Acireale, si è discusso di mondo virtuale ed identità rubate

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Circolo Bohémien

A cura di Maria Torrisi

Foto di R.B.

 

Promuovere una adeguata conoscenza delle tecnologie tale da consentire la sicurezza e la difesa della propria identità è stato il filo conduttore dell’ incontro di ieri sera organizzato dal Circolo Bohemien e dall’Associazione Costarelli.

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In considerazione del fatto che il mondo virtuale ha preso il sopravvento sul reale, soprattutto tra i giovani, creando, in alcuni casi, dipendenze tali da portare i giovani ad estraniarsi dal mondo reale, non si può prescindere dal mettere in pratica nuove procedure e comportamenti atte ad arginare i potenziali rischi e pericoli insiti nella società virtuale, ha sottolineato la giornalista e scrittrice Cristina Torrisi, in apertura dei lavori. In un“Cyberworld” sempre più popolato e sempre più “leggibile”, anche negli interstizi più reconditi, si rende quanto mai necessario far acquisire ai ragazzi, ma anche ai genitori, la consapevolezza degli effetti negativi che la tecnologia può sviluppare con un utilizzo improprio dei suoi canali trasmissivi e comunicativi.
A seguire l’intervento dell’Ingegnere informatico Andrea Grillo ha posto, infatti, l’accento sull’assenza di coscienza dei dispositivi di cui disponiamo e sulla scarsa formazione all’utilizzo dei mezzi tecnologici.

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Ecco perché ci ritroviamo a parlare di “identità rubate”, del cosiddetto “Catfish”, ovvero di quel fenomeno per cui una persona finge di essere un’altra, sui Social Network, per stringere relazioni virtuali. Noi tutti, portatori di un’identità personale, possiamo dunque ritrovarci a fare i conti, da un momento all’altro, con falsi profili che entrando nella nostra vita ci costringono a fare i conti anche con la destabilizzazione, da loro provocata, nella nostra sfera fisica, psicologica e talvolta economica, del nostro quotidiano reale.

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Gli scopi per cui vengono creati falsi profili sono molteplici: dal mero divertimento, alla frode, alla truffa, a particolari devianze psicologiche della personalità, di singoli individui o associazioni che attraverso messaggi promozionali, annunci di lavoro, offerte varie all’insegna della massima convenienza, possibili vincite di cellulari e quant’altro, cercano di adescare nelle loro reti chiunque si lascia attirare dai loro specchi.

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Fare attenzione, dunque a questi cosiddetti “specchi per le allodole”, non lasciandosi abbindolare e “sedurre” dal continuo flusso digitale a cui siamo sottoposti è molto importante!
Generalmente, si è portati a pensare che le possibili lusinghe propinate in rete siano lanciate da figure denominate “hacker” che spopolano nel Web, ovvero non di quei hacker che impiegano le loro competenze al servizio della programmazione, della ricerca e dello sviluppo informatico, della protezione dei dati, i cosiddetti “ethical hacker”, ma di tutte quelle tipologie di hacker che in modo più o meno incisivo vengono qualificati quali potenziali criminali e/o pericolosi perchè esperti nel compiere azioni illecite, come appunto “rubare identità”, manipolare profili per estrarre dati personali, commerciare illegalmente dati aziendali, industriali, ecc.,
Tipi hacker, giusto per citare qualche nome, come ad esempio eMugger (esperti di malware, spammers) Ninja Hacker (mercenari al servizio di altri a scopo lucrativo) e Growth hacker, quest’ultimi particolarmente presenti su Facebook e Youtube, non fanno altro che perpetrare danni con azioni illegali per conto proprio o di terzi, come abbiamo detto prima, per diversi scopi che possono spaziare da un dilettevole passatempo a una intenzionale azione lucrativa e anche di perversione sessuale.
Dicevamo che l’idea del raggiro personale da parte di altri che tentano di ingannarci attraverso mezzi illeciti è quella predominante, dobbiamo, invece riflettere, come ha messo in risalto l’ingegnere Grillo sul fatto che spesso e volentieri siamo noi stessi a fornire i dati richiesti da queste losche figure.

