Racconti del corso di scrittura
UN’INSOLITA COMPAGNA DI VITA
di Maria Rita Cristaldi
Docente: Maria Cristina Torrisi
Prologo
Valledolmo Ottobre 1985
Sono passata e non c’era nessuno. Silenzio…silenzio, solo e soltanto silenzio.
In mezzo a quel silenzio, la mia mente vagava. Ricercava ricordi.
Immagini sfocate ritornavano nitide davanti ai miei occhi.
In quell’immensità fatta di nulla, il mio spirito inquieto vagava. Quante domande senza risposta, quanti perché, quanti se, quanti ma…
Nel turbinio di pensieri perdevo aderenza con la realtà del momento. Piano piano il nulla mi avvolgeva e sconfinavo nelle nebbie del tempo.
Quanto tempo era passato? Un giorno, un mese, un anno, dieci anni?
Con gli occhi sbarrati guardavo incredula quelle imposte chiuse, quel grazioso casolare che lo scorrere impetuoso del tempo aveva imbruttito e rovinato.
Leggero il vento spirava fra i rami di quegli alberi che, in un tempo remoto, o forse no, erano stati testimoni dei lunghi silenzi, delle mie lacrime tristi e fredde, lacrime nascoste che sgorgavano dal profondo del cuore ed erano taglienti più del vetro. Lacrime che mi solcavano le mie guance come un fiume in piena e che lasciavano in bocca il gusto amaro del sale. Quei vecchi alberi, ai miei occhi, tristi e sonnolenti, conoscevano il mio profondo dolore e sapevano che gioie durante quegli anni mai mi erano appartenute .
Quante volte in quelle interminabili giornate mi chiedevo “perché”. Quante volte mi guardavo allo specchio e, dicevo senza troppa convinzione a me stessa: “Sei eccezionale”. E poi, sapendo di mentire, scoppiavo in un pianto desolato.
A volte mi ritrovavo ad osservare di nascosto il volto di mia madre e sul suo viso, precocemente invecchiato, scorgevo sempre un’ombra, ombra che scompariva o almeno cercava di nascondere appena si accorgeva della mia presenza.
Nel silenzio di quel mondo ormai irraggiungibile, impalpabile, etereo, distante, il mio sguardo continuava vagare… verso quell’ edificio a me familiare: penetrava all’interno delle stanze chiuse, osservava con avidità tutto l’arredamento di quella casa ormai abbandonata a se stessa. Il mio essere inquieto mi tormentava, chiedendomi con prepotenza di avvicinarmi e di entrare.
Quante volte con la mia fantasia sono ritornata in questo posto!
Quante volte ho pensato di varcare la soglia di nascosto ed entrare in quel luogo che è stato testimone della mia infanzia, della mia crescita, dei miei dubbi, delle mie incertezze.
E lei, lei dov’è andata a finire? Ho pensato tante volte di cercarla. Ma un po’ perché il tempo vola in fretta, un po’ perché ne è trascorso tanto e ti chiedi se ancora si ricorderà di te, non l’ho mai fatto. Eppure i ricordi continuano a fare un girotondo così reale che, improvvisamente, la mia mente si perde nel nulla del tempo, si inabissa fra le onde del passato e scivolo nell’oblio….
Valledolmo Febbraio 1963
Cap. 1
<<Basta basta, lasciala stare>>. Le lacrime erano trattenute a stento, mentre la voce stanca vibrava di dolore e rabbia a mala pena contenute. Nascosta dietro l’ombra del suo vestito frusciante, Luce piangeva.
<<Tu sei la sua rovina, non posso riporre in lei alcuna delle mie speranze>>.
<<Non dire queste cose davanti a nostra figlia, queste tue crudeltà fanno male sia a lei che a me>>.
<<Fanno male? E perché devono fare male se sono realtà? >>, ribatteva imperterrito e cocciuto Steno.
<< Sei diventato cattivo e insensibile verso di lei>>, disse Giulì.
<<Cattivo e insensibile io! Ma senti questa. Io sono solo realista, vedo le cose per quello che sono. Non credo di essere un povero idiota, io!>>.
<<Smettila, sta’ zitto, non ne posso più>>. Piangendo, Giulì corse in camera e si chiuse a chiave.
Queste liti erano parte della vita di tutti i giorni, ed era in mezzo alla tristezza, alla solitudine e all’ansia che scorreva la vita di Luce. La ragazza guardava i genitori con i suoi occhi attoniti, avidi di risposte che non arrivavano.
“Cosa c’era che non andava tra i due? Perché quelle furiose litigate si ripetevano sempre più spesso?”, rifletteva tra se e se Luce.
Malgrado tutto, però la ragazza amava il padre, e soffriva del suo comportamento. Gli somigliava molto. Quell’uomo ancora giovane e bello, fine nei tratti del viso e forte nel fisico, era il suo grande eroe.
La mamma… Luce la adorava. Osservava i ritratti di Giulì e la paragonava ad una principessa. Ma la ragazza si accorgeva che la madre era invecchiata anzitempo: era una principessa che non aveva più cura di se stessa, trasandata e stanca. Luce non sapeva che al posto del cuore ella aveva un macigno che pesava più di un’intera montagna.
Nei momenti di profonda malinconia, Giulì si trovava a riflettere su tutto quello che le era capitato e non sapeva con chi prendersela. Osservava, seminascosta dai pesanti tendaggi che ornavano le alte finestre, quasi volesse celarsi al mondo, quelle piante secolari che, con un ritmo uguale e lento si muovevano contro l’immobile cielo che, tranquillo e indifferente, sembrava spiare i suoi movimenti.
