modo possono immedesimarsi in quel Teofilo (che significa «amico di Dio») al quale dedica il suo vangelo. Luca apprezza quanto c’è di positivo nella tradizione greca e pensa che la storia di Gesù di Nazareth possa essere indicativa per ogni uomo, a qualsiasi cultura appartenga.
Luca vuole portare i lettori provenienti dal paganesimo all’incontro col volto insospettato di Dio che Gesù rivela.
Scrive perciò in modo che i pagani convertiti possano trovare in Gesù di Nazareth una risposta che s’inserisca nella loro cultura, senza pretendere che abbraccino quella giudaica. Ecco perché, quello di Luca, è il vangelo meno discriminante, dove è assente ogni durezza nei confronti dei pagani.
Storicit
Luca ci assomiglia: come noi, proviene e vive in un ambiente lontano dalla spiritualità.
Come noi, non ha mai visto Gesù in vita sua, ma è rimasto colpito dalla predicazione dei discepoli, in particolare di Paolo.
Come noi, ha percepito che Dio è tenerezza infinita.
Lui, che probabilmente sarà stato abituato a sentir parlare di Dio attraverso le immagini della religione greca, è rimasto affascinato dall’annuncio di Paolo che presentava il volto di un padre che si occupa dei propri figli e forse, spinto da lui, dopo alcuni anni di discepolato, accetta di scrivere un resoconto ordinato delle cose accadute nelle prime comunità.
Essendo di cultura greca, Luca scrive secondo lo stile degli scrittori greci, cioè facendo riferimenti alla storia profana e premettendo alla sua opera un’introduzione, un prologo.
Luca vuole semplicemente inserire la vicenda di Gesù nella storia universale, perché sa che Dio realizza il suo piano di salvezza nella storia.
Dedica molto tempo ad ascoltare i testimoni diretti, ha a cuore la storicità di quello che racconta, ci tiene a confermare la fede in cui è stato coinvolto: insomma vuole mostrare che non sono favole quelle in cui ha creduto.
Ha impiegato del tempo in questa ricerca e lo precisa sin dall’inizio, ci tiene a dare ragione della speranza che porta.
Parla di molti che hanno scritto prima di lui e dei quali si è servito.
Il Vangelo di Marco è certamente stato utilizzato da Luca, come fu impiegato pure da Matteo. Consulta i precedenti lavori scritti e orali e compie ricerche accurate per preparare un racconto ordinato ma non offre un resoconto freddo, perché vuole mettere la sua professionalità al servizio della missione.
Dopo duemila anni, forse guardiamo ancora con sufficienza le pretese di storicità dei Vangeli. Siamo convinti che la religione sia qualcosa di utile (male non fa) ma che in fondo tutto si risolva in una pia esortazione dove tutto si confonde: storia, favola, dottrina…
Luca ci invita a prendere sul serio la nostra fede, a dedicare del tempo alla nostra preparazione, a renderci conto che la fede va nutrita, alimentata, indagata.
Spesso le quattro nozioni imparate a catechismo (per dovere) sono l’unico approccio al cristianesimo che abbiamo conosciuto.
Amico lettore, Luca ti direbbe: vuoi veramente cercare la fede? Indaga.
Vuoi dare spessore al tuo pensiero? Studia.
Cerchi davvero Dio? Informati e fidati di chi l’ha visto perché la fede nasce dalla testimonianza di chi ha visto, creduto e vissuto quell’esperienza.
Struttura
Luca segue lo schema di Marco, presentando la vita pubblica di Gesù come un lungo viaggio dalla Galilea verso Gerusalemme, anche se apporta sostanziose aggiunte. Il vangelo ruota tutto intorno alla città santa, Gerusalemme. Luca la cita ben novanta volte nelle sue due opere, su un totale neotestamentario di centotrentanove.
Schematicamente, il suo vangelo potremmo riassumerlo così:
– Il prologo e i racconti dell’infanzia di Gesù: Lc 1,1-2,52.
– La preparazione e l’inizio della vita pubblica di Gesù: Lc 3,1-4,13.
– Gesù annuncia il regno di Dio in Galilea: Lc 4,14-9,50.
– Il grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme: Lc 9,51-19,28.
– Il ministero di Gesù in Gerusalemme: Lc 19,29-21,38.
– Il compimento dell’opera di Gesù a Gerusalemme: Lc 22,1-24,53.
Come si può vedere, il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, occupa quasi undici capitoli di questo vangelo. E’ evidente che a Luca non interessa descrivere l’itinerario geografico di Gesù né la successione cronologica degli eventi. Il viaggio diventa metafora per la vita della Chiesa.
Scriba mansuetudinis Christi Dante, nella sua opera latina Monarchia, ha definito Luca: «Scriba mansuetudinis Christi», «scrittore della mansuetudine, della misericordia, dell’amore di Cristo», meraviglioso narratore della tenerezza di Cristo.
E’ il vangelo dei lontani, dei dubbiosi, degli smarriti. E’ il vangelo della relazione con Dio.
In Luca, il peccato diventa l’occasione per la gioia di Dio, le tre parabole del capitolo quindici raccontano proprio questo. Solo abbracciando il figlio disgraziato, perduto e ritrovato, il padre si commuove e fa festa, e non per quello che sta in casa da schiavo.
Solo ritrovando l’unica pecora perduta, il pastore si rallegra, e non per le novantanove che stanno buone chiuse nel recinto.
La donna fa festa solo per la moneta perduta, e non per quelle che sono nel suo salvadanaio. Il peccato è l’unico luogo, dove poter fare esperienza di Dio che è solo misericordia.
L’unico luogo dove incontrare Dio è dove siamo in questo momento: il nostro peccato, la nostra miseria. Sono le nostre fragilità, i luoghi, dove Dio ci fa visita.
Amico lettore,
il significato del Vangelo di Luca che ti appresti a leggere è splendido: così come sei, con la tua storia ingarbugliata, con le tue fragilità, i tuoi sbagli, Dio è già in cerca di te.
Se hai bisogno di riscoprire il volto tenero di Dio che ti viene a cercare, leggi Luca, guarda agli eventi che scrupolosamente ti racconta, con lo sguardo dell’innamorato, scoprirai che in ogni pagina c’è una “bella notizia” e gioirai dell’essere portato sulle spalle di un pastore “bello”.
Social Profiles