ARTE
A cura di Alba Maria Massimino
“Una fama già predetta da Sara Bernhardt. L’attrice non si sbagliava: il 5 Giugno del 1897 si inaugurava presso il Salon Des Centes una esposizione di 448 pezzi a firma dell’autore…”.
Parte prima
“Ero felice di essere impegnato in un’arte per il popolo e non per i “ Salon”, un’arte a buon mercato e alla portata di tutti”. Così si esprimeva Alfons Mucha, che, come altri artisti suoi contemporanei, faceva parte di un movimento di idee a favore di un’arte sociale che venisse distribuita a tutti e che, come l’aria e la luce, fosse ovunque, nella casa dell’artigiano come in quella dell’artista.
Molti suoi lavori furono stampati sulle stoffe che servivano come complementi di arredo e per cifre non esose si poterono acquistare i paraventi decorati con i suoi disegni.
Mucha era nato a Ivancice, antica località della Moravia del sud, il 24 luglio del 1860, da un impiegato locale e dalla figlia di un mugnaio di Budison.
Importante per la sua formazione artistica fu il soggiorno a Vienna dove seguì un corso di pittura copiando varie opere di Makart.
Successivamente, e per un breve periodo, si stabilì a Mikulov, dove ritraeva i notabili del luogo. Fu qui che conobbe il conte Khuen Belassi, il quale, credendo nelle sue capacità artistiche, fece in modo che egli seguisse i corsi di pittura all’accademia di belle arti di Monaco.
A Parigi vi giunse nell’autunno del 1888.
Per un anno studiò all’Accadémie Julian e l’anno successivo entrò alla Colarossi.
Dal 1891 al 1895 collaborò con il “ Petit Francais Illustrè”, un giornale nato per i ragazzi e per il quale disegnò la copertina e le illustrazioni.
Sempre nel 1891 conobbe Paul Gauguin, con il quale spesso aveva il piacere di intrattenersi per parlare d’arte. Furono anni quelli di grande impegno artistico: in tutti i suoi lavori illustrati, emerge, con forza drammatica, quasi teatrale, la sensibilità dell’artista fusa alla pittura storica.
Egli liberava la sua arte accostando le forme Art Nouveau ad un realismo pittorico molto di moda intorno agli anni Venti.
Tra le opere più famose di Alfons Mucha si ricordano quelle realizzate per raffigurare il dramma teatrale di Gismonda, interpretato dalla grande attrice Sara Bernhardt.
Quando il primo gennaio del 1895 sui muri di Parigi apparve il manifesto, subito lo stesso divenne pezzo da collezione.
Si acclamava l’artista che, otre ad essere apprezzato per lo stile nuovo, affascinava per il suo modo di essere: per l’accento slavo, per l’abbigliamento particolare dato dalla camicia alla russa.
Il 15 febbraio 1897 si inaugurava una mostra alla galleria De La Bodinière, organizzata dal “Jornal des Artistes”.
Il catalogo portava come introduzione una lettera di Sarah Bernhardt del primo di febbraio: “Mio caro Mucha, mi chiedete di presentarvi al pubblico parigino. Bene, caro amico, seguite il mio consiglio: esponete le vostre opere ed esse parleranno per voi. Io conosco il mio adorato pubblico francese. La delicatezza del vostro disegno, l’originalità delle vostre composizioni, i bei colori dei vostri quadri e manifesti, tutto questo li sedurrà, e dopo la vostra esposizione predìco la vostra fama. Le mie mani nelle vostre, mio caro Mucha. Sarah Bernhardt.”
L’attrice non si sbagliava: il 5 gennaio del 1897 si inaugurava presso il Salon des Cent una esposizione di 448 pezzi, tra manifesti, calendari, illustrazioni.
La stessa personale fu esposta e presentata a Praga, Monaco, Bruxelles, Londra, New York.
L’anno successivo, manifesti e pannelli decorativi venivano esposti in Boemia ed in Ungheria. Contemporaneamente, Mucha preparava 134 litografie a colori per un volume pubblicato dall’editore Piazza. Un impegno artistico questo che sente di dover sviluppare ispirandosi all’arte dell’antica Bisanzio.
Il testo sembra immergersi nell’arte figurativa e quest’ultima sembra far parte del testo, grazie ad un cordone sottile utilizzato come motivo ornamentale. Mucha riesce così ad unire il tutto in una fusione artistica.
Le linee ondulate dell’acqua, raffigurate nelle stampe giapponesi, sono per l’artista un’altra fonte d’ispirazione per realizzare morbide ed ondeggianti chiome di donne, presenti nel suo stile Art Noveau.
In questo decollo artistico, l’anima di Mucha però da un po’ di tempo mostrava un grande inquietudine. L’artista infatti cominciava ad avvertire disagi per le frivolezze e le mondanità che distinguevano le sue opere. Nutriva la necessità di comunicare un messaggio più profondo, un ideale che da sempre aveva sentito dentro e che era stato schiacciato dal successo. Sentiva in cuor suo un forte desiderio patriottico e desiderava mettere il proprio operato a disposizione del popolo slavo.
Nella sua arte cominciò a servirsi del simbolismo per esprimere la realtà degli slavi. “L’attrazione per i simboli è una eredità di tutti gli slavi e anche noi siamo tra quei felici eredi. Per questo il linguaggio dei simboli è il mezzo più sicuro per comunicare i nostri sentimenti ai nostri fratelli slavi…”
Nelle sue opere Mucha voleva mostrare una maturità sofferente nel corpo e nell’animo, una umanità finalmente senza alcuna maschera che potesse copiare la realtà. Realizzò i sette peccati capitali dei quali ne furono citati solo tre, ma senza commento del pubblico.
Altri lavori, in gran parte in pastello, vennero realizzati carichi di tematiche tragiche e tristi. Queste sue idee furono ritenute superate dal suo stesso popolo.
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