Memorie di un personaggio
A cura di Giovanni Vecchio
Per ricordare Anita Garibaldi, donna indomita e ribelle …narrerò di un’amazzone intrepidae mai vinta, se non dalla morte, che sola dorme, tra le ombre cupe dei secolari pini ravennati.
(da “Pianto per Anita” di Pinella Musmeci, Anti-heroide, Acireale 1994).
Tra le figure del Risorgimento italiano quella di Anita Garibaldi (all’anagrafe Ana Maria de Jesus Ribeiro) è certamente tra quelle più affascinanti.
Era nata a Morrinhos presso Laguna in Brasile; orfana di padre, a 14 anni era andata in sposa al calzolaio Manuel Duarte de Aguiar. Questa circostanza, non accolta come vera dal figlio Menotti nato dopo l’unione di Anita con Giuseppe
Garibaldi, è stata confermata, invece, da un atto di matrimonio e dalle Memorie
dello stesso eroe popolare.
L’incontro con Garibaldi avvenne all’età di 18 anni nella sua casa. Era il 1839 e da allora quella donna indomita e ribelle oltre che ottima cavallerizza, sfuggendo alle truppe imperiali brasiliane che la tenevano prigioniera, si unirà a Garibaldi a Vicaria e nel 1840 nascerà il primogenito Menotti.
Appena dopo il parto sfuggì di nuovo alla cattura saltanto con il bimbo in braccio da una finestra e rifugiandosi con il cavallo e il neonato in un bosco dove rimase per quattro giorni, senza alcuna
alimentazione. Nel 1841 Garibaldi lasciò il Brasile e si spostò a Montevideo in Paraguay, dove resterà per sette anni con Anita impartendo lezioni di francese e matematica. Il giorno 26 marzo 1842 don Zenon Aspiazù della parrocchia di San Francesco di Assisi in Montevideo autorizzò il matrimonio di “Don José Garibaldi natural de Italia, hijo legittimo de don Domingo Garibaldi y de Dona Ana Maria de Jesus natural de la Laguna en el Brasil hija legittima de Benito Riveiro de Silva y de Dona Maria Antonia de Jesus”, come si legge nell’estratto dell’atto di matrimonio rilasciato l’8 febbraio 1881 dal parroco Martin Perez, la cui firma risulta legalizzata dal Vice Console Perrod.
Quest’atto toglie ogni dubbio e smentisce le voci secondo le quali Anita fu una semplice “compagna” di Giuseppe Garibaldi. Nacquero poi nell’ordine Rosita nel 1843 (morta a soli 2 anni), Teresita nel 1845, Ricciotti nel 1847.
Nel 1848, l’anno fatidico delle rivoluzioni europee, Anita si imbarcò con i figli per Nizza e venne ospitata dalla madre di Garibaldi. Lo stesso condottiero arriverà a parte con un bastimento.
Diciamo subito che Garibaldi per potersi sposare dovette dichiarare che era certo della morte dell’ex marito di Anita, cosa che invece non risulta affatto sicura e di questo c’è un’eco nelle sue Memorie, quando dopo la morte di Anita a soli 28 anni, scrive: “Se vi fu colpa, io l’ebbi intiera! E.. vi fu colpa! Sì! … sì, l’annodavano due cuori con amore immenso, e s’infrangeva l’esistenza di
un innocente! … Essa è morta! Io infelice! E fui vendicato … Sì! Vendicato!”.
Nel 1849, comunque, Anita si lanciò di nuovo in combattimento con l’ardire e il coraggio di sempre e il 9 febbraio si trovava a Roma quando venne proclamata la Repubblica Romana, che avrà vita breve nonostante la strenua resistenza dei garibaldini, inferiori di numero e di mezzi rispetto alle truppe francesi e austriache. Ed ecco la famosa “trafila” ovvero la fuga dei garibaldini mentre lo stesso Garibaldi assieme ad Anita e al fedele Capitan Leggero cercava di raggiungere Venezia. Anita era di nuovo incinta e affrontò la fuga a piedi e a cavallo con grande difficoltà fino a quando non perdette conoscenza e il marito la portò con una barca nella fattoria del patriota Guiccioli, gestita dai fratelli Ravaglia, presso Mandriole di Ravenna, dove un medico non poté far altro che constatarne la morte. Era il 4 agosto 1849. Garibaldi dovette scappare assieme al fedelissimo Leggero per non incappare nella polizia papalina e il corpo della donna, per sfuggire alle perquisizioni poliziesche e non incorrere nelle gravi sanzioni previste per chi ospitava ribelli e cospiratori, fu sotterrato sotto la sabbia e ritrovato sei giorni dopo da alcuni ragazzini. Su questo rinvenimento ci sono due comunicazioni del Delegato A. Locatelli alla Direzione Generale della Polizia di Ravenna, il primo del 12 agosto 1849 descrive le circostanze del ritrovamento del cadavere e il secondo, ancora più completo, del 15 agosto nel quale si afferma, tra l’altro: “La donna era invasa da febbre perniciosa, siccome espresse il medico Nannini di Sant’Alberto, che trovatosi presente casualmente all’arrivo di esso, le tastò il polso. Asportata in una camera ed adagiata sopra un letto, le fu apprestato il soccorso di un bicchiere d’acqua, ma non appena sorbì pochi sorsi cessò di vivere. Eravi presente Garibaldi, il quale si sfogò in atti di inconsolabile dolore per tale disgrazia, e poco dopo si diede alla fuga raccomandando a quella famiglia di dare onorata sepoltura al cadavere … Ho subito spedito sul luogo un impiegato di polizia per procedere all’arresto dei fratelli Ravaglia, lo che è stato eseguito …”.
Appena undici anni di vita di Anita assieme all’uomo che l’aveva affascinata e con il quale c’era stata un’intesa a prima vista.
Il mito di Anita Garibaldi si è ampliato nel tempo e nel 1906 nacque il “Comitato nazionale per l’erigendo monumento ad Anita a Roma”, che pubblicava mensilmente un Bollettino. Il 7 luglio
1907, data centenaria della nascita dell’eroe popolare, il Comitato incaricò il noto scultore Mario Rutelli (bisnonno dell’uomo politico Francesco Rutelli, che fu collaborato dallo scultore originario
di Santa Venerina, allora di Acireale, Mariano Vasta), per la realizzazione di un grandioso monumento a Roma dedicato ad Anita, da collocare sul Gianicolo. La statua bronzea del monumento rappresenta Anita a cavallo, con la pistola in pugno e il figlio Menotti in braccio, mentre cerca di sottrarsi alla cattura nell’accampamento di Sao Luìs, accerchiato dalle truppe imperiali durante la Guerra dei Farrapos. Due giorni prima dell’inaugurazione arrivarono i resti di Anita esumati dalla tomba di Nizza, dopo una lunga trattativa con il governo francese, e con un treno speciale giunsero a Roma. Il monumento fu inaugurato dalla regina Elena di Montenegro il 4 giugno 1932 nell’ambito delle celebrazioni per il 50° anniversario della morte di Garibaldi.
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