“Eppure siamo stati così felici insieme..” si ripeteva Giulì. “I primi tempi del matrimonio, tutti i giorni erano una festa e bastava un niente per ridere insieme. Liberi e felici sotto quell’azzurro cielo che ci sovrastava, correvamo in quegli spazi sconfinati, nei tramonti di luce, confondendoci nei silenzi pieni di dolcezza…E l’arrivo di Luce? La felicità all’apice nei nostri cuori. E allora perché? Perché Steno non riusciva a capire? Lui così sensibile e dolce, così tenero verso la figlia, ora pronunciava parole così dure e cattive?”.
Sì, Giulì sapeva che il marito aveva riposto in Luce tanti sogni, tante ambizioni. Appena era nata il primo pensiero di Steno era stato: “Non ha importanza se sei una bambina. Anzi! Sarai la prima donna della nostra famiglia che farà qualcosa di diverso dal consueto!”.
Cap 2
Luce sedeva in silenzio nell’angolo buio del grande salotto. Dalla finestra filtrava un fievole bagliore che colpiva lo scialle lasciato da Giulì sul divano. Sembrava che la lama di un coltello lo stesse attraversando. La ragazza immobile, sembrava quasi volesse fondersi con quel buio e scivolare, così inosservata, verso qualcosa che neanche lei conosceva.
Silenzio. Finalmente i genitori di Luce avevano smesso di litigare. Tutto sembrava tornato alla consueta normalità, ma non i pensieri della giovane.
Luce chiudeva i suoi occhi e la sua mente si innalzava al di là della realtà amara. Restava sospesa oltre quelle strette mura del casolare, sconfinava libera nell’immensità del cielo e si ritrovava attraverso il sogno nei prati verdi di una vita felice. Ali leggere di farfalla si libravano in volo in una danza di liberazione e di vittoria. Vittoria? Su cosa? Su chi?
In questo rinchiudersi in se stessa Luce si ritrovò unicamente con la sua solitudine, l’amica che regnava sovrana nelle sue lunghe giornate. Ricercava qualcosa, qualcuno con cui poter condividere sogni e avventure.
Silenziosamente, sgusciò fuori dal suo angolo buio e si diresse verso il parco.
Valledolmo era una piccola contrada. Sorgeva ai piedi delle Madonie sud-occidentali, sulle pendici di pizzo Sampieri. Doveva il suo nome proprio ai boschi di alberi di olmo che si trovavano disseminati su tutto il territorio. Luce era affascinata da questi grandi alberi alti e maestosi, imponenti ma eleganti che si ergevano nel parco vicino al casolare. Le infondevano un senso di grandiosità e di sicurezza e, a volte, si trovava a desiderare di essere proprio come un olmo: forte, sicura, imponente.
Cadeva una pioggia argentea, fitta e leggera, lucide lacrime che si posavano lievi sulla terra opaca. In quel grigiore Luce camminava quasi correndo… non sentiva la pioggia che scendeva silenziosa…né i vestiti che le si incollavano addosso. Persa nei suoi pensieri perdeva aderenza con la realtà.
Qualcuno la stava scuotendo. Aprì gli occhi appannati.
<<Chi sei? Da dove arrivi?>>
<< Sei Luce?>>.
<< Come mai conosci il mio nome?>>.
<<Al villaggio tutti ti conoscono>>.
<< E perché?>>, chiese Luce incuriosita.
<< Tu sei la figlia del signor Steno e della signora Giulì>>.
<<Ah! E cosa vuol dire ciò?>>.
<< Sei proprio fortunata tu>>, rispose Ilse.
Lo sguardo di Luce si velò di tristezza.
Cap 3
Trafelata, bagnata e fradicia, Luce fece ritorno al casolare. Una luce quasi spettrale lo avvolgeva. Le ombre degli alti olmi si allungano simili a figure sospese nell’oscurità e si muovevano furtive con il cadere della pioggia. Sembravano danzassero una funerea danza, davano l’impressione di un triste presagio.
Le porte erano spalancate, le luci accese, e un gran disordine era tutto intorno.
Cosa era successo? Perché al piano terra non c’era nessuno? Cosa erano quelle parole pronunciate ad alta voce? E da chi?
<<Non posso fare più nulla>>, continuava a ripetere una voce. << Ormai è tutto finito, è tardi>>.
<<Ma perché è tardi, cosa le è successo? Fino a poco fa stava benissimo, abbiamo solo avuto una piccola discussione>>.
<<Bè non è stato solo il problema della piccola discussione avuta dinanzi ma la vita impossibile che tu le hai fatto vivere negli ultimi dieci anni>>, ribattè il dottore.
<<Io ho sempre cercato di farle capire le mie ragioni, ma lei non ha mai voluto sentire>>, concluse con rabbia e amarezza Steno.
Appena scorse Luce sulla soglia, rimase impietrito. Non sapeva cosa dire a sua figlia e non aveva neanche voglia di parlarle. In cuor suo pensava che la colpa era tutta di Luce.
Senza neanche guardarla in viso girò su se stesso e uscì lasciando la ragazza sola.
Il dottore, impietosito e rattristato da quel comportamento, passò un braccio attorno alle spalle della ragazza e le disse: <<Cara non prestare attenzione alle parole di tuo padre; è molto amareggiato e non sa cosa dice>>.
<<Ma cosa è successo alla mamma, perché non è qui?>>.
<<La mamma è di là, sul suo letto, si sente poco bene>>.
<<Voglio vederla. Lei è la sola a volermi bene ed io devo andare da lei>>.
