RECENSIONI
A CURA DI MARIA CRISTINA TORRISI
D’Europa e di Sicilia: Annali di Aci-Reale 1734-1900 Studio sul pensiero politico (Algra Editore) è la neo fatica letteraria di Giuseppe Grasso Leanza, pubblicista e saggista, studioso di temi concernenti la formazione del pensiero politico in età moderna e contemporanea nonché il processo di integrazione europea. L’autore ha all’attivo diversi interessanti saggi, ai quali si aggiunge oggi questo corposo e prezioso volume, testimonianza del suo pensiero colto e raffinato, dedito alla ricerca storiografica di temi specifici.
E’ un privilegio avere tra le mani il suo nuovo lavoro. Una testimonianza che sempre riconduce alla memoria dell’ identità storica acese. Pagine che meritano di essere studiate e tramandate per conoscere il trascorso di una Città che, nella propria microstoria, partecipò ad un cambiamento epocale (la macro).
Più di quattrocento pagine con note, postille, riferimenti e fonti storiche, nomi di illustri personaggi che hanno vissuto nella città di Aci – Reale, offrendo anche il loro fattivo contributo, sono infatti il risultato di un encomiabile lavoro di studio. Desiderando volermi addentrare nel contesto del libro, ho realizzato una intervista con Giuseppe Grasso Leanza.
L’INTERVISTA
1 Un libro complesso che tratta del processo di formazione del pensiero politico in Aci Reale dalla dinastia dei Borbone sino alla vigilia dell’ età giolittiana (e anche oltre). Cosa ha comportato questo studio? Perché trattare di questo argomento e quanta difficoltà nelle ricerche storiche?
La «piccola storia» di Aci-Reale presenta diversi aspetti di interesse per ogni studioso che voglia ampliare lo spettro di conoscenza della «grande storia». Questo libro ha inteso raccontare – con ordine sistematico e manualistico – avvenimenti, personaggi e idee che hanno attraversato Aci-Reale nel Sette-Ottocento cogliendone la relazione di continuità con le grandi correnti storiche e culturali del tempo.
Sotto questo profilo, la ricerca è stata feconda: illuminismo e romanticismo, liberalesimo e cattolicità, complessità, laicità e laicismo vi hanno trovato rappresentazione attraverso l’azione e il pensiero politico di tanti acesi, dal domenicano Mariano Leonardi al barone Michele Calì Sardo, da Giovanni Maria Pasini a Giuseppe Seminara Scullica, a tanti altri.
Di alcuni d’essi la storiografia municipalistica ha ignorato il ricordo e il racconto, e lo ha fatto per varie ragioni: per partigianeria, per errore di metodo, per disinteresse… Questo è stato il punto di maggiore difficoltà, quello cioè di scoprire personalità acesi di rilievo, illustrandone il merito nonostante il silenzio, il «mortifero lenzuolo del silenzio» da cui sono stati coperti (damnatio memoriae).
2 Dal Regno meridionale al Regno d’Italia. Quanto il cambiamento storico influenzò la nostra Città?
Il Settecento è stato il secolo in cui anche la «cattolicissima Aci-Reale» matura il senso della «modernità», che a quel tempo significava fra altro abbandonare l’uso del latino come lingua colta in favore della «lingua italica», leggere e apprendere la Commedia di Dante (nonostante all’Indice dei libri proibiti), conoscere la letteratura e gli scrittori francesi (detti «scomunicati»).
L’abate-educatore Giuseppe Ragonisi, il medico-filosofo Mariano Valastro, il kantiano sac. Raffaello d’Urso… sono personalità ascrivibili alla c.d. «scuola degli illuminati», dalla cui iniziativa prendono corpo istituzioni «moderne» come l’«Accademia Dafnica» (o «dei Geniali», 1778) che – a differenza dell’«Accademia Zelantea» – volle essere promotrice di una sensibilità e di una cultura aperte all’«umana benevolenza dei costumi», disponibili cioé a rivolgere uno sguardo benevolo all’uomo anche con le imperfezioni proprie dell’umanità, dell’«uomo in quanto uomo».
L’Ottocento è invece, anche per Aci-Reale, il «secolo dei contrasti». Lo è stato in regime borbonico – fra sicilianisti e risorgimentali – e lo è pure dopo l’Unità d’Italia fra «cattolici intransigenti» e «liberali radicali» che si confrontano con durezza, con «violenza ideologica e distanza valoriale». Il Regno d’Italia acuisce lo scontro fra liberali e cattolici specie perché il Regno vuole Roma-Capitale da sottrarre al potere temporale dei papi. Quando i bersaglieri entrano a Roma dalla Breccia di Porta Pia, Aci-Reale – la «cattolicissima Acireale» – risponde con «grande letizia» e campane suonate a festa, rappresentandosi come città moderna, laica, anticlericale, indifferente alle «ragioni» dei cattolici.
