Circolo Bohémien
A cura di Antonino Leotta
E’ stato presentato domenica 8 dicembre l’UNICUM 2019.
Parto da molto lontano per arrivare subito al presente.
Il primo film a colori che ho visto da ragazzo mi è rimasto molto impresso nella memoria. Si trattava di “COSI’ VINSI LA GUERRA” con DANNY KAYE. Un attore comico, cantante e ballerino. Ho visto, successivamente, altri due film con Danny Kaye: “SOGNI PROIBITI” e “PREFERISCO LA VACCA”.
Devo dire che le scenografie dei film con Danny mi hanno fatto sognare. Lo stile era quello della lunga tradizione dei musical di Broadway. Colori e luci e coreografie con danze meravigliose. Sino allora avevo visto solamente film in bianco e nero dove predominavano i dialoghi. Adesso lo splendore dei colori e lo scintillio delle luci che avvolgevano ballerini in variopinti costumi mai visti, ti trasferivano in un mondo fantastico.
Accenno al momento storico che si stava vivendo: il film fu girato mentre si concretizzava lo sbarco in Normandia (che avvenne nel giugno del 1944. Nel luglio del 1943 c’era già stato lo sbarco in Sicilia). Possiamo anche azzardare che negli Stati Uniti d’America era vivo l’interesse a sollevare il morale dei militari e delle loro famiglie dinanzi ai rischi del conflitto bellico. Il contesto dei primi film di Danny Kaye poteva contribuire al raggiungimento di questo obiettivo.
E aggiungerei che, in Europa, il Moulin rouge a Parigi cercava di imitare Broadway (un paio d’anni dopo nascerà il Lido ai Campi Elisi). Il Cafè de Paris a Piccadilly di Londra era stato bombardato dagli aerei tedeschi nel 1941 e c’erano stati oltre trenta morti e tanti feriti.
Il pallido riflesso di quelle luci arrivò in Italia, sempre in teatro, con Wanda Osiris. Abbiamo dovuto aspettare quasi la metà degli anni ‘50 per vedere qualcosa in TV. Ma, ancora, in bianco e nero. Intanto, col trascorrere del tempo, Garinei e Giovannini con le musiche di Armando Trovaioli provarono a creare il musicol in Italia. Agli inizi de ’70, ad esempio, venne fuori “AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA” e, poi, “RUGANTINO” e tutta la serie.
Per capire l’idea americana sulle grandi coreografie da sogno sullo schermo, noi italiani abbiamo apprezzato, nel ’68, la trama e i colori di “POLVERE DI STELLE” con Alberto Sordi e Monica Vitti.
Ma cosa c’entra tutto questo con l’Unicum.
Nel gennaio del 2004 ad Acireale una sorpresa: viene presentata la rivista “BOHEMIEN”. Una edizione con uno stile molto nuovo nel genere. Nell’editoriale viene anche usata più volte la parola “colore”. Nel primo numero, infatti, si affaccia timido il colore e, soprattutto, la combinazione dei colori. Che esplodono con meravigliosi effetti nei numeri successivi. In un crescendo incontenibile. Perciò ho accostato i colori di Bohemien al primo film a colori che ho visto da ragazzo.
Ma il valore in più della rivista Bohemien è il fatto che il colore si fa veicolo del pensiero. Quel pensiero che diventa creativo di mille forme. E genera l’arte. Una fusione -quella del colore e del pensiero- che esalta le espressioni più alte della creazione umana.
Devo subito dire che c’era già qualcosa nel dna di quella ragazza che lanciò una sfida alla cultura e alla società acese nel 2004. In casa, c’erano i dipinti di Mamma Alba e le stupende collezioni di papà Torrisi.
Ora capite le ragioni del colore.
Io conservo il primo numero del gennaio 2004 e altri cinque numeri di quel primo anno.
Guardavo a distanza. Timoroso dinanzi alla presenza produttiva di tanti artisti e scrittori. Poi, conobbi più da vicino Cristina, la ragazza che osò sfidare. Mi disse che mi faceva posto. Mi creava spazio. Ecco: lo spirito era proprio quello di “aggiungi un posto a tavola”.
Se permettete, accenno anche al momento storico che stiamo vivendo. Qualcuno dice che potrebbero venir fuori dei pericoli assai più gravi di quelli generati dalla seconda guerra mondiale. Da un lato i disegni occulti delle occulte lobby finanziarie che minano le democrazie alimentando idee sovraniste che spersonalizzano le persone. Dall’altro lato l’incombere deciso della distruzione del pianeta attraverso i disastri ambientali.
Dalle varie manifestazioni di protesta delle nuove generazioni in mezzo mondo, è venuto fuori uno dei tanti slogan: “la bellezza ci potrà salvare”. Quella bellezza curata dalla persona umana attraverso il pensiero e l’arte.
Proporre arte e pensiero è il tentativo del Circolo Bohemien acese.
I Bohemien si ritrovano l’uno accanto all’altro come attorno a un unico tavolo. Ognuno mette a disposizioni le proprie doti, le proprie qualità, i propri doni. E si combina lo sfavillio delle luci e dei colori. Non la forza dell’odio e delle armi ma l’energia dell’inventiva. La forza del pensiero che si manifesta e si esprime in mille forme diverse. In creazioni diverse.
Ho letto proprio in questi giorni una citazione dello strano Sartre: “siamo condannati alla libertà”. Una condanna che si impone come un forte imperativo categorico che ci spinge alla conquista della libertà. Il guaio è che non riusciamo ad avere una idea comune della libertà. Perciò Marleau Ponty rispose a Sartre che è più facile capire che “siamo condannati al buon senso”. Che -per me (ma non so se anche per Ponty)- potrebbe essere un sentimento forte che può esistere in ciascuno di noi. E che ci aiuterebbe a scoprire il valore delle nostre autentiche riserve umane. Capaci di farci vivere una condivisione ampia di umanità.
Dove il pensiero e l’arte guidano l’istinto. E lasciano spazio anche ai sogni.
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