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Siamo noi stessi che ci facciamo prendere la mano, nel senso letterale del termine tendiamo la mano a questi intricati gineprai dai quali non se ne esce se non con fatica e danni sia fisici che morali ed economici. E tendiamo la mano perché “presi” dalla frenesia del “mi piace”, da un numero sempre maggiore di consensi, dal diventare “famosi”. Non prestiamo, dunque, l’adeguata attenzione ai messaggi, alle insidie che si nascondono nelle subliminali informazioni che ci vengono propinate, e inconsapevolmente siamo portati a fornire dati preziosi e personali della nostra vita privata. Bisogna, pertanto tenere protetti i dati, utilizzando password diverse per i diversi account e app, non riconducibili, soprattutto ai nomi dei componenti la propria famiglia.
In casi particolari di sospetti accessi ad opera di altri è necessario, inoltre, contattare i responsabili delle infrastrutture di rete e server per adottare le opportune misure di sicurezza volte ad impedire l’accesso e la divulgazione dei dati acquisiti.
In definitiva, se vogliamo utilizzare la tecnologia siamo “obbligati” a fornire dei dati essenziali alla erogazione del servizio, in quanto trattasi di un contratto unilaterale, in cui l’individuo autorizza l’uso dei propri dati a volti ignoti, al di là del visibile schermo, sulla base della garanzia offerta, volta alla protezione, sancita, tra l’altro, da specifici regolamenti legislativi atti a garantire i diritti di ognuno, con la definizione di responsabilità e sanzioni per chi si occupa della processione dati.
E poiché, sulla linea del vecchio e sempre valido detto “prevenire è meglio che curare, dobbiamo essere noi, in prima persona, i custodi prioritari della nostra privacy, lasciando spazio all’ “essere”, ovvero all’essere noi stessi, a non lasciarci abbagliare dall’apparire a tutti i costi, a non lasciarci condizionare dalle mille informazioni che transitano su internet, a utilizzare i social e gli altri mezzi comunicativi in modo positivo, per ampliare le nostre conoscenze, le nostre competenze, per confrontarci, dialogare, e perché no, condividere anche le nostre esperienze di vita personali e professionali, nell’ottica di una interazione costruttiva tale da apprendere e migliorare sempre di più.
Concetti questi che sono stati ricalcati dalla psicologa e psicoterapeuta, Dott.ssa Irene Fiorini, la quale ha posto il focus del dibattito sullo sconfinamento tra mondo naturale e mondo tecnico, tra reale e virtuale, uno sconfinamento dilagante soprattutto tra i giovani, i quali costruiscono le loro esperienze di vita sulla base di questo rapporto organico che hanno con la tecnologia fin dalla nascita.
Molto usato è infatti il termine gergale “cyborg” a connotare, appunto, la caratteristica rappresentativa che delinea il cyborg, quale homo tecnologium, intersecato tra due sistemi: il primo , relativo al sistema corporale, cognitivo, affettivo, psicologico dell’individuo; il secondo relativo al sistema operativo della tecnologia che funge da “protesi” atta a coadiuvare, supportare, amplificare il primo sistema, quello, appunto, simbolico, distintivo, emblematico della persona, nella sua unicità di corpo e mente.
É stato inoltre attenzionato il problema della dipendenza che ha assunto il carattere di un bisogno esistenziale, nella misura in cui tutte le relazioni sono possibili in rete, dal lavoro, all’amicizia, alla salute, alle relazioni sentimentali, il presente finisce per annullare sia ogni trascorso storico, denotante magari antagonismi e conflitti di ogni sorta, per tradizioni, usi, costumi, nonché ogni prospettiva futura, caratterizzata da incognite e incertezze.
Il presente viene quindi osannato in virtù di una omogeneizzazione temporale che fa sostare tutti allo stesso livello , con la conseguente perdita di identità storica e personale, da cui la fatica per molti adolescenti di costruirsi una propria identità, di difficoltà di scelta, mancanza di progettualità. Tutto questo non fa altro che facilitare l’immersione di molti giovani, specie i più esposti a fragilità psicologiche, nella realtà virtuale.
Il virtuale diventa così il cyberspazio sostitutivo, alternativo, compensatorio, nel quale sperimentare la loro forza, esercitarsi nelle sfide più ardue, non solo a livello di gioco ma anche a livello di violenza, di teppismo…
