SPECIALE: CIRCOLO BOHEMIEN
A CURA DI REDAZIONE BOHEMIEN
RELAZIONI INTEGRALI DEL DOTT. ENZO CONIGLIO E DEL PROF. ANTONINO LEOTTA
“Conoscenza e Coscienza dalla tradizione classica alla scienza contemporanea” è il titolo dell’evento culturale che si è svolto ieri presso la sede della Fraternita Misericordia di Acireale, presieduta dal dott. Sebastiano Leonardi.
L’incontro, organizzato dal Circolo Bohémien, vetrina della Rivista online di Arte e Cultura Nuove Edizioni Bohémien, ha visto la presenza dei relatori dott. Enzo Coniglio e prof. Antonino Leotta. Ha moderato la giornalista e scrittrice Maria Cristina Torrisi, Editore e Direttore Responsabile della Rivista.
Maria Cristina Torrisi
Enzo Coniglio
<<Uno dei noccioli duri del nostro sapere e del nostro agire – ha esordito il dott. Enzo Coniglio -, ruota attorno a questi due elementi fondanti: la Conoscenza e la Coscienza, così come si sono andati configurando nel corso dei secoli e come si manifestano ai nostri giorni>>.
Dopo questa doverosa premessa, il relatore ha trattato dei contenuti, iniziando da quello apparentemente più banale, più scontato ma che rimane uno dei fondamentali e che traduciamo in questi termini:
<<Noi siamo venuti al mondo senza averlo richiesto e senza aver potuto scegliere né i partners per questa avventura, né i luoghi in cui effettuarla! – ha spiegato il dott. Coniglio – E, in effetti, dal momento che emettiamo il primo vagito, impieghiamo diversi anni per imparare a relazionarci con i partners che ci sono stati assegnati e con l’ambiente che ci circonda. E in questo processo, impariamo che noi siamo stati programmati per questa prima importante funzione – missione. Da molti secoli, donne e uomini apparsi sul Pianeta continuano a chiedersi il senso della loro “avventura”, del loro “viaggio” e a chiedersi il perché di tutto ciò che sperimentano e di cui iniziano ad avere Conoscenza e Coscienza. Oggi ci concentreremo soprattutto sul senso del viaggio che fisicamente inizia con la nascita, ma che intellettualmente si esprime con la ricerca di un sapere che i cugini greci e i rappresentanti di quella che noi chiamiamo: “cultura classica”, racchiudevano soprattutto in tre categorie: Epistéme, Pistis e Tékne. A cui aggiungiamo il concetto di PHYSIS>>.
Approfondendo l’argomento…
EPISTEME: Nel linguaggio filosofico, traslitt. del gr. ἐπιστήμη, che indicava inizialmente ogni conoscenza abilitante a compiere determinate attività o mestieri, e in seguito, più specificamente, l’aspetto rigoroso e teorico della conoscenza, in contrapp. sia alla δόξα (opinione), sia alla ἐμπειρία (empirìa) che indicava solo la capacità operativa. Nella filosofia contemporanea, il termine comprende l’insieme delle conoscenze positive e delle teorie scientifiche che caratterizzano una data epoca, con una sfumatura relativa ai loro comuni presupposti; è usato anche, con riferimento a una determinata disciplina, a un movimento di pensiero, a un autore di particolare importanza, per indicarne le tesi fondamentali o proposte interpretative, dalle quali derivano sia suggerimenti per altri campi della ricerca sia sollecitazioni ideologiche e filosofiche: in tal senso, dal rinvenimento delle epistemi trae origine la considerazione interdisciplinare del sapere.
PISTIS. Nella religione greca Pistis (Πίστις) è la personificazione della buona fede e dell’affidabilità. È menzionata con altre personificazioni come Elpis (Speranza), Sophrosyne (Prudenza) e Carità, che sono tutte associate all’onestà e all’armonia in ambito sociale.
Nel dialogo La Repubblica, Platone utilizza il termine nella Teoria della linea, inserendolo come livello più alto nella distinzione tra le due tipologie di opinione (in greco antico: δόξα, dòxa), al di sotto della quale si trova il livello dell’immaginazione o eikasia (in greco antico: εἰκασία). In questa accezione il termine ‘pistis’ designa una tipologia di conoscenza che risiede nell’ambito dell’opinione affidabile
Tékne Le idee vengono a chi ha conoscenza, esperienza e soprattutto curiosità. Un concetto che si esprime nel modo migliore con una parola ereditata dal greco antico, TEKNE (Τέχνη), letteralmente “il saper fare”
La tecnica (dal greco τέχνη [téchne], “arte” (nel senso di “perizia”, “saper fare”, “saper operare”) è l’insieme delle norme applicate e seguite in un’attività, sia essa esclusivamente intellettuale o anche manuale.
