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A cura di Antonino Leotta
Un “signore” della parola scritta. Un “signore” della comunicazione. La signorilità è una virtù sociale che sfugge alla superficialità dei cervelli limitati. Con la notizia di oggi ci accorgeremo di una assenza consistente nel nostro quotidiano letterario e, soprattutto, umano. L’elite del mondo dei cultori della produzione scritta ha già avuto di che lamentarsi dello “stile” di Camilleri. Lo hanno, talvolta, ritenuto fuori dei canoni, stranamente composito, quasi confuso nell’impasto di stili diversi. Bastardo. Perché così appariva all’occhio dei puristi il misto di giallo e tradizione popolare. Ma proprio questa è e resterà la sua peculiare caratteristica. Il “suo” stile passerà alla storia come elemento unico e irripetibile.
Coniugare l’intreccio del poliziesco con una vastissima penetrazione nel vissuto delle tradizioni popolari è riempire uno scrigno preziosissimo di una valore inestimabile.
Scorrendo le numerosissime pagine delle sue opere si ritrovano modi di vivere, usanze, aspetti sociali, rapporti di convivenza, modi di essere che appartengono alla gente di Sicilia. Camilleri non cita solo un nome, non riporta una figura solo per riempire l’andamento di un racconto. Ogni persona che entra nella vicenda anche per un solo istante e quasi per caso, viene osservata e descritta attentamente, posta in primo piano, se pur per un attimo, e destinata a rimanere nella storia nel totale rispetto della propria personalità.
In quanto all’andamento del racconto, l’estrosità nel nostro scrittore è imprevedibile e avvincente. Ogni episodio coinvolge e suscita l’interesse per raggiungere una conclusione che sveli ogni mistero, ogni aspetto impenetrabile. Ma quello che più emerge è l’originalità del linguaggio che traccia pennellate multicolori e, nel comporre la scena, introduce giudizi critici molto convincenti.
Mi piace concludere riportando una brano che mi capita aprendo a caso uno dei suoi scritti. Si tratta dell’apertura del capitolo “Quindici” di “Il cane di terracotta”:
“Dopo la cena coi Burgio si ritrovò a casa che manco erano le dieci, troppo presto per andare a corcàrisi. In televisione c’erano un dibattito sulla mafia, uno sulla politica estera italiana, un terzo sulla situazione economica, una tavola rotonda sulle condizioni del manicomio di Montelusa, una discussione sulla libertà d’informazione, un documentario sulla delinquenza minorile a Mosca, un documentario sulle foche, un terzo sulla coltivazione del tabacco, un film di gangster ambientato sulla Chicago anni Trenta, la rubrica quotidiana dove un ex critico d’arte, ora deputato e opinionista politico, sbavava contro magistrati, politici di sinistra e avversari credendosi un piccolo Saint Just e appetendo invece di diritto alla schiera di venditori di tappeti, callisti, maghi, spogliarelliste che con sempre maggiore frequenza apparivano sul piccolo schermo. Spento il televisore andò ad assittarsi sulla panchina della veranda…”
Ci mancherà il volto amico di Andrea. Un volto che ci dava serenità di approccio col nostro presente. Quell’oggi strano, inconcludente, scoraggiante, talvolta disumano, perverso, senza prospettive. Da affrontare con l’ironia camilleriana. Con quella saggezza antica e sempre attuale carica di tanta umanità.
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