<<Dopo, dopo la vedrai. Intanto scendi giù e togliti questi abiti bagnati>>, le ordinò il medico. Lentamente, a capo chino, la ragazza cominciò a scendere le scale. Dall’armadio-cabina prese gli abiti asciutti e si recò in camera sua a cambiarsi.
Fuori la notte era scesa. Le sue fredde e gelide mani avvolgevano il bosco e il casolare. La pioggia continuava a scendere ancora più fitta…l’impalpabile nebbia avvolgeva tristemente il paesaggio. Sembrava che anche il cielo non potesse contenere in sé tutta la tristezza del mondo.
La ragazza stava per risalire dalla mamma ma sulle scale si imbatté in Steno.
<<Ancora tra i piedi tu? Vattene che è tutta colpa tua se la mamma è morta. È da quando sei arrivata tu che la nostra vita è diventata un inferno, hai portato solo dolore>>.
La ragazza rimase pietrificata.
“ Morta, la mamma morta? Non può essere vero…mente…è proprio cattivo se …”
Il buio si impadronì di lei.
Un vortice l’avvolse e lei scivolò nel nulla, nell’infinito del niente senza neanche accorgersene.
Cap 4
Al risveglio, Luce non sapeva quanto tempo fosse trascorso. Ma appena sveglia del tutto prese coscienza di ciò che era successo. La sua dolce mamma, la principessa del suo cuore non c’era più, se n’era andata lasciandola sola nel dolore e nella disperazione.
Rimase a letto molto tempo. Il dottore veniva ogni giorno a visitarla ma del padre neanche l’ombra.
In quella sorta di delirio, il tempo passava inesorabile. Ma un giorno…
<<Cosa vuoi? Lasciami in pace. Vuoi vedere morto anche me?>>.
<<Ti devo parlare. Devo farti delle domande e desidero delle risposte>>.
<<Certo che non puoi costringermi se non voglio>>, continuò con voce aspra e tono duro Steno.
<<Io non costringo nessuno, ne ho diritto. Tu hai il dovere di rispondermi visto che sei mio padre, che ti piaccia o no>>, concluse Luce con un tono che non ammetteva repliche.
Steno girò sui tacchi e sparì senza proferire parola alcuna lasciando Luce sola e amareggiata.
Ilse aveva saputo la brutta notizia, ma da allora non aveva trovato il coraggio di andare a trovare la ragazza. Si era più volte ripetuta che Luce non si ricordava più neanche di lei, d’altronde erano state insieme solo poche ore quel pomeriggio piovoso e freddo. Poche ore ma che per Ilse erano state importanti. “Si era trovata proprio bene con lei. Non era una ragazza superficiale e antipatica come tutte le signorine della buona società”, rifletteva tra sé e sé.
<<Chi è?>>, chiese una voce triste
<<Sono Ilse e sono venuta a trovare la signorina>>.
La porta si spalancò di colpo e comparve Luce: era smagrita, pallida, sfiorita, e negli occhi vi era una malinconia infinita.
Nessuna parola venne pronunciata. Istintivamente le due ragazze si abbracciarono.
Rimasero in silenzio per un tempo che sembrò loro interminabile.
Ilse guardava con curiosità tutto ciò che la circondava: i mobili scuri, antichi e di pregiata fattura; i tappeti morbidi dai colori tenui che attutivano e smorzavano il rumore dei passi; i tavolini bassi ricoperti di ninnoli; i candelabri d’argento tirati a lucido ma che non emanavano nessuna luce.
Tutto lasciava intravedere il lusso di quel casolare ma anche il totale abbandono e la trascuratezza che vi regnava. Non vi era una mano amorevole che curasse quel piccolo nido abbandonato!
Luce e Ilse si guardarono negli occhi in silenzio. Non servivano parole per comprendersi: quei muti sguardi erano saturi di parole taciute.
<<Ho saputo sai? Sono giorni che penso di venire ma mi sono sempre tirata indietro perché avevo paura che neanche mi avresti riconosciuta>>.
<<Hai pensato male. È dal giorno in cui ci siamo conosciute che ti ho eletta come migliore amica, e così deve essere. Adesso sono più sola che mai ed ho ancora di più bisogno della tua amicizia>>.
<<E così sarà>>.
Ebbe inizio per Luce una vita diversa. La sua nuova amica veniva spesso a trovarla e insieme facevano interminabili passeggiate. Ammiravano i dolci tramonti primaverili, ascoltavano la canzone del fiume che placidamente scorreva. A volte le due ragazze si recavano a portare i fiori sulla tomba della signora Giulì. Puntualmente Luce cominciava a piangere e a dire di non voler più tornare a casa: chiedeva alla mamma con voce rotta perché le aveva fatto questo, perché l’aveva lasciata sola con il padre che la odiava. Il dolce sorriso della mamma e quello sguardo lontano le dicevano di non disperare e di tornare a casa dal papà, che in fondo in fondo le voleva bene. Anche Ilse le diceva di non disperare perché nella vita le cose prima o poi le cose vanno a posto.
Luce la guardava triste e le diceva: <<Ilse tu non sai>>.
Lentamente la primavera scivolò nella calda estate. I dolci tramonti divennero infuocati e le ragazze ricercavano la placida ombra dei grandi alberi di olmo.
Un pomeriggio ancora più caldo degli altri, Ilse chiese a Luce:
<<Dove andrai quest’anno a scuola?>>.
<<Non voglio pensarci per il momento, poi si vedrà!>>, fu la secca risposta.
Ilse non disse neanche una parola; non si aspettava una risposta così sgarbata da parte di quella che ormai riteneva la sua migliore amica. In cuor suo aveva sperato che potessero andare nella stessa scuola, ma vista la reazione di Luce non rispose.
