Racconti del Corso di scrittura creativa – Nuove Edizioni Bohémien – Maggio 2014
Docente: Maria Cristina Torrisi
Capitolo I
Sapevo già che la mia vita da grande non sarebbe stata felice. L’avevo cominciato ad intuire dopo il lutto in famiglia. Prima di allora, ogni giorno per me era sempre una gran festa, e la mia filosofia di vita di questi anni mi ha confermato che nella vita o si nasce sotto una buona stella, oppure te la devi cercare. Io non ho avuto né l’una né l’altra cosa. Ancora oggi, che sono una donna matura, mi domando se al mondo esista una ricetta della felicità. Ripercorrendo la mia vita, da bambina, da adolescente e da adulta, i ricordi mi riportano lontano nel tempo, a quando giovinetta guardavo fuori dalla finestra con il naso attaccato ai vetri il rientro di mio padre dal lavoro. Non sapevo quale sarebbe stata l’ora del suo rientro perché ero piccina, ma aspettavo ore ed ore, come un cucciolo che attende il suo padrone che, da un momento all’altro, farà ritorno, avanzando con il suo passo deciso ed elegante, con quel sorriso che ha riempito la mia vita: “era il mio principe”, ed io la sua “principessa dai capelli rossi”.
Appena arrivava a casa, subito mi prendeva in braccio e mi faceva “volare”, alzandomi più in alto che poteva. Ma io ero impaziente, e non vedevo l’ora di fare il gioco del “dove si trova”. Il gioco consisteva nel celare una caramella dentro il palmo della sua mano e poi stringere i pugni e nasconderli dietro la schiena. Io dovevo indovinare dove si trovava “la cicci”, così chiamata dalle nostre parti. Stranamente vincevo sempre, perché mio padre nascondeva una caramella per mano. Quanti ricordi! Poi, improvvisamente, la mia favola felice finì di esistere.
Capitolo II
La morte di papà
Un giorno di festa, mentre tutta la famiglia era in casa, ed eravamo ognuno impegnati nelle nostre faccende, improvvisamente si udì un urlo. Era mia madre che gridava aiuto perché papà si era sentito male. Subito noi figli ci precipitammo in camera da letto di mamma per vedere cosa fosse successo, ed una volta giunti in camera scoprimmo che papà era stato stroncato da un infarto.
<<Carlotta, piccina mia …>>. Queste furono le ultime parole pronunciate da papà.
Mio padre era un uomo meraviglioso, elegante, e profumava sempre di acqua di colonia. Lavorava come ragioniere in una ditta e, nel suo tempo libero, coltivava molti hobbies.
La mamma era molto innamorata di lui: si erano conosciuti da piccoli, ed il loro amore era cresciuto sempre di più in quegli anni di matrimonio.
Papà era un uomo molto affascinante, oggi direi che avesse una certa somiglianza con l’attore di cinema di quei tempi Amedeo Nazzari.
Io ero l’ultima di cinque figli, e a casa mia era davvero una gran festa quando ci ritrovavamo seduti a tavola per il pranzo. Ricordo che lui mi esortava a consumare presto il pasto, così dopo mi avrebbe premiata. Il premio consisteva in una passeggiata a casa della zia Maria. Andavamo a trovarla tutti i sabato pomeriggi. La zia Maria era una donna anziana molto severa e tanto impicciona perché voleva sempre sapere tutto di noi, e stava economicamente bene, così approfittava di questa sua condizione per comprare il mio affetto. Ricordo che mi sventolava mille lire se le avessi dato un bacetto sulla guancia. Naturalmente, io mi rifiutavo perché non sopportavo la sua peluria in viso, così mi irrigidivo e stringevo forte gli occhi. Ma papà, che aveva capito, elegantemente faceva un cenno con il suo capo, ed io intuivo che dovevo ubbidire.
La cosa che più mi allettava, nella visita alla zia Maria, era che subito dopo mi lasciava andare nel suo giardino a raccogliere le viole, così lei sarebbe rimasta un po’ da sola con mio padre a parlare di cose da “grandi”.
Capitolo III
Il mio primo amore
La casa della zia Maria era circondata da un enorme giardino e, prima che si arrivasse all’uscio dell’abitazione bisognava attraversare un vialetto, dove ai lati vi erano stati piantati alcuni alberi di mandorlo i cui frutti, al giungere della Primavera, erano uno spettacolo da poter ammirare. Vedere sbocciare le prime gemme che sembravano fossero ricoperte di neve, era meraviglioso! E quell’odore agro-dolciastro mi riempiva i polmoni di una sana energia.