<< A questi concetti, – ha ancora affermato il dott. Enzo Coniglio nella sua relazione – aggiungiamo quello di Physis. La physis (in greco φύσις) è la realtà prima e fondamentale, principio e causa di tutte le cose, secondo i filosofi presocratici. Il termine è in genere tradotto con ‘natura’. Per secoli, abbiamo ricercato e interpretato – e continuiamo a ricercare e a interpretare – i diversi livelli di conoscenza arricchendoli di contenuti o falsificando alcuni risultati che in periodi precedenti venivano dati per certi. E’ un processo naturale e vitale per la stessa natura della esistenza non solo di noi persone umane ma di tutto il Kosmos di cui siamo parte integrata. Abbiamo quindi chiarito che il nostro sapere spazia dalla determinazione di un sapere certo e assoluto che interessa soprattutto la teologia, la religione e la filosofia, ad un sapere scientifico e a quello tecnologico. Tutti e tre i livelli presenti nella ricerca umana lungo i secoli. Trattandosi di una ricerca in progress e mai pienamente compiuta, si sono create nel corso dei secoli delle Scuole, e si continuano a creare ancora oggi, delle Istituzioni specializzate, delle Ecclesìe, dei Movimenti dei Partiti…>>.
In questa ricerca senza fine, il relatore ha inserito il caso particolare di un filosofo vissuto 2500 anni fa ma che è rimasto sempre alla ribalta creando non pochi problemi anche nella seconda metà del secolo scorso. Si tratta di Parmenide e della scuola eleatica che molti hanno studiato nelle scuole medie superiori come Il filosofo dell’ESSERE.
<<E’ il 1966 – ha narrato al pubblico il dott. Coniglio – quando lascio la nostra calma e pacifica Acireale e mi catapulto nella città di Milano, dove mi iscrivo alla facoltà di filosofia e mi ritrovo all’interno di due grandi rivoluzioni: la prima è quella studentesca e la seconda, non meno importante è quella ideologico- filosofica e religiosa che, all’interno della Università, contrappone il professore ordinario di filosofia morale, molto apprezzato, , proprietaria della Università e alla Chiesa Cattolica. lI prof. Severino è addirittura accusato di Panteismo a causa soprattutto di alcune ricerche su Parmenide e dichiarato incompatibile ad insegnare alla Cattolica. Non potendo essere licenziato, il Vaticano raggiunge un accordo con lo Stato italiano, che crea la cattedra di filosofia nella Università di Venezia, dove viene trasferito. Severino era il mio professore di filosofia morale. Non vi nascondo che sono rimasto letteralmente scioccato nel constatare che nel XX secolo ci siano situazioni che ricordano il Santo Uffizio e decido di fare la mia tesi di laurea proprio su Parmenide. Tema naturalmente molto scabroso e per nulla agevole per un giovane laueando. Il mio prof. di filosofia antica, molto noto e apprezzato, il prof. Giovanni Reale, accetta di fare il relatore; la prof.ssa di storia di filosofia, Sofia Vanni Rovighi, accetta di fare la correlatrice e posso così effettuare le mie ricerche sui testi di Parmenide su una base testuale e riesco a laurearmi netri i quattro anni con il massimo dei voti e la lode. Non vengo espulso e tanto meno vengo dichiarato eretico. Al contrario, vengo nominato “assistente volontario alla cattedra di filosofia teoretica diretta dal guru della Università in quegli anni: il prof. Gustavo Bontadini. Non vi nascondo che ci sono rimasto molto male perchè le conclusioni delle mie ricerche erano simili a quelle di Severino. Ho pensato: un giovane studente e, per giunta un coniglio, non fa paura… Non ruggisce. Forte di questo mio passato, vorrei riprendere il tema della nostra conversazione odierna commentando in estrema sintesi il pensiero di Parmenide tra conoscenza e coscienza, dedicandolo al prof. Emanuele Severino che ci ha lasciato pochi anni fa. Parmenide è un nostro concittadino meridionale, nato ad Elea di cui elabora le Leggi costituzionali, diremmo oggi e dove crea una Scuola, denominata appunto la Scuola eleatica. Scrive un poema di cui rimangono parti significative e soprattutto il suo pensiero viene ripreso nel corso dei secoli>>.
Antonino Leotta
Prezioso ed illuminante anche l’intervento del prof. Antonino Leotta il quale ha iniziato la sua relazione utilizzando una immagine:
<<Negli anni della mia prima adolescenza abitavo in Via Romeo nella discesa che dallo slargo davanti al Teatro bellini porta alla Piazza del Suffragio. Proprio di fronte al Bellini c’erano due grandi saracinesche che chiudevano un ampio locale che ospitava gli autobus della Ditta “Michele Patané”. In un primo pomeriggio di un giorno, uno degli autobus venne posteggiato utilizzando il solo freno a mano, all’imbocco della discesa. Il freno non resse e l’autobus si mosse e acquisto velocità. Lo fermò provvidenzialmente la scalinata della Chiesa di San Giovanni Nepomuceno. Si rovesciò sulla strana.
