Critiche d’Arte – Nuove Edizioni Bohémien – Edizione Speciale Marzo 2014
A cura di Luigi Tallarico
Potrebbe essere accettata criticamente la considerazione secondo cui l’artista sia stato “eretico”, in alcune opere, teoricamente spiegate, ma fatto che il termine di eresia venga inteso, dal latino cristiano come “scelta” e perciò in contrasto con l’andamento “manierista e bigotto” (R. Longhi) del tempo e anche in polemica con il clima della controriforma, insieme rigido e ossequioso ai precetti.
La tendenza dei mass media è portata a rivisitare le vicende biografiche dei noti personaggi della cronaca, anche della storia e della storia dell’arte, inseguendo la tecnica e il gusto della fiction televisiva, in cui come si sa vengono evidenziati quegli aspetti éclatants, che possano far presa sugli spettatori, senza trascurare un sottofondo di attualità ideologica e di costume, fuori del tempo degli atti. In questa prospettiva, dopo la fiction su Boccioni, non poteva mancare il riesame della vicenda umana ed artistica di Michel Angelo Merisi (detto Caravaggio, dalla città di provenienza della famiglia, non di nascita), così come prospettata dalle scene televisive del TG!, ossia all’insegna – come è stato detto- della violenza e della “rissosa prepotenza”:aggressività che sarebbero state praticate dall’artista “manigoldo”, sotto la protezione di principi e banchieri, soprattutto di cardinali rivali e in lotta tra Francia e Spagna, tra vicende storiche mal subite e novità estetiche non accettate.
Senonché il telefilm, forse per le necessità sceniche, ha scambiato la ricerca estetica e storica con le maldicenze diffuse dal Bollori, un critico neo-classico dissenziente dalle novità caravaggesche, attribuendo gli estremismi e le licenze del suo tempo allo stesso Caravaggio, al quale i critici laureati dei nostri giorni hanno disinvoltamente assegnato il nome di “Che Guevara” della pittura e persino la “rinomanza” di “no global”. Tuttavia, pur essendo consapevoli che la vicenda umana e storica non è disgiunta da quella artistica, dobbiamo confermare che l’opera d’arte, per la ricchezza dei significati di ordine storico- come tali spiegabili nel segno dell’attuale- è sempre stata considerata disponibile all’uso culturale e sociale di tutte le epoche. In conseguenza agli usufruitori del nostro tempo non deve essere negata quella che si chiama la “rimessa in codice” del manufatto d’arte, nel senso che l’opera va considerata nel tempo storico in cui viene esaminata, proprio per la necessità di aggiornare, – nelle età diverse- la sua visibilità, insieme spirituale o culturale, estetica o pragmatica. E questo avviene perché- gentilianamente- il creatore pone nella storia “lo stesso pensiero di cui l’opera è l’attuazione” nel tempo. E se l’interpretazione dei tempi muta, il pensiero, non è detto.
D’altra parte è da considerare che se è dovuto- come indubbiamente è dovuto- un rispetto all’opera creata, non è lecito criminalizzare l’estetica sulla base di un giudizio sommario, peggio moralistico, in special modo se un tale giudizio- a fronte di una non chiarita situazione storica ed estetica-vuole screditare, non soltanto il comportamento caratteriale del personaggio in esame, ma anche le sue novità espressive, tese alla ricostruzione della realtà in diretta, attraverso i principi di luce ed ombra, che erano elementi di novità e che si opponevano alle mode del tempo.