Mi dirigevo con una impegnativa corsa in quel giardino che pareva non finisse mai.
Sotto un muretto, all’ombra del grande salice, in primavera vedevo una grande distesa di viole mammole che odoravano di fresco, di buono, di poesia. Verso febbraio sbocciavano i primi fiorellini ed era uno spettacolo raccoglierli. Il loro fiore, piccolo e viola scuro, con la fogliolina cuoriforme, appuntita, verde intenso, mi facevano rimanere incantata.
Quel giorno ne raccolsi a più non posso, per poi farne dei mazzolini che avrei legato con dei fili di cotone da cucito. Ne avrei regalato uno alla zia Maria per farmi perdonare del mio comportamento birichino, e uno lo avrei portato a casa a mia madre.
Fin da bambina, avevo avuto una fantasia spiccata per inventare storie, magari con principi e fate; così, mentre prendevo le viole, immaginavo che un giorno qualcuno le avrebbe raccolte per me.
Riempii le mie mani di quelle odorose viole e, proprio in quel momento, vidi che un ragazzino mi osservava attentamente attraverso la rete di recinzione che segnava il limite dei due terreni. Si chiamava Angelo il “bello” ed era il figlio del massaro Ignazio. Con Angelo scambiavamo di tanto in tanto quattro chiacchiere, e mi raccontava dei suoi progetti futuri. Era ancora ragazzino ma aveva già le idee chiare.
Mi diceva che avrebbe voluto studiare perché non desiderava coltivare la terra come suo padre. Il suo sogno era infatti quello di poter un giorno indossare la divisa di Finanziere. Si notava già da ragazzino che era ambizioso.
Ricordo che il suo volto aveva un fascino promettente: occhi verdi, carnagione bruna e folti capelli neri. Fra di noi era nata una forte simpatia, anche se, a volte, si rendeva antipatico perché si divertiva a chiamarmi “Carlotta, raggio di sole dai capelli rossi e dalle lentiggini sul naso”. Ma un po’ provavo gioia perché capivo che forse Angelo era l’amore.
Capitolo IV
La stanza dei ricordi
Sulla teoria che le cose belle sono destinate a concludersi, posso testimoniare che il mio periodo felice e di spensieratezza presto giunse al termine.
Dopo la morte di papà, continuai ad andare tutte le settimane, i mesi, e gli anni seguenti, a casa della vecchia zia Maria. Ma non era più lo stesso posto e lì non colsi più le viole mammole. Ormai ero diventata una donna e quell’abitazione era rimasta disabitata perché la zia, nel frattempo, era passata a miglior vita.
Quel giorno, facendovi ritorno, mi ritrovai da sola immersa nei ricordi di un passato che rivivevo dentro di me ogni volta che attraversavo il vialetto dei mandorli in fiore.
La casa della zia non mi sembrava più enorme come allora, e i mobili che arredavano il salone non mi facevano più paura. Però un pensiero, fin da quando ero bambina, mi attanagliava. Mi ricordo che nella sua camera da letto vi era un comò. Lei teneva i cassetti di quel mobile rigorosamente chiusi, nascondendo la chiave dietro a dei portafoto che stavano poggiati sulla base di marmo del comò. Quante volte spinta, dalla curiosità, ho cercato invano di aprirli! Ma poi, per la paura che qualcuno mi potesse scoprire, fuggivo via. “Cosa nascondevano quei cassetti? E cosa vi era dentro di così importante?”, mi ero più volte chiesta.
Improvvisamente fui colta da un raptus di curiosità: stavolta avrei aperto quei cassetti, per scoprire cosa contenevano cercai di impossessarmi della chiave che un tempo stava riposta dietro i portafoto. Ma quella non c’era più. Forse qualcuno l’aveva presa. Così, proprio come avevo visto fare nei films, sfilai una forcina dai miei lunghi capelli e provai a forzare la serratura del cassetto. Ero convinta più che mai che lì dentro avrei trovato qualcosa di importante, qualcosa che parlasse di me, di mio padre… avevo il presentimento che sarei venuta a conoscenza di qualche segreto!
Avevo le mani sudate e il viso rosso come un papavero, ancora uno sforzo…ecco.