<<Su Ilse non te la prendere. Non volevo essere sgarbata. Io ti voglio bene e lo sai. Un giorno ti spiegherò perché non voglio sentirne parlare. Scusami!>>.
<<Scuse accettate>>.
Cap 5
<<Andrai in collegio e basta!>> .
<<No, no e poi no!>>, continuava a ripetere Luce, <<la mia vita è qui nel casolare dove sono sempre vissuta>>.
<<Non capisci che io qui non ti ci voglio?>>. La voce di Steno era carica di risentimento, un risentimento così forte che rasentava quasi l’odio.
<<Papà>>. Luce pronunciò il suo nome con un tono implorante. <<Mi dici che cosa ti ho fatto, perché mi odi così tanto? Credimi non riesco proprio a capirlo>>.
<<Non c’è nulla da dire né da capire. È così e così sarà sempre>>.
<<Voglio chiederti solo una cosa: posso portare con me in collegio anche Ilse?>>.
<<Ilse? Chi è Ilse?>>.
<<Ilse è la figlia di una coppia di contadini che abitano al villaggio ed è la mia migliore amica>>, spiegò al padre.
<<Per me puoi fare quello che vuoi. L’importante è che ti togli davanti ai miei occhi>>.
<<Sì, ma Ilse è molto povera non può permettersi di pagare il collegio>>.
<<Questo non è un problema, portati chi vuoi, a pagare ci penso io!>>.
<<Grazie papà”, disse con slancio Luce. Stava quasi per abbracciarlo ma svelto il padre si allontanò.
Rimase da sola e cominciò a riflettere su tutto quello che doveva fare. La prima cosa importante da fare era recarsi subito da Ilse e darle la bella notizia. Sarebbero state insieme in collegio, a scuola, tutti i giorni a venire.
<<Ilse ,Ilse, Ilse dove sei?>>.
<<Ma cosa hai da urlare così tanto?>>.
<<Vieni fuori che ti devo dire una cosa>>.
Ilse appena la vide da vicino si accorse che era molto agitata.
<<Ascolta ciò che ho da dirti e non devi assolutamente dirmi di no, perché altrimenti non saremo più amiche!>>.
<<Ma cosa c’è, cos’è che mi devi dire? Non farmi stare in ansia>>.
<<Una notizia splendida. Quest’anno andremo a scuola insieme. Sono molto felice. E tu?>>.
<<Oh! Una bellissima notizia, davvero! Allora anche tu verrai nella nostra scuola pubblica…>>.
Ilse non riuscì a finire la frase che Luce la interruppe:
<<Scuola pubblica? Ma che dici! Andremo al collegio delle Suore di S. Anna come educande>> ribattè prontamente.
L’amica la guardò in silenzio e non rispose. Tra sé e sé pensò che Luce doveva essere impazzita, che non riusciva più a vivere nella vita reale. L’aveva vista così felice un attimo prima che quasi non sapeva come fare per dirle che ciò non era possibile. Lei, Ilse, era figlia di contadini, gente onesta ma molto povera. Luce, pensava tra sé Ilse, non sapeva neanche quanto fossero poveri, era una realtà che lei ricca com’era, neanche poteva immaginare.
Quel prolungato silenzio mise in allarme Luce.
<<Ilse perché non dici niente? Non vuoi venire con me a scuola? Vuol dire questo il tuo silenzio?>> .
<<Luce come pensi che io possa venire in collegio con te? La mia famiglia è molto povera non può mantenermi in collegio. Forse tu non sai le condizioni della povera gente. A volte non abbiamo neanche un soldo per comprarci il pane, figurati se posso venire il collegio. I collegi sono scuole per gente come te, figli di signori!>> .
Per tutta risposta Luce scoppiò in una grande risata. Era la prima volta che Ilse la vedeva ridere così di gusto. Pensò che non c’era più con la testa.
<< Ma cosa credi che non abbia pensato a tutto prima di farti questa proposta?>>.
Luce raccontò lo scontro avuto con il padre e la sua richiesta di poter portare l’amica con sé a scuola.
Ilse non credeva alle proprie orecchie. Possibile che nella vita reale potessero avverarsi i sogni? Era così bello ciò che aveva sentito. Pensava che da un momento all’altro tutto si sarebbe dissolto nel nulla. Ma non tutti i sogni muoiono all’alba.
Le parole che Luce continuava a ripetere, i progetti che stava preparando e le risatine di complicità, le dissero che era proprio una bella realtà.
Cap 6
I giorni a seguire furono pieni di preparativi.
Ilse stava vivendo giorni di sogno, mentre Luce si distraeva dai suoi pensieri con tutto ciò che c’era da fare. Steno aveva detto alla figlia di pensare ad acquistare tutto ciò che serviva sia ad Ilse che a lei, poi avrebbe pensato lui a pagare i conti.
Le ragazze vissero dei giorni indimenticabili.
L’estate ormai volgeva al termine. Il silenzio dell’autunno era già nell’aria. Fra pochi giorni Luce ed Ilse sarebbero partite per il collegio.
Ultimi acquisti, ultime spese e via…
<<Signorina Luce il taxi è giù al portone>>.
<<Arrivo subito Ian. Scendi giù i miei bagagli, per favore>>.
Luce scese dabbasso. Era splendida. Aveva i capelli raccolti sulla nuca. Un leggero trucco le ravvivava gli occhi. Con il soprabito leggero ripiegato sul braccio e nell’altro la borsa da viaggio, sembrava uscita da una rivista di moda. I morbidi pantaloni la fasciavano e le davano un’aria da modella.
