RECENSIONI ED EVENTI
Recensione ed Intervista di M. Cristina Torrisi
Il coraggio di andare incontro al cambiamento, la voglia di scommettersi accettando le sfide della vita, il bisogno di dare spazio alla propria anima attraverso l’incontro con la gente, il desiderio di alimentare lo scambio di vedute come opportunità di evoluzione, permettendo alla scrittura di divenire mezzo non solo di comunicazione ma anche catartico e terapeutico. Sono tutti gli elementi principi che strutturano la fatica letteraria di Vincenzo Pezzarossa “Che Dio Tassista” (e anche tu, come
me, cambierai vita).
Il libro diventa strumento che invita alla riflessione e alla speranza: si può cambiare vita anche a quarant’anni, anche quando l’esistenza precedente aveva un format scontato. Eppure, si può dare una svolta radicale se si crede in sé stessi e si matura l’idea che è possibile gestire il proprio tempo seguendo sogni, progetti ed obiettivi in cui si crede fermamente. A testimoniarlo è il protagonista di questo avvincente lavoro che racconta la storia di Claudio Rossini, un uomo quarantenne che, dopo aver realizzato un percorso di studi complesso ed essere riuscito ad inserirsi in un contesto lavorativo prestigioso, decide – con non poca fatica – di cambiare totalmente vita, così da diventare tassista.
La strada da percorrere non è stata semplice però la determinazione ha
avuto la sua bella parte e Claudio, in prima persona, trasporterà il suo lettore dentro le esperienze della sua “nuova vita”.
Tra le pagine di questo libro – nel quale la scrittura di Vincenzo Pezzarossa, dal taglio moderno ed immediato, si pregia di grande capacità comunicativa e di coinvolgimento – vi sono esperienze che spaziano dall’humor quasi surreale a storie di vita che fanno riflettere o commuovono, svelando la grande umanità e sensibilità del protagonista- narratore.
Il messaggio finale non riguarda soltanto il cambiamento ma l’importanza del viaggio che arricchisce, poiché l’esistenza umana può essere paragonata al taxi Giove 100 in cui accade l’imprevedibile.
Ospite di Nuove Edizioni Bohémien, ho voluto intervistare Vincenzo Pezzarossa per una intervista.
1 Vincenzo, intanto complimenti per questo lavoro. Soffermiamoci sul titolo che è già tutto un programma. Dio che assiste un tassista…
– Grazie mille Maria Cristina! Ha proprio colto appieno lo “spirito del libro”.
Il titolo, così come il mio libro, nell’ideazione parte come un
“divertissement letterario” che poi, invece, man mano che la lettura progredisce, si rivela un libro che fa molto riflettere sul fatto che la vita
talvolta porta ciascun individuo di fronte a un cambiamento, più o meno forzato. Quando ho pensato al titolo, ho subito pensato alle due anime del libro, quella seria e quella faceta, pertanto ho voluto utilizzare un gioco di parole, che in una lingua ricca come l’italiano, può dimostrare
come anche solo l’assenza di un apostrofo può cambiare il senso di un discorso, passando così da pagine in cui si narrano avventure notturne
leggere a scelte di vita ben più serie.
2 Credo che questo sia un libro “autobiografico”, ovviamente romanzato.
– Si, assolutamente. Il libro è autobiografico, anche se, alcune delle avventure raccontate (in realtà pochissime) sono state vissute in prima persona non dal sottoscritto, ma da qualche collega con più anzianità di servizio e, per esigenze di narrazione, sono diventate mie. Dietro lo pseudonimo di Claudio, in realtà c’è un Vincenzo sempre più maturo e consapevole, sempre più felice di far proprio il cambiamento, accettando anche il compromesso di una professione, sulla carta di gran lunga più modesta di quelle precedenti, ma certamente più sorprendente.
3 Quale la difficoltà maggiore: dare una svolta radicale alla propria vita o mettere nero su bianco questa esperienza?
– Guardi, nel mio caso, sicuramente dare una svolta del genere dopo studi universitari e master, è stato più difficile attuarla che raccontarla. Forse perché scrivo storie fin da quando ero un bambino e per tanti anni, in una delle mie vite professionali trascorse, ho fatto il giornalista (sono tuttora iscritto all’albo) lavorando per molti quotidiani e settimanali. Certamente
Lei mi può capire. Può capire cosa si prova nel trasferire le proprie emozioni tramite i propri scritti. Io amo profondamente scrivere e nel libro lo dico chiaramente: scrivere mi fa sentire vivo, mi fa sperare che
quello che sto scrivendo oggi, sarà ricordato anche nei prossimi anni. Sarà un lascito indelebile, una sorta di testamento dei miei pensieri e delle mie emozioni.
