A cura di don Carmelo La Rosa
Mi sono trovato vicino a un recinto di mucche, vitellini e asini e ho visto che appena arrivavano delle persone gli animali si avvicinavano di corsa perché portavano loro il pane “duro” e giù a divorarlo intero. Ma ciò che più mi ha colpito è stato il loro rapporto con un bambino di circa quattro anni, raggiunto – al suo arrivo – dalle bestie festanti. Lui porta loro delle rosette di pane che le fanno andare in visibilio.
La strada è più alta del terreno perciò li bestie si affacciano, ficcando la testa fra le sbarre della ringhiera.
E il bambino le ammonisce, le istruisce e le richiama, come se fosse in una scuola, con alunni molto recettivi e attenti.
Gli sentivo dire: “vergogna! Tu sì e tu no” e le toccava sulla testa.
Aveva una voce squillante e persuasiva, visto che le bestie stavano ad ascoltarlo.
Pensavo a S. Francesco che parlava agli uccelli del cielo. Quel bambino come un nuovo S. Francesco parlava agli animali.
È un miracolo quando la natura coglie il linguaggio degli uomini.
Quando si crea sintonia fra l’uomo e la natura.
Quando ci si incontra fra esseri creati e si trova un modo per comunicare, si inventa un linguaggio comprensibile.
Quando si comunica, in qualche modo, fra esseri viventi.
Comunicare è un miracolo.
A volte la lingua, fra gli uomini, diventa una barriera quasi insormontabile, come esseri di universi diversi.
A volte non ci si capisce, fra genitori e figli, fra sposi, colleghi di lavoro.
Non ci si capisce nella Chiesa perché non si riesce ad avere il linguaggio di Dio o si è troppo terreni per coglierlo.
È difficile far vibrare le corde segrete e singolari dei cuori.
Parlare ai cuori e non alle menti e alle intelligenze.
Scuotere tante sensibilità così diverse.
Raggiungere il punto debole di ogni uomo per far crollare tutte le impalcature fittizie dell’essere.
Entrare nei vissuti feriali, nei problemi e nelle domande di ognuno per far giungere delle risposte e delle luci.
Parlare a partire dalle proprie esperienze profonde, far magari uscire fuori cose molto personali che non vorresti offrire al pubblico perché ti umiliano ma alla gente fanno bene.
Far parlare più che parlare: lo Spirito, l’anima, la coscienza, l’amore al Signore, la fiducia, la speranza, la fede…
Pensavo che ogni tanto bisognerebbe far parlare qualche bambino, in chiesa, perché è scritto: affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
Un prete molto anziano mi raccontava la sua prima predica. Aveva undici anni, stava per entrare in Seminario. Il parroco lo fece salire sul pulpito e lo fece predicare. Era così piccolo che la gente non lo vedeva ma per lui quell’esperienza di predicazione rimase impressa in maniera indelebile.
Una ragazza mi disse che le risultavo antipatico, non come persona ma per la predicazione che metteva a nudo tutti i suoi difetti, uno per uno e metteva alla luce tutti i cadaveri del suo armadio, scopriva senza pietà tutto ciò che avrebbe desiderato coprire, ma poi è venuta a ringraziare quel prete antipatico che l’aveva aiutata a fare luce e vivere nella Luce.
Di fronte all’assemblea ci si dovrebbe chiedere chissà quante persone illuminate vi sono, fra la gente, persone che hanno lo Spirito. Dove si posa lo Spirito.
Forse, dopo la predica, in assemblee un po’ ristrette, bisognerebbe dar la parola ad alcune altre persone per sentire la loro risonanza.
Lo facevo in Missione, agli inizi, quando si dava più spazio all’annunzio e ne venivano fuori cose meravigliose.
Ed io vorrei essere come quel bambino, con la sua forza e la sua incisività.
Non c’è niente di più forte che la potenza di un bambino, di fronte a Dio e agli uomini.
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