Recensioni / Cinema: La Pelle dell’Orso
A cura di Vittorio De Agrò
Il biglietto d’acquistare per “La Pelle dell’Orso” è: Omaggio (Con Riserva)
“La Pelle dell’Orso” è un film del 2016 diretto da Marco Segato, scritto da Marco Segato, Marco Paolini, Enzo Monteleone, tratto dall’omonimo romanzo di Matteo Righetto, con: Marco Paolini, Leonardo Mason, Lucia Mascino, Paolo Pierobon.
Siamo negli anni Cinquanta, in un villaggio nel cuore delle Dolomiti vivono Domenico(Mason), un ragazzo quattordicenne sveglio ma introverso, e il padre Pietro(Paolini) ex veterano di guerra e galeotto oltre che consumato dal vino, che per campare lavora alle dipendenze dell’arrogante Crepaz(Pierobon). Il rapporto tra padre e figlio è aspro, difficile, i lunghi silenzi li hanno trasformati in due estranei, nonostante il secondo si sforzi di essere notato e brami un gesto d’affetto.
Una notte la tranquillità della valle viene minacciata dal diaol, il diavolo, un orso vecchio e feroce che ammazza una vacca dentro la stalla. La comunità è in preda alla paura e non la forza di reagire. Una sera all’osteria in un scatto d’orgoglio Pietro lancia una sfida a Creapaz: ammazzerò l’orso in cambio di seicentomila lire. La sfida viene raccolta tra le risate e scherno generale.
Pietro volendo riscattare il suo passato, decide la mattina dopo senza avvisare neanche il figlio, di partire per la caccia all’orso. Domenico lo viene a sapere e decide di seguirlo. Padre e figlio si immergono nei boschi, iniziando più che una dura e drammatica caccia, la riscoperta l’uno dell’altro. A poco a poco si riavvicinano, si riconoscono e il muro che li separava si sgretola avendo come sfondo la bellezza silenziosa, spettacolare e pericolosa della natura.
Nelle intenzioni degli autori il film dovrebbe avere la doppia chiave di lettura drammaturgica sia di film di formazione del giovane protagonista e della possibilità di conoscere e appianare i contrasti con il padre e dall’altra parte di evocare nello spettatore il genere western però ambientato tra le Dolomiti.
Se il primo obiettivo si può ritenere raggiunto grazie a un’azzeccata scelta strutturale, stilistica e registica dove sono esaltati più i silenzi, gli sguardi e la fisicità dei due attori sulla parola riducendo al minimo i dialoghi, creando un convincente e coinvolgente mix emozionale.
Il secondo obiettivo di realizzare un western montanaro risulta debole e troppo sbiadito. La caccia all’orso vero e imponente coinvolge poco lo spettatore preferendo concentrarsi sul rapporto conflittuale tra padre e figlio.
Potendo contare sul carismatico e talentuoso attore teatrale Marco Paolini, l’esordiente Marco Segato firma un film più teatrale che cinematografico accendendo i fari sulla coppia di bravi protagonisti, però a scapito di un brioso e avvolgente ritmo.
Il film così risulta intenso e autentico sul piano umano, ma eccessivamente statico nello sviluppo.
Le Dolomiti e i suoi paesaggi sono parte integrante del racconto lasciando un segno tangibile e forte nello spettatore.
Il finale, anche se tragico, commuove senza cadere nel retorico e nell’eccessivo, consegnando allo spettatore una storia semplice e significativa allo stesso tempo.
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