Tuttavia, anche ammesso che il protagonista in esame abbia interpretato nella vita quotidiana i caratteri propri del segno zodiacale della Bilancia (Caravaggio era infatti nato il 29 settembre 1571), ossia uno dei due poli caratteriali di “generosità e violenza”, sensualità e orgoglio, genialità e azzardo, continuità e velocità espressiva”, come rilevato da un grafologo del tempo “non al corrente del personaggio”, riteniamo comunque che il Merisi non avrebbe dovuto subire gli addebiti attribuitigli dal telefilm, atteso il fatto che per i “fattacci”di Campo Marzio aveva agito per legittima difesa, in un duello consentito dalla legge, dopo essere stato provocato da Ranuccio Tomassoni, che nel duello vi restò morto”, come riportava il verbale della gendarmeria. Infatti il Merisi non si era difeso in Tribunale, in quanto costretto a scappare, per evitare l’ira della ghenga dei Tomassoni, una famiglia di attaccabrighe e di dubbia reputazione, i cui componenti, facendo parte della fazione filo-spagnola, non ammettevano che il Caravaggio dovesse lavorare nella Cappella contarelli in San Luigi dei francesi. Era il tempo in cui purtroppo in Italia, divisa dalle fazioni e priva di un sentimento unitario nazionale, si diceva con cinismo: “Franza o Spagna, purché se magna”.
In verità le accuse del pretesto “maledettismo” caravaggesco, nella vita e nell’arte, sono purtroppo continuate fino all’inizio del Novecento, allorché la ricerca dei documenti e le approfondite indagini storiografiche hanno operato un vero e proprio revirement delle tesi esaltate nell’età romantica, come si sa attenta al soggettivistico “umor bizzarro”. Sicché la critica, dopo aver accettato la verità storica, ha convenuto che in termini estetici la sua “colpa” è consistita nell’aver guardato –in controtendenza rispetto ai tempi- una realtà in presa diretta, senza peraltro esaltare il momento “basso” dell’umano-troppo umano, avere interpretato la rigorosità dei testi sacri. Con il risultato che le tanto sottolineate “stranezze” del genio avevano avuto invece il merito di avviare un rinnovamento stilistico, proficuo per la dinamica sociale e i mutamenti ciclici dell’arte, soprattutto una rilevanza nella salvaguardia dell’ortodossia della Chiesa, non più identificabile nelle immagini iconografiche e linguistiche del tempo.
In conseguenza Caravaggio, sostenitore del nuovo impegno stilistico e, pare, militante degli Oratoriali, non poteva dimostrare quella vocazione dissacrante che gli è stata attribuita, avendo avuto di mira l’affermazione e dei motivi, sostenuti dall’ala pauperista del suo ambiente religioso, molto vicina “al nucleo politico di Papa Clemente VIII, che risentiva dell’influenza dell’Oratorio di Filippo Neri” (M. Marini). Da queste anticipazioni è nata la recente indagine storica di Maurizio Calvesi, che ha sviscerato i temi religiosi, posti in evidenza negli ultimi cento anni dagli esegeti caravaggeschi, dal Friedlander al Panovsky. E pur indulgendo nella interpretazione delle simbologie, fino al punto- è stato detto- di tramutare il Merisi in un devoto molto “concettista”, nonché in un pittore troppo legato alle tranches de vie, in effetti lo storico delle “realtà” di Caravaggio ha verificato la sua profondità religiosa, identificando in opere importanti, per altezza di stile e profondità ecumenica, i simboli evangelici della Povertà e della Grazia, nonché i motivi cristologici e mariani, così come confermati dalla riforma d iCarlo Borromeo, che sarà elevato alla santità, e di suo cugino, il cardinale Federigo Borromeo.
Da questo connubio ideale (non sappiamo se esistesse un vero e proprio sodalizio) sono nati i simboli religiosi caravaggeschi, dettati da un bisogno di “aggiornamento” o molto probabilmente da una vera e propria proposta di “riforma” dei canoni, per cui le novità sono apparse fuori corso agli abitués di immagini stilisticamente idealizzanti e, certamente “troppo severe” a quei committenti altolocati che sotto il regno di Paolo V, papato “ferreo e fastoso”, scrive il Longhi, rifiutavano l’impostazione ideologica e pauperista, proposta dall’ambiente degli Oratoriali. Da qui il rifiuto delle opere del Merisi da parte di certa curia, non tanto perché i soggetti mancassero di “decoro”, come andavano dicendo il Bollori e il Baglione, quanto per le paventate “eresie” di cui il Caravaggio si sarebbe macchiato. In effetti, nella “Madonna del serpe”, che si trova nella Galleria Borghese, a Roma, con il titolo originario di “Madonna dei Palafrenieri”, Caravaggio interpreta il dogma dell’Immacolata, che vuole Maria concepita dall’abbraccio casto di Gioacchino ed Anna (tesi nuovissima, come si sa, rifiutata dai protestanti), raffigurandola come l’immagine simbolica della Chiesa. Infatti nel dipinto, Caravaggio ritrae la Madonna nell’atto di schiacciare il serpente, cioè il peccato e l’eresia, mentre la Genesi (capitolo 3, versetto 15) fa risalire l’atto direttamente all’azione del Cristo.