Meraviglia delle meraviglie! Non c’era niente di tutto ciò, ma semplicemente delle palline di canfora. “Accidenti, tanta fatica per nulla!”, mi dissi. Ma l’odore di canfora mi fece ricordare tanto la zia Maria, quando si vestiva con “l’abito buono” per andare a messa. Diceva sempre che per conservare ben un vestito bisognava mettere nelle sue tasche delle palline di canfora. Adesso, quel forte odore mi riportava al passato, quasi a volermi ricordare che la zia Maria era sempre stata presente nella mia vita.
Finito il momento di amarcord, mi diressi subito fuori in giardino, quasi rapita da un rumore. Mi sentivo spiata ma non sapevo da chi, o da che cosa. D’un tratto, vidi la sagoma di un uomo bellissimo, alto e muscoloso. Ma quella visione ebbe presto termine. La figura era sparita dietro le siepi incolte del giardino che avevano ormai coperto gran parte della recinzione. Certo era che per guardare al di là della rete bisognava arrampicarsi. “Ma dove? Inoltre, dov’era finita quella figura maschile?”, mi chiesi. Forse avevo avuto una visione… Poi, ecco che avvertii una mano sfiorarmi la spalla destra. Una voce:
<<Carlotta, Carlotta sei proprio tu?>>. Mi voltai, sussultando dalla paura. Come non riconoscerlo? Era Angelo, era proprio lui, il mio primo amore.
Una pausa di silenzio intercorse fra noi… Erano trascorsi ben vent’anni dall’ultima volta che ci eravamo visti, nessuno aveva più saputo nulla l’uno dell’altra, o questo avevo sino ad allora creduto, perché poi seppi che Angelo mi aveva sempre aspettato, chiedendo di me, anche alla zia.
Prima di ripartire per il servizio militare, mi aveva detto che, quando sarebbe tornato dal congedo militare, ci saremmo sposati. Non gli avevo creduto perché ero troppo giovane per mantenere una promessa del genere.
Di tempo ne era trascorso ed erano cambiate tante cose. Angelo era diventato un bell’uomo e adesso era diventato anche maresciallo della Guardia di Finanza, ed io…. Ero cresciuta nel corpo ma, dentro di me, rimasta quella fanciulla di allora che credeva ancora nei sogni, alle fate dei boschi e all’albero della felicità.
In quell’incontro fatto di pochi istanti ma carico di emozioni, Angelo mi prese le mani e se li strinse forte al petto.
<<Carlotta, sposami. E’ da una vita che aspettavo questo momento>>.
L’avevo immaginata mille volte questa scena. Non volevo crederci, avevo sognato da sempre quel momento e, ora che il sogno si stava per avverare, non sapevo rispondergli o non potevo rispondergli. Guardandolo negli occhi, fui catapultata nel giardino dei ricordi…
Capitolo V
La decisione
Negli anni in cui Angelo era militare, io avevo conosciuto Enzo, un mio coetaneo, con il quale non mi sentivo impegnata sentimentalmente: il cuore apparteneva sempre ad Angelo.
Mia madre non capiva. A quei tempi, negli anni ’50, bisognava sposarsi presto per non rimanere “zitelle” a vita. Figuriamoci io, che ero l’ultima di cinque figli, cinque sorelle e un fratello. Mio fratello Diego, dopo la morte di papà, aveva preso il suo posto come capo famiglia. Aveva così avuto il compito assegnatogli da mia madre di accompagnarci tutte noi sorelle all’altare nel giorno delle nozze. Per tale motivo, la mamma ci esortava a non fare fidanzamenti lunghi perché mio fratello non poteva aspettare a lungo per sposarsi.
Inutili i miei rifiuti, nonostante avessi altri progetti per me, per il mio futuro, un futuro di “stilista”. Possedevo “l’arte nelle mani”; diplomata in taglio e cucito con ottimi voti vedevo già la mia vita proiettata in un’altra dimensione. Invece, niente di tutto questo. Avevano programmato già le mie nozze, e il mio futuro…
Terminato questo viaggio di ricordi, in quel presente, mi ritrovavo dinanzi al mio antico amore: come facevo a spiegargli la mia sofferenza, la solitudine, l’orgoglio ferito di una donna che non era stata padrona di decidere della propria vita, e neanche dei propri sentimenti?