Un autobus in movimento senza conducente è un grosso pericolo. Così come un taxi in marcia senza un taxista è un pericolo.
E’ necessario, indispensabile, insostituibile, una guida. Anche nella nostra vita è così. La “Coscienza” è una guida, un conducente, un taxista che dà sicurezza ai nostri comportamenti. La “Coscienza” è la sentinella del nostro comportamento. E su che cosa si fonda la mia fiducia nel conducente e nel taxista? Sulla conoscenza della guida di un veicolo e sulla conoscenza del codice stradale. La “sicurezza” viene dalla conoscenza. Più conosco più rendo preparata la mia coscienza. La mia sentinella diventa più sicura>>.
Il prof. Antonino Leotta ha inoltre aggiunto che “L’obiettivo della conoscenza è raggiungere una verità. Quindi, la verità è il cibo che alimenta ogni conoscenza”.
<<Teniamo sempre, quindi, ben presente che la natura dell’uomo è la ricerca della verità. E, in questa ricerca della verità, incontriamo al primo posto il bene della vita. La custodia della vita è il primo obiettivo da raggiungere. Questo impegno lo troviamo già abbastanza chiaro nell’uomo primitivo. Era un istinto primario insostituibile>>.
Sicuramente fu lento il passaggio dall’istinto alla ragione – ha ancora spiegato nella sua relazione. Ma, a poco a poco, la persona umana cominciò a rendersi conto che la natura poteva essegli utile: gli alberi che lo proteggevano, gli davano la possibilità di costruirsi una capanna, di alimentare il fuoco, di fornirgli del cibo….il sole che lo riscaldava e la pioggia che lo dissetava e alcuni animali che potevano tornargli utili. Lentamente, guardando in sé stesso cominciava a immagazinare delle norme che favorivano la custodia della propria vita.
Quel passaggio dall’istinto al ragionamento iniziava a costituire una prima forma di coscienza che lo spingeva ad agire, a manifestare comportamenti che lo spingevano con determinazione alla difesa della vita.
<<La coscienza, quindi, inizia a mettere insieme, a raccogliere delle norme di comportamento utili – ha continuato a spiegare il prof. Leotta -. Le prime norme scaturiscono da una esperienza di vita. Ora, bisognava trovare dei punti di riferimento che alimentano la coscienza, che stabiliscano altre norme di vita>>.
Nasce il rapporto con gli altri, la difesa dei figli, la tribù, una intesa che si allarga sempre di più nel villaggio e, poi, una organizzazione che diventa un popolo. Le norme di convivenza si vanno accumulando dentro sé stessi.
Ma c’è un momento in cui, iniziano ad affiorare tre grossi pericoli che sconvolgono il ruolo della coscienza:
1. Il soggettivismo che considera la realtà delle cose esclusivamente secondo quello del soggetto che le pensa: la norma dell’azione, quindi, coincide con le emozioni personali, le senzsazioni personli, il modo personale di pensare, gli scopi, gli interessi individuali.
2. L’utilità personale a tutti i costi. Si confonde l’utilità personale con il bene personale. L’errore di fondo è quello di considerare il bene come una realtà staccata dal vero. La verità sta alla base del bene, del bello e di ogni autentica libertà (questo concetto lo vedremo meglio tra poco).
3. Il terzo pericolo è quello di salvare le apparenze fingendo di osservare delle norme. Tutto ciò che è finzione altera la coscienza. Il falso annulla, mette a tacere, ogni coscienza.
<<Uno dei più quotati osservatori sulla natura della coscienza è stato Papa Ratzinger. Benedetto XVI ha, anzitutto, individuato un altro pericolo nella concezione della coscienza. Il pericolo è quello di esasperare l’obiettivo di assicurare alla persona umana la “libertà” di scegliere ciò che vuole: sono libero di scegliere ciò che voglio. Un falso concetto di libertà che Papa Ratzinger definisce -senza mezzi termini- “RELATIVISMO”.
Il “Relativismo” può alterare la coscienza>>.
Scrive così Papa Ratzinger: “.. Avete notato quanto spesso la rivendicazione della libertà viene fatta, senza mai fare riferimento alla verità della persona umana? C’è chi oggi asserisce che il rispetto della libertà del singolo renda ingiusto cercare la verità, compresa la verità su che cosa sia bene. In alcuni ambienti il parlare di verità viene considerato fonte di discussioni o di divisioni e quindi da riservarsi piuttosto alla sfera privata. E al posto della verità si è diffusa l’idea che, dando valore indiscriminatamente a tutto, si assicura la libertà e si libera la coscienza. È ciò che chiamiamo relativismo”.
