“Per la posizione strategica del sito che le origini di Agira, si perdono nella preistoria, tra mito e ricerca archeologica.”
Fig. 1 Stampa di Agira fatta eseguire da Saint Non in occasione del suo viaggio in Sicilia (1781 – 1786)
“ ……paese mio che stai su una collina, disteso come un vecchio addormentato……” Infatti, avvicinandoci ad Agira, colpisce il suo svilupparsi adagiata sul fianco del monte Teja, dalla vetta fino al piano, dai resti del castello, che da lontano danno un’idea della sua maestosità, ai campanili che svettano tra i tetti delle case.
Il monte Teja è un arco naturale di roccia con un’altezza di 824 m. ed è l’epicentro di un’area che comprende le valli del Dittaino e del Salso e la parte occidentale della Piana di Catania.
E’ una delle 57 cime orografiche della Sicilia, circondato da ampi spazi aperti, gode, per questo, di splendidi panorami che spaziano dai monti Erei ai Nebrodi, dai fiumi Salso e Dittaino alle dighe Pozzillo e Sciaguana, dall’Etna ad una miriade di paesi.
E’ posto, inoltre, quasi alla confluenza delle 3 Valli ( Val di Noto, Val Demone e Val di Ma zara) in cui gli Arabi divisero il territorio siciliano.
Ed è proprio per la posizione strategica del sito che le origini di Agira, si perdono nella preistoria, tra mito e ricerca archeologica.
Infatti se da una parte si afferma che furono gli abitanti di Agira per primi a tributare onori divini ad Ercole, dall’altro abbiamo ritrovamenti d’insediamenti umani risalenti, come sembrano confermare alcuni studi, al Paleolitico superiore.
Le prime notizie storiche su Agira risalgono al VI sec. A.C. , già nel IV sec. A.C. ha una sua Zecca, fu alleata di Siracusa contro i Cartaginesi e fu conquistata dai Romani.
La presenza della Zecca è testimoniata non solo da monete coniate ad Agira che si trovano anche al museo di Atene ma anche dalla campagna di scavi effettuata l’estate scorsa ad opera di Sicilia Antica, con il coordinamento della Soprintendenza di Enna e finanziata dal Comune di Agira che sembra aver portato alla luce le strutture dell’unica Zecca del IV secolo scoperta in Sicilia, edificata sui resti più antichi dell’abitato.
Lo storico Diodoro Siculo del I sec. A.C., autore della “Biblioteca Universale”, che ebbe i natali ad Agira, racconta che vi si trovavano un teatro, secondo solo a quello di Siracusa, magnifici templi ed una grande agorà, mentre Cicerone nelle “Verrine” la cita come una delle ricche città siciliane depredate del governatore Verre.
A partire dal periodo bizantino le vicende di Agira si identificano con Filippo, il monaco basiliano mandato per convertire gli abitanti, fondatore di un monastero, che diventerà il veneratissimo protettore della città, che, anzi, fino all’ottocento veniva chiamata San Filippo d’Argirò, ed ancora adesso i suoi abitanti in dialetto vengono chiamati “sanfulippani”.
Le dominazioni che si sono susseguite sull’isola, dagli arabi ai Normanni, dagli Svevi agli Angioini, dagli Aragonesi ai Borboni, hanno lasciato le loro tracce anche ad Agira, per esempio i tipici vicoli e cortili arabi si ritrovano nel quartiere “Le rocche”, di impostazione normanna sembrano essere i ruderi del castello ed alcune chiese, mentre del periodo aragonese è l’ Aron in pietra, di grande valore storico ed artistico, della distrutta Sinagoga, conservato nella Chiesa del SS. Salvatore.
L’ascesa economica e demografica della città, che nei secoli era stata dominio feudale di ricche famiglie baronali; dotario personale delle regine di turno; città demaniale dal 1404 con l’appellativo di “Integra”, e con il Monastero di San Filippo, passato dai monaci brasiliani ai benedettini, sede centrale dell’ordine e dell’amministrazione delle loro immense ricchezze, allorché dovettero lasciare Gerusalemme, durò fino alla prima metà del 1600, quando, venduta da Filippo II a dei mercanti genovesi, fu costretta a pagare, per riconquistare le libertà demaniali, ben 38.000 fiorini, determinando un impoverimento delle casse dell’Universitas (Comune) e l’allontanamento della popolazione ridotta in miseria.
Ma se nel passato gli Abati, i membri laici e religiosi di poche famiglie con le posizioni occupate si accaparrarono ogni potere dall’altra si deve proprio ad essi, al loro prestigio ed alla loro munificenza se sono stati edificati palazzi, palazzotti, monasteri e le tante chiese presenti nell’assetto urbano sia lungo le vie principali che all’interno dei vari quartieri.
Oggi essa vive sonnolenta lo scorrere delle giornate, dimentica del passato, con poche ambizioni e poche prospettive, in attesa di qualcosa che possa risvegliarla da questo lungo torpore.
CAPPELLA DI S. FILIPPO DI AGIRA
Prospiciente la piazza antistante la Chiesa Madre di S. Gregorio di Catania si nota, al di là di una cancellata in territorio di Valverde, una Cappella.
L’avevo ammirata spesso, affascinata dalla suggestione della facciata, con l’alternanza del bianco della pietra di Siracusa e del nero della pietra lavica, con il portale a sesto acuto, il rosone ed il piccolo campanile.
Ma ignoravo cosa fosse, finché un articolo apparso su La Sicilia del 200 ha chiarito il mistero. E’ una Cappella di diritto padronale, costruita nel 1500 da Don Alvaro Paternò intitolata “a Sanctu Philippu de Argirion” la cui festa si celebra “a li XII di lu misi di mayu” in memoria del fratello Jaime che era stato abate del Monastero di San Filippo ad Agira.
FIG. 2 Valverde. Cappella padronale dedicata a san Filippo d’Agira
Consultando il libro “La Badia Regia di Santa Maria Latina in Agira” di Mons. Pietro Sinopoli Di Giunta ( Tipografia editrice XX secolo, Acireale 1911) si apprende che nel 1448 il re di Sicilia Alfonso il Magnanimo elesse come 23°Abate della Badia Jaime Paternò ma essendo ancora minorenne, il sovrano poté dare al suo prediletto solo l’amministrazione dei beni materiali ma non l’investitura canonica, che fu concessa dalla Santa Sede , solo in virtù del suo bene operare, solo l’anno dopo.
Egli si adoperò non solo nel far rifiorire il cenobio riportandolo all’antico decoro e rispetto monastico ma anche nel salvaguardare con una saggia amministrazione le enormi ricchezze che costituivano il patrimonio del Monastero.
Egli fu l’ultimo abate che visse ed operò ad Agira infatti dal 1474, quando fu nominato vescovo di Malta, dove morì l’anno dopo, l’Abbazia di S. Filippo ebbe solo Abati Commendatari, ovvero abati che avevano l’amministrazione spirituale e temporale ma non l’obbligo di risiedervi. Con la morte dell’ultimo Abate Commendatario Mons. Pietro Naselli Alliata la Badia fu dipendente dal solo Priore e sottoposta alla giurisdizione del Vescovo di Nicosia.
Graziella Graziano
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