<<Grazie Ian. Papà dov’è?>>.
L’uomo la guardò con un’aria imbarazzata .
Luce non chiese più nulla, abbracciò con calore Ian e uscì di corsa. Salì sul taxi che aveva le lacrime agli occhi. Suo padre non aveva voluto neanche salutarla. Ma cosa gli aveva fatto?
Da piccola veramente credeva che le volesse bene, poi però, man mano che lei cresceva, qualcosa era cambiato. Sì, Luce sapeva che suo padre puntava molto in alto, voleva la figlia ideale in tutto, figlia modello, alunna eccellente; lei ce la metteva tutta, voleva essere perfetta ma…
Il padre la rimproverava di negligenza e le diceva che era una figlia ingrata. Anche gli insegnanti le dicevano che era una ragazzina svogliata, che non amava studiare, che non meritava un padre come il signor Steno.
Per Luce queste parole erano delle vere e proprie coltellate. Di nascosto piangeva lacrime di dolore. Questo nuovo anno aveva almeno la speranza che con lei ci sarebbe stata la sua amica!
Il taxi si fermò presso la casetta di Ilse.
La ragazza era già davanti alla porta con a terra tutti i suoi bagagli. Accanto a lei, vi erano il papà, ometto dal viso gioviale e sorridente e la mamma esile e fragile ma solo apparentemente; i suoi due fratelli, minori di lei di pochi anni. Osservavano in silenzio.
Sistemati i bagagli sull’auto, il padre di Ilse strinse la ragazza a sé: <<Ciao tesoro, buona fortuna! Mi raccomando facci avere tue notizie!>> disse con le lacrime agli occhi, strinse la mano a Luce e le sussurrò <<Grazie, signorina. Che Dio la benedica per tutto quello che sta facendo per la nostra Ilse>>.
<<Non mi ringrazi brav’uomo, sono io che dico grazie a voi. Facendo venire Ilse con me in collegio, sto portando un raggio di sole nel mio cuore>>.
Anche la mamma di Ilse ringraziò Luce e la ragazza d’impeto la abbracciò.
Per un tratto di strada le due amiche rimasero in silenzio.
Luce ripensava al saluto affettuoso dei genitori di Ilse: l’avevano abbracciata come la cosa più preziosa e rara di tutto il mondo. L’avevano guardata, come lo si può fare con un raro gioiello. E suo padre, il caro signor Steno? Non c’era.
Immerse ognuno nei propri pensieri neanche si avvidero del tempo che passava.
Scendeva la sera. Sera di luna piena, di vento leggero. Sera… di un autunno che già si annunciava con leggeri fruscii, con silenzi e malinconie. Autunno, abile pittore di un antico quadro che, ogni anno, riportava in vita mettendo qua e là spruzzi di giallo e arancione e copriva gli infiniti orizzonti di nuvole basse.
<<Si cena alle diciannove, tutte in divisa>>, disse Suor Orsola alle due ragazze. <<Andate in camera e cambiatevi. I bagagli li sistemerete domani!>>.
Cominciava così la nuova vita di educande.
Cap 7
Il collegio delle Suore di S. Anna era situato al centro di una ridente cittadina. Era un edificio maestoso, elegante, immenso. L’imponente portone d’ingresso dava la sensazione che al momento in cui se ne fosse oltrepassata la soglia si sarebbe entrati in un mondo diverso. A guardarlo intimidiva. L’atrio era molto ampio e lucido come uno specchio. Le scale che portavano ai piani superiori si offrivano alla vista con una sorta di maestosa eleganza. La grande porta dai vetri finemente decorati veniva illuminata dal riflesso dei raggi del sole: quei riflessi creavano giochi di luce, sembravano arcobaleni colorati e davano vita e colore, mitigando l’austerità del luogo. Nel salone grande, veniva così chiamato da tutti, si trovavano sparsi salotti chiari e rivestiti in morbida pelle. La sala di attesa, che ospitava i parenti che venivano a trovare le educande, era molto sobria: semplici sedie dall’alto schienale, e qualche rivista sparsa qua e là sopra i tavolini rotondi. Oltrepassando l’atrio, una piccola villetta offriva allo sguardo un’incantevole immagine: leggiadre panchine sembravano in attesa di compagnia; gli alberi le cui foglie frusciavano al leggero alito del vento, muovevano pigramente i rami dondolandosi nel silenzio di quel luogo ameno. La dolcezza e la malinconia dell’autunno aveva steso un leggero tappeto dorato e ramato che colorava il nero brunito del terriccio. La segreteria della scuola era piena di alti scaffali: essa racchiudeva dentro grandi carpettoni i volti delle educande che erano state in quel collegio. La cappella del collegio era il luogo in cui regnava un alto e dolce silenzio. Un leggero profumo di incenso e di fiori aleggiava tutto intorno. Le tremule fiammelle dei ceri accesi proiettavano timide ombre in quel luogo di preghiera e di raccoglimento.
Attraverso i portici si arrivava all’edificio dove si trovavano le aule. Al piano terreno vi erano le classi prime dell’Istituto Magistrale; al primo piano le classi seconde e infine al secondo piano le classi terze e quarte.
Un altro edificio ospitava le scuole medie ed elementari.
L’aula dei bambini piccoli, invece, era una salone molto grande che si affacciava sull’allegra villetta del collegio. Vi erano anche le palestre per la ginnastica, le sale per la mensa e le sale studio.
Tutto era ordinato, lindo e silenzioso.