Angelo aveva intuito dal mio sguardo che c’era un disagio, ma non aveva detto nulla; invece si era ricordato della passione per le viole mammole che avevo. Così mi disse di aspettare e di chiudere gli occhi. “Cosa gli passava per la testa?”, mi domandai. Lui, frettolosamente, raccolse un mazzolino di viole mammole legandole stavolta con un filo d’erba e me lo regalò, dicendo: <<Ricordi, Carlotta? Erano i tuoi fiori preferiti!>>. Incredibile, qualcuno stavolta li aveva raccolti per me! Li accettai, e le lacrime che rigarono il mio viso giunsero ad inumidire quel mazzolino…
Ci fu un lungo silenzio ma i nostri occhi parlavano chiaro: ci amavamo ancora.
Capitolo VI
Incontri segreti
I giorni successivi al nostro incontro furono momenti indimenticabili fatti di ricordi e profumo di viole mammole.
La casa della vecchia zia Maria era ritornata a rivivere, diventando il nostro luogo segreto d’incontro.
Angelo mi aspettò ogni giorno nel gazebo, sotto il pergolato dell’uva, con un mazzolino di viole mammole.
Furono momenti indimenticabili, ma dovevo rivelare ad Angelo la verità: appartenevo ormai ad un altro… La mia vita era nuovamente ad un bivio.
Fui egoista: in quei giorni mi nutrii del suo amore senza trovare il coraggio di parlargli né di rivelargli che non mi sarei più recata ai nostri appuntamenti segreti.
Ricordai, ancora una volta, quando anni prima, ci eravamo salutati con la promessa che da lì a qualche settimana sarebbe ritornato e mi avrebbe portato via. Anche quella volta ero stretta a lui, come quando mi stringevo a mio padre…
I nostri sguardi timidi e incantati ci fecero rimanere per qualche istante ancora isolati dal resto del mondo. Prima di andare via ,Angelo si voltò di nuovo verso quel luogo meraviglioso dove era sbocciato il nostro amore e, guardandomi negli occhi, mi disse:
<<Tieni, ho comprato questo profumo per te, di quella fragranza che tu ami tanto, profumo di viole mammole. Nella mia assenza ti basterà togliere il tappo e sentirne l’odore, ti terrà compagnia fino al mio ritorno, e ti farà ricordare dei nostri incontri, di quanto ti amo>>.
Che strano, i due uomini più importanti della mia vita erano legati dal ricordo delle viole mammole.
Angelo partì e con lui sparì per sempre anche la mia felicità.
Capitolo VII
Le Nozze e i ricordi del cuore
L’evento delle mie nozze è un ricordo vivido nella mia mente. Come non dimenticarlo? Piansi tutto il giorno.
Avevo indossato l’abito da sposa che mi ero cucita, profumandomi con poche gocce del profumo di viole che mi aveva regalato Angelo. Fino ad allora non avevo avuto il coraggio di aprire quella boccettina di profumo; sapevo che era troppo tardi: mi ero unita ad un uomo che non mi piaceva, che non amavo!
Invano il mio sguardo vagò tra gli invitati per trovare il suo volto, gli occhi verdi, la pelle ambrata ed i capelli nero corvino. Cercai lui, Angelo, la poesia di un attimo.
Enzo, mio marito, non seppe mai di noi due, o forse intuì che il mio cuore era appartenuto ad un altro…
Mi ritrovai ancora una volta come quando da bambina, guardavo fuori da dietro i vetri della mia finestra le stagioni che trascorrevano velocemente, gli alberi che ingiallivano e rinverdivano, gli uccelli che nidificavano ed emigravano. Così passò anche parte della mia vita.
Adesso sono passati molti anni dalla mia giovinezza, e la mia vita è stata allietata dai figli e dai nipoti, ma sul mio terrazzo non ho smesso mai di coltivare le viole mammole…
Angelo lo rincontrai per caso dopo tantissimi anni. Che emozione provai quel giorno! aveva i capelli di un grigio perla, ma vestiva sempre elegantemente e profumava di acqua di colonia. Rivederlo mi fece provare una certa nostalgia: ricordai infatti i nostri incontri segreti. Rivivo ancora oggi la scena: rimarrà impressa negli occhi e nel cuore.
In quell’ultimo nostro incontro, lui riuscì a leggere nei miei pensieri. Comprese. E, come sa fare un gentiluomo, accennò un sorriso e portò la sua mano fino al cuore!
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