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Recensione /Eventi: Il Prigioniero Coreano
A cura di Valentino Eletti

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Il prigioniero coreano, un film di Kim Ki-duk. Con Ryoo Seung-bum, Lee Won-gun e Kim Young-min. Drammatico, 114’. Corea del Sud
Sinossi:
«Fai attenzione: oggi la corrente va verso Sud», lo avvisa una sentinella, ma a fare attenzione, a farne sempre molta, il pescatore Nam Chul-woo ci è abituato. Del resto, non puoi permetterti distrazioni quando abiti in un villaggio della Corea del Nord e ti muovi ogni giorno sulla linea di confine. Confine d’acqua, nel caso di Nam, ed è proprio l’acqua a tradirlo: una delle reti, infatti, si aggroviglia attorno all’elica della sua piccola barca, il motore si blocca e la corrente che «va verso Sud» trascina lentamente (inesorabilmente) il povero Nam in zona nemica… Si apre così Il prigioniero coreano, attesissimo ritorno di Kim Ki-duk alla narrazione politica. Un dramma che sviluppa e moltiplica il tema del doppio, così com’è doppia la Corea, raccontando intensamente una grande storia collettiva attraverso la storia (l’innocenza) di un singolo individuo. Riuscirà Nam, dopo pressanti interrogatori, a convincere le forze di sicurezza sudcoreane di non essere una spia? Ma soprattutto: riuscirà Nam, dopo il proprio faticoso rilascio, a convincere il potere nordcoreano della propria integrità?E’ rimasto ancora quello che era, cioè un bravo cittadino devoto, o l’infezione del capitalismo («Più forte è la luce, più grande è l’ombra») lo ha contaminato per sempre? Lontanissimo dalle tinte forti dell’Isola o di Moebius, Kim Ki-duk parla del presente, parla di una nazione divisa e in perenne stato di guerra, utilizzando – ovviamente a modo suo – la grammatica del thriller.
Recensione:

Il film si apre con una giornata qualsiasi di Nam Chul-woo, pescatore nordcoreano che conduce una vita umile ma felice. Ha una figlia piccola e una moglie, parte sempre prima dell’alba per mettere in moto la barca e pescare. Ogni giorno raccoglie le sue reti sfiorando l’incerto confine d’acqua che divide la Corea del Nord da quella del Sud, il così detto Regno Eremita dall’occidentalizzata democrazia asiatica.
Come in tutte le storie un giorno questa sua routine viene incrinata.
L’elica della barca si impiglia nelle reti, il motore si fonde e la barca va alla deriva. Alla deriva verso quello stato straniero e incomprensibile che è la Corea del Sud.
E’ questo l’inizio dell’ultimo film dell’acclamato regista sudcoreano Kim Ki-duk. La pellicola è del 2016 ed è stata già presentata al festival del cinema internazionale di Toronto e a Venezia.
Il film, che ha una struttura narrativa cristallina, come quella di una fiaba, seguirà le vicende del pescatore nordcoreano che, non appena toccherà il suolo straniero, diventerà, a tutti gli effetti un ‘prigioniero’. Lo scontro appare evidente fin dal primo momento dell’interrogatorio a cui viene sottoposto, le autorità sudcoreane non riescono infatti ad accettare che qualcuno possa essere arrivato in Corea del sud per un puro caso. Ci deve essere sicuramente un motivo, una ragione politica dietro l’incidente avvenuto alla sua barca. Tentano quindi di ridurlo ad una delle due uniche categorie che conoscono: quella della spia nordcoreana arrivata nel sud per infiltrarsi e quella del rifugiato che scappa da un regime oppressivo e inumano. Nam eppure sa di non ricadere in nessuna delle due. Lui è un semplice pescatore che vorrebbe solo tornare a casa sua. E’ questo suo candore naive che lo rende quasi immune alle violenze che sarà costretto a subire, e che subisce solo per il fatto di trovarsi al centro di una tempesta tra due sistemi ideologici, quello comunista da un lato e quello liberale dall’altro. Il regista torna quindi a macchiare le sue pellicole di una tinta più palesemente politica, ancorata al contemporaneo. E, con tutti possibili distinguo, è palese che questo sia un film che parla a tutto mondo moderno e racconta della portata distruttiva che delle differenze ideologiche possono causare sull’individuo, sul singolo, e, come nel caso del film, sul pescatore nordcoreano.
Per rispettare la perfetta simmetria narrativa del film, ma senza voler rivelare troppo della trama, si può dire che Nam riuscirà a tornare nella sua patria, ma che anche lì, come in un gioco di specchi, dovrà affrontare un apparato di controllo invadente e violento.
In ultimo si può dire che regista è riuscito a comporre un film che è allo stesso tempo una favola tragica con qualcosa di kafkiano, e che parla della lotta, sempre inane e sproporzionata, che il singolo deve intraprendere contro l’ideologia.