I dormitori si trovavano sopra la sala del teatro. Una scala non molto ampia e piuttosto buia portava ai dormitori. Luce ed Ilse dividevano la camera che si trovava proprio all’inizio della lunga fila di camere riservate alle educande.
Appena rimaste sole sedettero in silenzio, ognuna sul proprio letto.
Ilse ruppe quel silenzio saturo di pensieri dicendo:
<<Finalmente insieme! Da oggi inizia il nostro percorso. Credimi sarà bellissimo! Saremo le più brave, le più invidiate, le più tutto!>>. Il tono di voce di Ilse era carico di entusiasmo e di aspettative.
Non era dello stesso parere Luce. La ragazza era pensierosa, sembrava addirittura triste. Non rispose alle parole dell’amica, continuò a restare chiusa nel suo silenzio, un ostinato silenzio.
Ilse rimase in attesa per qualche minuto pensando che Luce stesse cercando qualche battuta spiritosa. Niente. I minuti passavano ma Luce continuava a tacere.
<<Scusami Luce. Che cosa hai? Perché non mi rispondi? Non sei più contenta di trovarti qui con me?>>.
<< E’ che sono tanto stanca. Certo sono tanto felice di essere qui con te, credimi>>.
“Chissà… forse un giorno riuscirò a capire qualcosa di più della vita di Luce.”.
Che ci fossero delle incomprensioni fra Luce e il padre era chiaro come il sole, ma da cosa potessero essere causate era difficile da capire.
Alle sette in punto suonò la sveglia. Suor Nerina apriva le porte delle camere delle ragazze dicendo:
<<Svelte signorine, preparatevi e scendete giù per la colazione. Avete trenta minuti a disposizione>>.
Poi continuava: << Mi raccomando che sia tutto in ordine. I capelli raccolti, niente trucco, grembiulino nero e collettino bianco. Ordine! Ordine! L’ordine e la precisione stanno alla base di tutto>>, esclamava mentre coi suoi piccoli e svelti passi faceva il giro della camerata.
La campanella delle 8.20 stava ad indicare che tutte le educande dovevano recarsi nella cappella per la preghiera del mattino. Tutte, in fila ordinata, si dirigevano in silenzio verso la cappella. La madre superiora iniziava con le orazioni e finiva con un canto. Dopo, sempre in modo molto ordinato, le ragazze si dirigevano nelle proprie aule.
La vita in collegio andava avanti con un ritmo ben preciso: tutta la giornata era scandita dal suono della campanella che segnava la fine di una materia e l’inizio di un’altra. Segnava la fine delle ore di scuola e l’inizio del pranzo. La fine del pranzo e il momento di iniziare ad eseguire i compiti pomeridiani. Poi vi era il momento della merenda, delle attività di relax, quali pittura, scrittura creativa, canto, musica ed infine la cena. Un ultimo squillo stava ad indicare di spegnere le luci nelle stanze e mettersi a dormire “per essere ricaricate il giorno dopo e dare il massimo di sé”, come diceva suor Felicetta.
Cap 8
<<Luce De Luna vieni tu a leggere i versi di Foscolo>>.
La ragazza cambiò colore, divenne bianca come un lenzuolo.
<<Professoressa le chiedo scusa, ma non posso>>.
<<Non puoi? E perché se è lecito saperlo? Come al tuo solito, non hai studiato>>.
<<No, no professoressa, io ho studiato, ma non riesco bene ancora a leggerlo>>.
<< Sentite un po’ questa! È proprio bella! Una persona studia e poi dice di non sapere. Ma v, non prendere in giro nessuno! Dirò alla preside di mandare una lettera a tuo padre perché deve essere informato di questa situazione. Anzi è l’occasione per dirgli anche dei bei componimenti che tu scrivi. Non hanno né testa né piedi. Per non parlare poi degli errori che fai. Certo che avere una figlia come te è proprio un vantaggio per un genitore!>>.
Sentite quelle parole Luce abbassò lo sguardo e calde lacrime cominciarono a solcare il suo bel viso. A questa vista Ilse non riuscì più a starsene zitta. Si alzò e disse: << Professoressa, mi scusi. Io posso dirle che è vero che Luce ha studiato la lezione, anzi l’ha letta e riletta ma ancora non la sa bene>>.
<<Bugiarda! Anche tu ti metti dalla sua parte! Non capisci che con le tue menzogne vuoi solo il suo male e non il suo bene. Lo so che siete amiche, ma se sei veramente sua amica non devi coprirla con le tue bugie>>.
<<Ma è la verità>>.
<<Basta! Smettila, altrimenti metto un brutto voto anche a te. Non pensare perché sei molto brava che possa tollerare oltre le tue insolenze>>.
A questo punto Ilse non disse più una parola. In cuor suo però pensava cosa potesse fare per aiutare la sua amica. A chi potesse chiedere di aiutare Luce. Chi poteva capire la sua strana situazione?
Intorno a Luce si venne a creare una situazione strana. Le compagne la deridevano e la prendevano in giro, scimmiottandola con battute cariche di sarcasmo e con risate che ferivano la sensibilità della ragazza. La fragilità di lei la rendeva molto vulnerabile. Nella sua mente si stava cominciando a fare strada l’idea che era una buona a nulla e che suo padre avesse ragione a dire che era un essere inutile.
Autostima? Motivazione? Erano parole che Luce aveva cancellato dai suoi pensieri.
Ilse aveva intuito tutto ciò e non sapeva che fare.
Ma una sera come tante altre accadde qualcosa di imprevisto.
Ilse era uscita con suor Paolina.