Significativo è, in tal senso, il fenomeno del cyber bullismo, un fenomeno che ha acquisito i connotati di un modello negativo come comportamento consolidato in giovani studenti che, infiltrandosi nella vita della vittima, esercitano verso di essa, una vera e propria persecuzione, con la pubblicazione in rete di messaggi, video, email, chatt rooms, immagini offensive, con l’obiettivo di ledere l’identità di un coetaneo, attraverso la pubblicazione su siti web tramite Internet.
É stato evidenziato come le false identità, e quindi l’appropriazione di “identità altre” che permettono ai soggetti fragili con problemi psicologici di rifugiarsi dietro una maschera occultante la loro vera natura, rischiano di annullare la demarcazione tra reale e virtuale.
La maschera indossata, efficiente ed efficace per interagire in maniera “adattiva, flessibile e funzionale”, ha insita in sé una minaccia: “A lungo andare si corre il rischio di incorrere in una e vera e propria dipendenza , in una logica in cui il vero e il falso diventano indistinguibili”, fino ad imbattersi in un comportamento di evitamento, “grazie al quale il soggetto evita di affrontare i propri problemi spostando l’attenzione e dedicando la maggior parte del tempo ad attività svolte in Internet”.
La Dott.ssa Fiorini, ha concluso dicendo che “ Non sono le conquiste scientifiche a minacciare l’uomo, ma l’utilizzo sbagliato che se ne fa.
Su questa scia introduce il suo intervento, il dott Alfio Pennisi, opinionista e filosofo, che pur condividendo i pericoli e le minacce insite nella tecnologia, sostiene il potere del pensiero umano quale deterrente per eccellenza nel pesare e soppesare, come risultanza etmologica del suo significato, di poter liberamente scegliere se essere succubi o meno della tecnologia.
A tal proposito cita la tragedia di Eschilo de “ I Persiani”, laddove il corifeo, interrogato dalla regina d’Oriente Atossa, circa l’identità dei Greci, risponde: “Si vantano di non essere schiavi di nessun uomo, sudditi di nessuno”.
La prospettiva adeguata a cui fare riferimento nei confronti della tecnologia, quale opportunità straordinaria di dialogo, confronto, condivisione, quale via attraverso cui veicolare messaggi positivi di cultura, solidarietà, pace, comunione, è dunque quella di non sopperire a luccichii e note devianti funzionali a far perdere ad ognuno la direzione, l’orientamento, il sentiero verso la propria Itaca, ma quella di una presa di coscienza, di un riconoscimento del nostro status di privilegiati, quali soggetti portatori di quella energia a cui fa riferimento Aristotele, quale energia libera in grado di far compiere all’uomo atti autenticamente liberi.
In una parola, a quella dimensione interiore che non risponde ad etichette pre-confezionate da una certa cultura, società, religione, ma fa riferimento a quell’atto spontaneo, a quella dimensione propria dell’uomo che, prendendo a prestito un’espressione del filosofo Masullo, “cerchi direttamente nel fatto del suo nascere la sua ragione, e si apra così all’etica.”
Le parole chiave citate dal dott Alfio Pennisi, ai fini di un’azione libera sono: consapevolezza, creatività, responsabilità. Concetti che richiamano ad un’azione in cui entrano in gioco: la competenza conscia delle conoscenze; l’azione come atto spontaneo di soggettività tendenti allo “star bene” dell’anima; la responsabilità come risposta ad un contesto, ad una situazione che reca in sé delle minacce per l’essere umano, risposta intesa ad evitare tali minacce e creare armonia.
A conclusione dei vari interventi il Prof. Antonino Leotta afferma che è possibile una presenza positiva sui social, atta a comunicare, lanciare messaggi, puntare su aspetti che possano promuovere dei valori alla vita, all’esistenza serena di tutti; senza urtare, senza offendere, perché “La rettitudine può essere ancora una speranza”.

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Pensiero questo che sosteniamo e condividiamo, affermando che lo scopo insito nell’essere come fine in sé, come bene, è superiore all’assenza di scopo e quindi al non essere; e poiché nell’uomo la sua esistenza piena dipende necessariamente dalla sua effettiva realizzazione, vale la pena affermare con il filosofo Hans Jonas che il livello dell’uomo è “il livello delle possibilità”.