Arte: Vita dell’artista – Nuove Edizioni Bohèmien – Gennaio 2014
A cura di Alba Maria Massimino
“… Molto apprezzate dai turisti furono le immagini di briganti dai quali non si evidenziava nessun diretto riferimento al brigantaggio politico degli anni della repubblica romana…”
Dedito all’arte sin da giovanissimo, Bartolomeo Pinelli nasce il 19 novembre 1781. E’ figlio d’arte. Il padre, infatti, lavorava su terracotte devozionali e, da umile scultore, alimentava quel desiderio artistico che il giovane Bartolomeo sentiva crescergli dentro. Modellava e disegnava sotto la guida del genitore che lo indirizzava, più che ad una resa pittorica, al possesso plastico della realtà. Si sa che nel 1792 era con la famiglia a Bologna e, nel 1798, a Roma, allievo dell’accademia del nudo, seguito da F. Giani. Fu avviato al gusto neoclassico imperante che lo sollecitava a ridurre il soggetto, all’interno di un segno continuo e ben definito, trattando il varo in maniera eroica, secondo i canoni del periodo.
Nel 1799 prese parte alla spedizione militare organizzata dalla repubblica romana contro Civitavecchia, avversa ai francesi. Divenne disertore, dandosi alla macchia per qualche mese, nascondendosi nelle campagne maremmane. Al rientro, a Roma collaborò con Franz Kaisermann, pittore svizzero, dedicandosi all’attività di illustratore e macchiettista. Da questa sua disposizione nacque la serie delle incisioni: nel 1808 realizzò, infatti, quelle sui costumi romani che furono molto apprezzati, mentre nel 1811, quelle sull’Eneide. Disegnò, per tutto l’intero anno e quello successivo, episodi della storia greca ispirandosi ai dettami winckelmanniani della “precisa determinazione di quei contorni e delineamenti, donde nascono quelle apparenze che noi chiamiamo le belle forme”. Si lasciò prendere pure dall’interesse per la storia della sua città, con i suoi personaggi da raccontare, che gli fornirono materiale ricco per le sue opere. Oltre ai costumi, infatti, illustrò le avventure di Giuseppe Bernieri e di Meo Patacca, giovanotto romano, quest’ultimo, innamorato, superstizioso e gradasso. Del 1821 è l’opera “La mossa dei Barberi “, nella quale l’artista dipinse un momento culminante del carnevale romano. Il dipinto gode di due atmosfere, l’una opposta all’altra. In una, ben visibile in primo piano, la folla si accalca, con la presenza di personaggi carnascialeschi che movimentano la scena, quale il conte Saetta che con una gran lente osserva il soldato che con il suo fucile gli sbarra la strada e Pulcinella che tiene in bella mostra il cestello con i maccheroni e che, insieme con altre maschere, tutte rigorosamente vestite di bianco, creano una macchia chiara. Questa si contrappone all’altra parte dell’opera che è scurita dal nuvolo grigio che si sviluppa alle spalle della folla, ordinatamente seduta, che col fiato sospeso, osserva i cavalli che iniziano la corsa. Il Pinelli, in quest’opera, molto probabilmente, si ispirò ai dipinti dell’amico Géricault, specialmente nel gruppo del barbero imbizzarrito e del barbaresco che cerca di domarlo. L’artista francese, infatti, nel 1816 era stato a Roma e anch’egli aveva dipinto la corsa dei Barberi.
L’artista realizzò altre opere nello stesso anno e in quello successivo. Sono datati, infatti, del 1821 e del 1822 i disegni a china acquerellata in seppia su carta e quelli in acquarello su carta, riguardanti la vita e le azioni del brigantaggio, che, nelle regioni dell’Italia centro meridionali, arrivò all’apice del biennio 1798 – 1799, quando, all’occupazione francese di Roma, si costituì un governo rivoluzionario e i partigiani lealisti presero la guida delle bande dedite al saccheggio ed alla rapina, aiutati dagli inglesi e dai Borboni. Solamente come personaggi privi di scrupoli, molto apprezzate dai turisti, furono le immagini dei briganti dai quali non si evidenziava nessun diretto riferimento al brigantaggio politico degli anni della repubblica romana.
Gli anni tra il 1826 e il 1834 furono i più ricchi della sua attività. L’ artista, infatti, oltre ad incidere cento stampe per l’Orlando Furioso, Illustrò La Divina Commedia, impegnandosi, al tempo stesso, agli argomenti classici con il “Telemaco” di Fénélon e la “Mitologia”, riproponendo il suo tema preferito: “I sette colli di Roma”, in una serie di stampe paesistiche, concludendo poi, nel 1834, con il Don Chisciotte. Morì, <<crepato pe’ causa d’un bocale>> – come scrisse il poeta Belli, il primo Aprile del 1835.
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