Luce seduta da sola sul suo letto, era immersa nei suoi pensieri che non erano per nulla allegri. Fino a quel giorno non aveva parlato con nessuno del suo problema, neanche con Ilse che ormai la riteneva come una sorella. Piangeva ma si rendeva conto che con le lacrime non avrebbe mai risolto nulla. Una profonda depressione si stava impadronendo di lei. Lo testimoniavano i modi di fare apatici, molto lenti e svogliati.
<<Sono tornata! Guarda cosa ti ho portato!>> .
Luce prese controvoglia il pacchetto senza dire neanche un grazie.
Tolse la lucida carta e…lanciò via il contenuto.
Perché? Cosa conteneva ?
Cap 9
Ilse rimase in silenzio a guardare l’amica. Non proferì parola. Non chiese nulla. In silenzio aspettava che fosse Luce la prima a parlare. L’amica, però, si rinchiuse in se stessa come un riccio. Eppure pensò: <<Ma perché mi comporto come una stupida? Lei voleva essere gentile con me e io che ho fatto? Le ho tirato quasi in faccia il suo regalo>>.
Nel frattempo, Ilse aveva sistemato i suoi quaderni e preparato i libri che le servivano per il giorno dopo.
Nel buio della camera Luce trovò finalmente il coraggio di parlare.
<<Ti chiedo scusa se ho buttato via il libro che mi hai regalato. Ti chiedo scusa con tutto il cuore. Tu sei tanto cara, sono io che non vado bene. Credimi non ne posso più! Ho cercato di reagire, ho cercato, ma non sono approdata a nulla. Più vado avanti e più tutto si complica>>, confessò. Ilse taceva e la ragazza continuò: << Tutti pensano che io sia svogliata e che non amo studiare, invece non è così. Io cerco di fare del mio meglio ma i risultati sono proprio deludenti. Non mi piace parlarne, anzi fino ad oggi ho voluto nascondere tutto questo anche a me stessa… ma credimi non ne posso più>>.
Ilse venne colta di sorpresa. Davanti a quella certezza rimaneva ammutolita.
Per tutta risposta l’abbracciò. Non servivano parole. Quell’abbraccio aveva trasmesso a Luce tutto il calore e la solidarietà dell’amica.
Nel silenzio ovattato Ilse cominciò a pensare. Poi decise che doveva farsi consigliare.
<<Ma cosa vorresti dirmi, Ilse? Che i problemi di Luce sono legati a qualcosa che non è cattiva volontà? È questo che vuoi dirmi?>> chiese suor Lucia.
<<Sì, suor Lucia. Luce è una ragazza volenterosa e che studia tanto, ma purtroppo i suoi voti…>>.
<<Ma perché vieni a raccontare proprio questo a me? Ne dovresti parlare con il padre di Luce>>.
<<No, no suor Lucia, il padre di Luce non sopporta che sua figlia non sia come lui desidera, anzi non la vuole neanche vedere>>.
In poche parole Ilse raccontò alla suora la triste storia dell’amica.
Suor Lucia veniva da Roma. Aveva lavorato come volontaria nel reparto di neuropsichiatria per diversi anni presso il Policlinico.
“Luce studiava ma non riusciva. Luce teneva allo studio. Luce voleva essere brava. Luce voleva continuare gli studi dopo il diploma”. Queste frasi continuavano a martellare nella sua mente.
Suor Lucia ricordava che circa agli inizi degli anni ’60 si cominciava a parlare di particolari disturbi che riguardavano l’apprendimento.
Esso veniva definito un processo adattivo attraverso il quale il comportamento viene modificato dall’esperienza e strettamente dipendente dall’integrità delle funzioni cognitive a diversi livelli di elaborazione dell’informazione.
In questo periodo vi furono, quindi, le prime definizioni cliniche relative ad un insieme di disturbi nei quali non sembrava compromessa l’intelligenza, ma gli apprendimenti scolastici che risultavano penalizzati, in particolare la lettura, il calcolo, la scrittura, requisiti basilari per l’apprendimento di altre materie.
La strada da percorrere era molto lunga. Tante cose andavano fatte. Bisognava partire dall’inizio per capire.
Cap 10
Dopo tanti anni Luce si ritrovava in quel luogo, ed era nuovamente autunno. L’autunno dai colori rosso e malva, l’autunno malinconico, dai lunghi sospiri, rassegnato e stanco, scivolava dentro lei, lo sentiva parte di se….la sua tristezza e infelicità di un tempo per un attimo riaffiorarono, si riappropriarono di tutto il suo essere, avvolgendola nelle loro spire ….
<<Ian, Ian>>.
Un vecchietto curvo, che strascicava i piedi, apparve sulla soglia.
<<Signorina Luce, oh signorina Luce! Quale emozione…dopo tanti anni. Non credo a miei occhi. Forse sto sognando>>. Il povero uomo era commosso.
Luce lo abbracciò e a quell’abbraccio le lacrime trattenute scesero libere e calde su quel viso rugoso.
<<Non sogni mio buon Ian. Sono tornata. Non si può vivere nel futuro se non si chiudono i conti con il proprio passato. Dov’è mio padre?>>.
<<Il signor Steno è chiuso in biblioteca. Trascorre la maggior parte della giornata chiuso tra quelle mura senza parlare con nessuno>>.
Senza farsi annunciare, Luce si diresse a passo svelto verso la biblioteca. Niente e nessuno poteva più fermarla. Doveva guardare negli occhi suo padre e capire, capire quegli anni del loro passato. Solo suo padre poteva aprire uno spiraglio su quel passato. Lui, solo lui. E lei, per poter andare incontro alla sua vita, doveva ritornare indietro. Guardare in quel pozzo buio e risalire poi verso la luce.