3 Acireale è una Città ricca di storia. Cosa la lega ai luoghi limitrofi?
Non si può scrivere di Acireale senza accostarsi alla storia della vicina Aci Catena. Le relazioni fra i due «casali» sono continue intense profonde, i suoi personaggi vivono la realtà acese e ne condividono e condizionano la cultura. Da Leandro Rossi di Xirumi ai suoi figli, Francesco ed Emanuele, da Salvatore Quttrocchi a don Salvatore Barbagallo che «rianimò la filosofia quando la filosofia nelle nostre contrade era in abbandono», a tanti altri, i loro incontri in Accademia Zelantea, in Accademia Dafnica o all’Accademia degli Studi sono frequenti, consuetudinari, sono forme di una relazione di continuità che si protarrà fra le due Aci fino al primo Novecento.
Lo stesso dicasi della Diocesi di Catania. Essenziale e intenso, come doveva essere, fu il rapporto fra Aci-Reale e questa diocesi, per lo meno fino al 1872 quando ad Aci-Reale s’insediò il primo vescovo, Gerlando Maria Genuardi. Fino a questa data — nell’arco di tempo, quindi, che va dall’episcopato di Pietro Galletti a parte di quello di Giuseppe Benedetto Dusmet — la vicenda acese è strettamente legata al ruolo svoltovi dalla diocesi di Catania nel governo ecclesiastico e nella formazione del clero, attraverso le direttive pastorali, politico-ecclesiali e culturali.
4 La “trasformazione storica” come influenza i cittadini del tempo? Tu tratti anche di religione civile ad Aci Reale.
Componente essenziale dell’identità isolana fu la religione cattolica di cui Aci-Reale fece professione manifesta per facta concludentia, convincente a tal punto da meritare sulle altre cittadine il superlativo e venne nominata «cattolicissima» sulle altre.
La città era sovrabbondante di consuetudine liturgica, ritmi religiosi, simboli sacri; la sua stessa «cittadinanza» ne fu permeata. Analogamente espresse un civismo laico di così alto profilo – per l’appunto, la fidelitas regibus (borbonica) – da farne una ragion d’essere essenziale. La sua fu nel Sette-Ottocento una sorta di «religione civile» nel solco del regalismo sacro che presiedeva in Sicilia ai rapporti Monarchia-Religione per cui «i simboli religiosi, anche nei casi di accanito anticlericalismo, non venivano ripudiati, perché legati alla mediazione dei santi e alle cerimonialità collettive che producevano identità e appartenenza non solo religiosa, ma anche civile; e il paradosso di una religione […] senza Chiesa si faceva sempre più evidente» (F.M. Stabile).
5 Vi sono delle famiglie che contribuirono al processo di modernizzazione della cultura locale. Come e perché?
Questo libro cura anche la rappresentazione di continuità familiari-parentali («parabole di affinità elettive»). Specie nel Sette-Ottocento, infatti, le vicende cittadine sono legate alle vicende e ai destini di alcune famiglie, ai matrimoni e ai patrimoni, alle relazioni fra le stesse intessute, ciascuna d’esse un «piccolo stato a sé» dalle cui grandezze e fortune (o sfortune) è misurata pure la metamorfosi cittadina e l’evoluzione del processo delle idee le quali, come noto, camminano sulle gambe delle persone e, certamente nell’Ottocento, di intere famiglie. A tal fine si segnalano, in particolare e senza pretesa di esaustività, alcuni «circuiti familiari-intellettuali» (diversi dai «soliti noti») i quali hanno tessuto la trama cittadina: Calanna; Calì, detta Tono; Grassi-Calanna; Geremia; Leonardi; Musmeci; Mauro, Rossi, Seminara, Tropea…
6 Vi sono dei “luoghi strategici” per una crescita culturale e spirituale come la Zelantea e l’ Oratorio dei padri filippini. Quale connessioni con queste realtà?
La Zelantea (1671) e l’Oratorio filippino (1756) sono due delle istituzioni locali fra le più importanti. La prima – in origine «sacra ed ecclesiastica» – andò progressivamente attenuando il proprio statuto rigidamente confessionale; subì la concorrenza e l’influsso dell’apertura intellettuale dell’Oratotio filippino, prima, dell’Accademia Dafnica poi. Si trasformò per sopravvivere, divenendo istituzione aperta alla tendenza «mondana» della cultura, acquisendo infine tratti di anticlericalismo.
L’Oratorio filippino, opera del padre Mariano Patanè, fu la prima scuola pubblica superiore della città. L’Oratorio iniziò a dissodare il terreno culturale cittadino: un laboratorio di nuova scienza. La «laicità» come metodo significò «dirozzare, istruire, formare» utilizzando la «lingua italica» e insegnando Dante; dare alle lingue morte il senso della storia, piuttosto che un’attualità non più significante; contaminare la teologia con la filosofia, la fede con la ragione; proporre le scienze pratiche (matematica, fisica, geometria, economia) come l’altro volto delle speculative. In questo quadro, riconosciamo alcune significative figure cittadine, ancorché all’Indice dei tanti omissis memorialistici: il dantista Salvatore Rossi Barbagallo; il neotomista domenicano Antonino (o Antonio) Pennisi; il pedagogo laico, sacerdote Mariano Leonardi Caltabiano, che legava educazione popolare e forza morale dello Stato; il di lui fratello Leonardo Leonardi Caltabiano (*Acireale, 1804), che «disaminò le idee de’ grandi economisti sulla ricchezza e la povertà»… Quando sorgerà (1884), il Regio Liceo «Gulli e Pennisi» troverà, in tema di laicità, un campo già arato e fertile.
