Recensioni /Eventi: Ritorno in Borgogna
A cura di Vittorio De Agrò
Il biglietto d’acquistare per “Ritorno in Borgogna” è: Di pomeriggio.
“Ritorno in Borgogna” è un film del 2017 diretto da Cédric Klapisch, scritto da Cédric Klapisch, Santiago Amigorena, con : Pio Marmaï, Ana Girardot, María Valverde, François Civil, Jean Marc Roulot, Karidja Touré, Florence Pernel, Jean-Marie Winling, Eric Caravaca.
Sinossi:
Ritorno in Borgogna vede protagonisti tre fratelli proprietari di un grande vigneto nella regione francese. Informato della malattia terminale del padre, Jean(Pio Marmaï) torna a casa dopo dieci anni di assenza per aiutare la sorella Juliette (Ana Girardot) e il fratello Jérémie (François Civil) nella gestione della tenuta di famiglia. Ricostruire il legame non è facile e i rapporti ormai incrinati minacciano di interferire nella raccolta. La morte del padre poco prima della vendemmia infatti, investe i tre figli di responsabilità più grandi di loro. Con l’avvicendarsi delle stagioni e la collaborazione costante, i tre aspiranti viticoltori riscoprono e reinventano i loro legami familiari, grazie alla passione per il vino che li unisce fin da bambini.
Se amate vivere in città perché desiderat ogni comodità, il caos non vi turba e soprattutto vi fa sudare freddo il solo pensiero di sporcarvi i costosi vestiti e le scarpe firmate con la polvere della terra, allora “Ritorno in Borgogna” non è decisamente il film adatto a voi.
La vita agreste si ama o si detesta, non esistono vie di mezzo.
Oggi molti professionisti sognano e dicono, almeno a parole, di voler lasciare la rumorosa e inquinata città per trasferirsi armi e bagagli nella quiete e sana campagna.
Ma quanti poi, in concreto, sono quelli che compiono realmente questo cambiamento così radicale? Pochi, davvero pochi.
Chi scrive, prima d’essere un improbabile critico cinematografico, è stato ed è soprattutto un produttore agrumicolo, che insieme ai suoi due fratelli, tenta di condurre con tanta fatica e rare soddisfazioni economiche, da vent’anni, l’azienda agricola familiare lasciata in eredità dal comune padre.
Avrete quindi compreso da questa mia lunga premessa, poiché al sottoscritto invece la visione di “Ritorno in Borgogna” abbia suscitato, anche se a tratti, delle belle e sincere emozioni e soprattutto evocato tanti e vividi ricordi.
Cedric Klapisch, alla sua decima fatica cinematografica, ha voluto inserire e fondere insieme due tematiche a lui molto care: l’amore per il vino e per la Borgogna trasmesso dal proprio padre e il desiderio di raccontare, mostrare ed analizzare le dinamiche e i conflitti affettivi all’interno di una famiglia.
La malattia e morte di un genitore, è un incipit drammaturgico già visto se non abusato in precedenti pellicole, ma risulta necessario ed utile in questo caso per motivare il ritorno a casa di Jean, che appare un po’ “un figliol prodigo “e un po’ “Ulisse” in versione francese.
È un ritorno fisico quanto soprattutto esistenziale per Jean, che dopo tanto peregrinare necessità di stabilità per comprendere le vere priorità della propria vita.
È un ritorno al nucleo familiare, alla condivisione con i due amati fratelli ed alle tradizioni della famiglia rappresentante dalla conduzione e coltivazione dei vigneti di famiglia da parte dei tutti e tre fratelli.
Klapisch opta per uno stile e impostazione registica quasi da docufiction, almeno nella prima parte, per far conoscere all’ignoto pubblico prima la difficile, lunga e laboriosa fase del raccolto dell’uva e poi la successiva vendemmia.
Allo stesso tempo queste fasi rappresentano le delicate e sensibili metafore di quanto possa essere arduo e faticoso elaborare la morte di un padre per i figli.
Una scelta drammaturgica ed autoriale che si rivela solamente in parte convincente, dando troppo spazio e tempo alla parte “informativa” sulla vita dei campi, senza essere però mai incisiva ed avvincente
Lo spettatore poco avvezzo alle problematiche agricole, avrà probabilmente più di una difficoltà a sentirsi coinvolto dalle vicende lavorative e poi intime di ciascun fratelli, impegnati da una parte a trovare i soldi per pagare la costosa successione e dall’altra di voler continuare la tradizione familiare, lavorando duramente nel vigneto per avere una vendemmia di qualità.
Più che un ritorno, nella seconda parte il film diventa più una richiesta di “ripartenza” quando dall’Australia arrivano Alicia(Valverde) e suo figlio, l’altra famiglia di Jean, entrambi desiderosi di sapere quale scelta di vita l’uomo opterà alla fine.
I tre fratelli sono chiamati a guardarsi dentro e infine a confrontarsi sinceramente, chiudendo così ogni frizione e rimpianto con il passato e gettando le basi per un futuro solido e condiviso.
La seconda parte è sicuramente più vivace, intesa, brillante sia come pathos che come ritmo, avendo la sceneggiatura dato più spazio all’approfondimento psicologico e caratteriale dei personaggi, permettendo ad ogni attore del cast di poter dimostrare il proprio talento oltre che personalità scenica ed umanità.
Merita una menzione speciale Maria Valverde per la sua ispirata e sentita performance di Alicia. Il suo ingresso sulla scena, segna un netto cambio di passo, assumendo il film maggior forza, vigore, slancio e soprattutto empatia con lo spettatore.
Si può anche fuggire dall’altra parte del mondo illudendosi di non dover fare più i conti con il proprio passato, ma come ci insegna il tenero e commovente finale è proprio quando decidi di tornare e di liberartene, allora sì che non c’è più motivo per ripartire stavolta veramente da persona libera e serena.
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