Spalancò la porta della biblioteca ed entrò come un fulmine a ciel sereno.
Suo padre rimase attonito, immobile sulla poltrona dove si trovava seduto.
Nessuno dei due riusciva a parlare. Luce era rimasta colpita dal cambiamento che era avvenuto nel signor Steno: lo trovava invecchiato, smagrito, stanco, triste, con lo sguardo perso chissà dove.
Alla vista della figlia però i suoi occhi ebbero un guizzo, impercettibile agli occhi di lei. Steno rimase con la bocca chiusa e le braccia serrate al petto, come se volesse estraniarsi e allontanarsi da quella visione.
Lentamente Luce si avvicinò; gli andò vicino, si inginocchiò davanti alla poltrona e gli prese la mano.
<<Papà, sono tornata>>, disse con dolcezza <<Sono passati tanti anni papà. Dieci per l’esattezza, e tante cose sono cambiate. Papà non è cambiato solo il nostro aspetto fisico in questi lunghi anni credimi!>>.
Lui taceva ma la guardava con un misto di tenerezza e di paura. Continuava a guardarla e a tacere.
Quei momenti sembrarono interminabili ad ambedue ma in quel preciso momento le parole non servivano.
Il fedele Ian era nella sala grande, in attesa.
Non riuscì a resistere oltre con quell’ansia che lo stava divorando. Il buon vecchio lentamente senza far alcun rumore, si avvicinò alla porta semichiusa. Rimase impietrito, inchiodato al suo posto senza riuscire a muoversi.
“Non era possibile. In un attimo era successo ciò che non era accaduto in tutti quegli anni. Ma come poteva essere?”, pensò.
Lentamente e in silenzio Ian si allontanò. Pensieroso andò a sedersi in cucina. Appoggiò le braccia sul tavolo e si prese la testa tra le mani.
“Tutto nella vita può accadere. Non si sa dove, non si sa quando, ma succede” concluse tra sé tra sé Ian.
Cap. 11
L’abbraccio tra Luce e il padre fu come la quiete dopo la tempesta. Finalmente dopo tanti anni di incomprensioni, di lotte, di tacite accuse, il sole apparve al di là delle nuvole. Il silenzio che avvolgeva la stanza diceva più delle parole che non eran state dette. Parole taciute nel cuore, parole taciute attraverso gli sguardi, parole volate via nell’infinito del niente.
Finalmente il padre riuscì a parlare: << Grazie Luce che sei tornata, dopo tutti questi anni non ci speravo più>>.
Il bagliore soffuso della lampada che si trovava sulla scrivania velava il viso di Luce, i cui occhi erano pieni di lacrime. Quante volte aveva sognato questo momento? Quante volte aveva sperato di vedere affetto negli occhi del padre?
Adesso era superfluo e inutile pensare. L’amore del genitore bastava a soddisfare tutte le eterne domande che avevano sempre affollato la sua testa.
<<Hai finito gli studi?>>.
<<Sì, papà. La mia vita non è stata una scala di cristallo, ma un pozzo con le pareti lisce e fredde che appena cercavo di risalirle facevano scivolare giù, in un abisso nero e profondo>>.
<<Perché?>>.
Luce raccontò al padre che tutte le difficoltà incontrate nello studio erano dovute ad un’insolita compagna di vita, che la rendeva diversa dalle altre e le complicava l’esistenza rendendole lo studio un inferno. Grazie a Ilse e a suor Lucia, che purtroppo però da qualche tempo non vedeva più perché aveva deciso di partire missionaria nella lontana Africa, Luce era riuscita a sconfiggere questa sua scomoda compagna di vita. Suor Lucia, con la sua grinta e la sua dolcezza, con fermezza e senza mai mostrare segni di pietà, l’aveva aiutata ad uscire fuori da quel tunnel in cui si era sentita trascinata sempre più.
Grazie alle sue battaglie, era riuscita ad ottenere una laurea in medicina specializzandosi in pediatria. Il suo obiettivo era quello di aiutare i bambini che vivevano il suo stesso disagio.
Il padre ascoltava incredulo.
“Luce, la sua Luce la bambina alla quale aveva reso la vita un inferno per la sua vanità ferita, era diventata una dottoressa. Non un avvocato, come i suoi antenati, ma che importanza aveva oramai! Aveva combattuto da sola una battaglia e l’aveva vinta. Doveva essere fiero di quella figlia che aveva disprezzato e che non aveva capito. Se Giulì avesse potuto vederli!”, pensò.
Come una pellicola che torna indietro, Steno rivide le immagini dei primi istanti di vita della sua piccola, che mai era riuscito a cancellare dalla mente e dal cuore.
L’inverno era freddo. Quella notte fuori soffiava un vento gelido che lasciava presagire l’arrivo di una forte tempesta. Il casolare scricchiolava sotto la forza del vento impetuoso, e con tutte le imposte chiuse proteggeva dolcemente i suoi abitanti. Un allegro fuoco scoppiettava nel camino e l’andirvieni di Steno mostrava il suo nervosismo.
<<Come sta Giulì>>, continuava a ripetere come un disco rotto.
<<Ma quanto ci vuole?>>, chiedeva ancora incalzante senza neanche ascoltare la risposta del dottore.
<<Tranquillo, tranquillo>>, ripeteva il dottor Marsino. <<Fra poco tutto sarà finito>>.
Le urla del vento si mescolarono ai gemiti di un piccolo essere che si era appena affacciato sul nuovo mondo.
Un fascio di luce con riverberi di astri scintillanti era venuto ad illuminare l’amore di Steno e Giulì. E Luce fu il nome che diedero alla loro bambina.
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