Continuiamo a leggere Papa Benedetto XVI:
… “Il relativismo diffuso, secondo il quale tutto si equivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento assoluto, non genera la vera libertà, ma instabilità, smarrimento, conformismo alle mode del momento…
Il relativismo, invece di aprire l’uomo a queste dimensioni che gli appartengono per natura, e nelle quali può trovare il proprio compimento e sviluppo integrale, lascia l’uomo inchinato verso la terra a decidere da solo, o tramite una maggioranza, il proprio destino tragico. Il relativismo sembra concederci tutto e in realtà ci svuota”…
Il prof. Antonino Leotta ha fatto notare inoltre che nell’idea di Benedetto XVI la libertà è saldamente ancorata alla verità. E’ il messaggio evangelico di Giovanni (8,32) che proclama “la verità vi renderà liberi”.
<<A questo punto tocchiamo un momento veramente critico: “L’idea della verità è stata, in pratica, eliminata e sostituita con quella di “progresso” che però, in apparenza esaltato, viene invece privato di ogni direzione. In un mondo senza punti fissi di riferimento, senza verità, non ci sono più direzioni. Vivendo in una società che influenza e condiziona gli individui, è difficile sentire quella che veniva considerata “la voce della coscienza”, cioè “la presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all’interno del soggetto stesso”>>.
Ma facciamo un passo avanti:
Abbiamo fissato come principio fondamentale la difesa della propria vita. Il passo avanti è quello di riconoscere lo stesso bene della vita a tutte le persone che vivono sulla faccia della terra. Nutrire la propria coscienza del rispetto altrui, garantire il diritto alla vita a tutti e in maniera uguale per tutti: è un dovere di coscienza dal quale dipende il futuro dell’umanità.
<<Mi piace ora riportare una testimonianza sull’argomento. La testimonianza viene da un amico mio carissimo che ci ha lasciato diversi anni fa (12 dicembre 2004). Il personaggio fa parte di quegli amici che non si possono mai dimenticare. Si tratta del grande teologo che lanciò la Bioetica in Italia: Don Salvatore Privitera>>.
Agli inizi degli anni ’70 nasce una nuova scienza: la BIOETICA.
La Bioetica è una nuova disciplina che combina la conoscenza biologica (bio) con la conoscenza del sistema dei valori umani (etica). E’ una disciplina che fa da ‘ponte’ tra il sapere scientifico e il sapere umanistico per usare tutte le conoscenze per migliorare la qualità della vita.
Non più solo e semplice “morale”, ma una grande interdisciplinarità che nasce dal dialogo e dal confronto tra biologia, medicina, filosofia, teologia, sociologia, antropologia, economia, diritto e politica.
Tutte queste discipline entrano nel sapere bioetico e conferiscono all’etica tanti altri dati che servono a formulare un ampio giudizio bioetico. Un ampio panorama di interdisciplinarità che consente una visione integrale dei problemi.
<<Mi fermo un attimo a citare l’impegno di Don Salvatore Privitera nel settore. Iniziò col far parte dell’ATISM (Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale) costituitasi nel 1966 in pieno periodo post-concilio Vaticano II, per dar seguito alle istanze di rinnovamento teologico anche nell’ambito della teologia morale. Di tale associazione divenne immediatamente uno degli animatori tanto da ricoprire, negli anni successivi, il ruolo prima di Segretario e poi, dal 2000 fino alla sua scomparsa, quello di Presidente. Fece parte della FIBIP (Federazione Internazionale dei Centri e Istituti di Bioetica di Ispirazione Personalista). Questo centro curava la pubblicazione della rivista Medicina e Morale e affiancava, a livello nazionale, il Comitato nazionale per la bioetica>>.
Negli stessi anni e nel clima di rinnovamento moral-teologico che li caratterizza, Don Salvatore Provitera diventa anche consulente alla Direzione della Rivista di Teologia Morale pubblicata dalle edizioni Dehoniane di Bologna e, successivamente, membro del relativo comitato di redazione. Nel 1978 entra a far parte della Societas Ethica, organo associativo degli studiosi di filosofia e teologia morale prevalentemente di area mitteleuropea e senza alcuna connotazione confessionale. Della stessa diviene membro del Consiglio di Presidenza. Nel 1990 curò la pubblicazione del Nuovo Dizionario di Teologia Morale, e fondò ad Acireale l’Istituto Siciliano di Bioetica.
<<Diventa necessario trovare il modo di nutrire la nostra coscienza – ha concluso il prof. Antonino Leotta -. Abbiamo già evidenziato la necessità di riconoscere il bene della vita a tutte le persone che vivono sulla faccia della terra. Per nutrire la propria coscienza del rispetto altrui>>.
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