4 Cosa rappresenta la scrittura? Perché l’esigenza di scrivere?
– Mi rendo conto che l’esigenza di positivizzare, di mettere nero su bianco le mie avventure, le mie emozioni, possa sembrare ridondante o addirittura anacronistica, soprattutto in un’epoca come la nostra, dominata dai social media nei quali ognuno scrive (spesso male) di tutto, di più. Tuttavia ho deciso di scrivere “Che DIO tassista” perché nell’immaginario collettivo il tassista di notte è sempre foriero di mille racconti e di mille avventure incredibili e per condividere con i lettori alcuni episodi della “MILANO by night” realmente accaduti e che
potrebbero essere avvenuti in qualsiasi altra realtà metropolitana. La narrazione, tuttavia, avviene da un punto di vista molto particolare:
quello di GIOVE 100, un “neofita del taxi”, come ama definirsi. Sono certo
che, pur essendo un mestiere che molti ritengono faticoso, è un lavoro
che consente di “assecondare” i ritmi di vita e di aumentare il tempo di qualità con la famiglia o con gli amici, molto più di quanto non si possa
credere.
5 Il messaggio ultimo per quanti non hanno il coraggio di “ripartire”.
– Negli anni in cui è attuale parlare di work life balance (equilibrio fra sfera lavorativa e privata) e di smart working (lavoro agile da casa), “Che Dio tassista”, oltre a rappresentare una raccolta di aneddoti più o meno
intriganti, vuole anche essere un pungolo, uno stimolo a mettere qualche marcia in meno per tutti coloro che sono alla ricerca di un “piano B” nella vita. Il mio libro vuole essere uno stimolo a cambiare lavoro e…perché no, vita, uscendo dalla logica del criceto nella ruota, e trovando un lavoro che consenta di seguire le proprie passioni, nel mio caso, la scrittura.
6 Quale l’elemento più forte per riuscire a cambiare le proprie abitudini e non cedere alla paura di poter sbagliare?
– Anzitutto sono stato folgorato dalla filosofia del downshifting (la cosiddetta semplicità volontaria, per intendere chi decide che la propria
vita debba mettere una marcia inferiore) e quindi ho letto diversi libri in merito. Poi, siccome nell’ultimo lavoro che ho svolto prima di fare il tassista, mi occupavo di “change management” (dell’approccio strutturato al cambiamento) e siccome ritengo di averne assimilato così bene le teorie che il cambiamento con la “C” maiuscola l’ho attuato prima di tutto su di me.
Io insegnavo ai manager che, quando si affronta un cambiamento nella vita ad un certo punto ci si ritrova in una zona bassa di un’ideale “bell curve” e che si è assaliti dalla paura. La paura del cambiamento. Tali teorie spiegano che la paura in sé è un sentimento positivo, guai a non averne.
Però, ciò che ci distingue l’uno dall’altro è la propensione a “metterla a tacere”. Una volta compreso che cambiare è sano, che il cambiamento può essere positivo, ci si concentra su questi ultimi aspetti, si “prendono le misure” e lo si affronta con un altro spirito. Ed ecco che si risale la famosa “bell curve”.
7 Il libro, nonostante narrazioni particolarmente simpatiche e divertenti, racchiude un universo pregno di grande sensibilità. Quanto a parlare è l’animo dello scrittore?
– La ringrazio per questa domanda, perché mi permette di “mettermi a nudo” sempre con il “filtro” di un’intervista. Devo dire che, nonostante, come ho già detto, qualche storia l’abbia appresa “de relato” da qualche collega, il libro è tutto profondamente mio. Sono felice che dietro alle molte citazioni, dietro alle molte battute di spirito, emerga questo lato melanconico della mia sensibilità, che nella vita, mi creda, a volte è una zavorra. A volte influenza così tanto alcune scelte, che per saperlo dosare, bisogna avere davvero un grande controllo, devi aver maturato una notevole consapevolezza. Sono felice che, nonostante il racconto sia fitto
di incontri di persone fuori dagli schemi, che hanno qualcosa da
raccontare, o di incontri in cui io stesso finisco in avventure spesso
maliziose e intriganti in un climax di sensualità e passione (che auspico
strappino al lettore più di un sorriso), come contraltare vi siano episodi, altrettanto reali e drammatici che, al contrario, lasciano la sensazione di amaro in bocca.
8 Dopo questo lavoro, ve ne sarà uno successivo?
– Ovviamente si, sto già “pensando” due differenti libri. Il primo racconterà di come ci si approccia al mondo dei colloqui di lavoro, e spiegherà come sopravvivere a questi, insegnando qualche artificio utile.
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