D’altra parte l’ardita iconografia della “Madonna dei Palafrenieri” aggiunge, alla innovazione stilistica, la tempestiva diffusione visiva di un nuovo dogma, che vuole Sant’Anna, non solo portatrice di Grazia, perché genitrice di Maria, ma partecipe –con la posa delle mani- del ruolo basilare che viene riservato alla Madonna, cioè alla Chiesa, nella redenzione del peccato e dell’eresia. Anche la “Madonna morta”, ora al Louvre, aveva subito una rimozione dagli altari, in quanto le sue fattezze anatomiche sarebbero state riprese da una popolana annegata, mentre invece a Caravaggio il modello di una donna “gonfia” serviva per dimostrare che Maria (secondo un’ortodossia accettata dal Merisi) era incinta della Grazia divina.
Ma al di là delle interpretazioni teologali, appare accertato che Caravaggio, aperto al rinnovamento dei valori cristiani, umani e sociali, non debba essere considerato un ideologo, tanto meno, come è stato detto, un agit-prop estremistico; mentre potrebbe essere accettata criticamente la considerazione secondo cui l’artista sia stato “eretico”, in alcune opere, teoricamente spiegate, ma fatto che il termine di eresia venga inteso, dal latino cristiano come “scelta” e perciò in contrasto con l’andamento “manierista e bigotto” (R. Longhi) del tempo e anche in polemica con il clima della controriforma, insieme rigido e ossequioso ai precetti. D’altra parte non va ignorato, al lume di questo nuovo e diverso linguaggio caravaggesco, l’attegiamento tenuto dall’artista in una Roma che accettava la restaurazione dell’ “ideale classico” di Annibale Carracci e dei francesi-romani, da Lorrain a Poussin, nonché la parlata locale emiliana del Guercino e del Reni, distaccate dalla realtà. E questo perché il Merisi, allorché mostrava nella “Madonna di Loreto” le “unghie sporche e i piedi infangati” dei pellegrini, non usava le “parole fuori legge” per meno anticonformismo, come del resto viene consigliato dalla filosofia del linguaggio (e Platone lo consiglia in “Cratilo”), ma affermava piuttosto i termini del nuovo linguaggio, teso ad unificare pittoricamente il mondo umano e divino. Infatti la visione ideale della “Madonna di Loreto” e la forma levigata delle figure divine non entrano in conflitto con il realismo popolare dei pellegrini, dai piedi sporchi e dalle facce rugose, avendo il Merisi compiuto un’efficace operazione pittorica, mediante l’unificazione della luce, che congiunge la verticalità geometrica del blocco della Madonna e del Bambino con la diagonale dei pellegrini, in posizione obliqua e in proiezione spaziale. L’unità dell’opera viene infatti risolta dall’armonia cromatica delle due visioni, dove il bianco delle vesti e il carnicino vengono mantenuti nella stessa tonalità di luce temperata, restituendo in termini omogenei il complesso mondo, appunto, terrestre e divino. In effetti il Caravaggio, con la sua pittura sacra o profana, comunque legata al rinnovamento delle arti, non postulava “devozione o nobiltà” (Longhi), ma da operatore certamente chiedeva e chiede attenzione e rispetto per il suo linguaggio, consapevole che la nova parlata sarebbe stata tanto sfavorevole alle consuetudini della sua epoca, quanto innovativa rispetto al tempo a venire.
Social Profiles