7 Vi sono personaggi che rimangono immortalati tra le pagine di storia, come Lionardo Vigo Calanna. Mi piacerebbe che raccontassi un aneddoto di vita o qualcosa sulla sua figura.
Lionardo Vigo Calanna fu personaggio di prima grandezza in città. Tuttavia, la sua biografia fin qui tramandata andrebbe ripensata alla luce di più attuali criteri storiografici. Gli si attribuiscono onori e meriti che ne sopravanzano il reale spessore. Considerato come una sorta di Pater Patriae, egli invece ebbe a maturare una formazione confinata nei limiti del sicilianismo (normannismo) che la storia travolse e al quale il Nostro invece restò legato per tutta la vita. Il suo poema Il Ruggero e la Raccolta amplissima dei canti popolari siciliani sono al riguardo esemplari. E’ vero che – subentrati i Savoia ai Borbone – egli si adeguò al nuovo corso, ma è anche vero che questa conversione ha il sapore di un’accettazione dei fatti compiuti e subiti piuttosto che quello della consapevolezza d’un fatto storico.
Egli rimase estraneo e ostile al movimento risorgimentale e agli ideali nazionali che percorrevano il Continente intero. Il sicilianismo costituì il limite del suo panorama ideale e politico.
Fra i suoi meriti, quello d’essere stato un puntuale storiografo d’Aci-Reale; le sue Notizie storiche e la corposa Relazione accademica del 1841 forniscono un rilevante contributo alla storia patria. E’ personaggio senz’altro interessante, eclettico nella cultura, «poligrafo sovrabbondante», passionale nella politica e nelle manifestazioni d’ira, personalità complessa e controversa che lo rende, oltre il punto storico-critico, singolare e rilevante nella storia di Aci-Reale per combattività, tenacia, indomitezza (anche negli errori), per l’orgoglio che espresse, forse pure per la stessa capacità d’adattarsi ai nuovi tempi savoiardi, così lontani dai suoi ideali, tanto adattabile da meritare perfino da casa Savoia il riconoscimento della «croce di cavaliere della Corona d’Italia».
8 Infine, Aci Reale fu una Città conservatrice o aperta dinnanzi ai cambiamenti storici?
La nostra città ha vissuto il tempo in discorso – il Settecento e l’Ottocento – con tutte le ambiguità e le contraddizioni di ogni tempo. L’intento del mio libro è stato, fra l’altro, quello di liberarne la narrazione da alcuni stereotipi, «luoghi comuni» che l’accompagnano e che si ripetono con pigra consuetudine: la «cattolicissima» Acireale, il «quietismo» cittadino, l’«inerzia», il provincialismo «apatico e sonnacchioso», l’«oscurantismo» clericale…
La città fu «cattolicissima», fu anche ordinariamente «cattolica», espresse un’autentica religiosità, intercettò i segnali dell’incipiente modernità; sperimenterà sentieri impervi, incrociandovi il protestantesimo della «religione civile», il «liberalismo eterodosso», il «giansenismo» radicale; comprese l’irreversibilità della secolarizzazione… e via dicendo.
Due tratti la contraddistinguono: la supremazia laico-liberale; il primato aristocratico-borghese.
Con la prima, s’intende che la componente cattolica è minoranza in città. I rappresentanti acesi eletti al Parlamento sono tutti «liberali» e tali sono pure – salvo una breve parentesi – i rappresentanti al Municipio. La dinamica di relazioni con i liberali è caratterizzata da «violenza idologica e distanza valoriale».
Con la seconda, nella congiunzione aristocratico-borghese, si intende che non esiste una classe borghese in quanto tale, cioè distinta dal ceto aristocratico. Furono tante le famiglie borghesi in città – «benestanti, ricche… anzi ricchissime» – ma la borghesia come tale, è «invisibile» perché tale sceglie d’essere uniformandosi per forma mentis e modus vivendi all’aristocrazia.
Conservatrice o aperta? Dipende dai punti di vista. Ciò che si può affermare è che la città fu senz’altro «moderna», visse cioè agganciata, nelle due diverse espressioni (liberale, cattolica, democratica), alle grandi correnti del pensiero continentale ed europeo che conobbe e interpretò, lasciandone visibili tracce attraverso il vissuto dei suoi protagonisti e l’humus civico. Di tali tracce e di tale humus, questo libro ha voluto fornire una prima, approssimativa testimonianza, nella consapevolezza che la ricostruzione storiografica di Acireale ha ancora tanto da scoprire e raccontare.
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